Clelia MoscarielloPrima di consumare il cibo, ci preoccupiamo di fotografarlo. E prima di essere, ci preoccupiamo di apparire. Abbiamo sempre più bisogno di 'protesi', dalle quali ci sentiamo dipendenti, come per esempio nel caso del telefonino: senza telefono, ormai ci sentiamo persi, come se non esistessimo. La tecnologia dei social network ultimamente rappresenta un'altra di queste protesi. Secondo la sociologia della comunicazione, la protesi diventa una estensione del corpo umano quando ci sentiamo dipendenti da qualche mezzo, come l'automobile e così via. Ultimamente, i fenomeni riguardanti l'affollamento e la diffusione dell'utilizzo dei social network preoccupano sempre di più i sociologi. Già anzitempo, il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman aveva fatto notare come l'abitante di una metropoli qualsiasi fosse ormai alienato. Basta osservare la gente in metropolitana per comprendere questo aspetto: gli sguardi non si incontrano di proposito; si cerca di far finta di leggere, di ascoltare musica o guardare il telefono, in modo da non incrociare mai lo sguardo dell'altro. I social network di norma dovrebbero avere l'obiettivo di avvicinare le persone: sono nati con quello scopo. Invece, oggi sono diventati una fonte di alienazione e sono nati centri addirittura di disintossicazione dalla dipendenza da facebook e da altri social. Nello 'star system' "se non appari non esisti", tutti abbiamo bisogno dei famosi '15 minuti di celebrità', come aveva anticipato Andy Warhol. Così, un 'selfie' al giorno e dimostri di esistere nel mondo. Si trascorre sempre maggior tempo a casa per chattare, oppure si chatta o si leggono con disinvoltura le notifiche di facebook mentre si esce con altre persone. O ancora, si discute della foto che ha postato quella determinata persona, senza parlare dei filtri che permettono di mostrare solo a chi è autorizzato una parte di ciò che si vuol mostrare di se stessi. Insomma, mentre i social network si moltiplicano a dismisura e diventano sempre più sofisticati, noi ci siamo disabituati a parlare 'face to face'. Nel frattempo, i social newtork stanno diventando un motivo di esasperazione di liti, oppure un mezzo per pubblicizzare la propria intimità, sia in positivo, sia in negativo. Se si esce di casa, talvolta Facebook diviene l'argomento della serata. Ma se "il mezzo influisce sul  fine", come sosteneva Marshall McLuhan, è ovvio che anche i messaggi dietro un avatar sono diversi dal parlare facccia a faccia. Anche uno stolto direbbe che dietro un 'nickname' hai molto più coraggio poiché puoi mascherare la tua identità e affermare qualsiasi cosa, soprattutto quell che non diresti mai guardando negli occhi una persona. Una situaizone in cui non si ha, tra l'altro, la possibilità di correggere o modificare quello che hai appena detto. Insomma, dopo aver creato i social network, oggi ne stiamo assorbendo i loro meccanismi, assimilandone anche la loro 'natura' asettica. Secondo secondo Bauman, inoltre, noi cittadini crediamo inconsciamente di essere immortali. E, quando muore qualcuno, anche se di morte naturale, ci chiediamo, spesso inutilmente, la ragione, ponendoci alla ricerca di possibili cause poiché ci siamo allontanati fondamentalmente dal ciclo naturale della natura. Che è forse quello che dovremmo recuperare, guardandoci negli occhi.


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