Susanna SchimpernaQuello che si dice un fine settimana da incubo. Nella notte di giovedì 28 agosto, i signori King hanno portato via dall'ospedale di Southampton in cui era ricoverato per un tumore al cervello il figlio Ashya, e sono fuggiti in Spagna, dove volevano affidare il bambino a una terapia avanguardistica e costosissima (100 mila euro, più o meno); qui, però, sono stati bloccati e arrestati, nella notte di domenica 31 agosto, dalle forze congiunte della polizia spagnola e dell'Interpol, in possesso di un mandato di arresto europeo chiesto dalla polizia britannica per "detenzione di minore". Mentre i genitori venivano trattenuti per i successivi tre giorni su decisione dell'Alta Corte di Madrid (e sono ancora lì, dato che hanno rifiutato l'estradizione nel Regno Unito), il bambino veniva tradotto immediatamente in ospedale. “Per ora il piccolo è salvo, ma le sue condizioni sono gravi” è stato il comunicato ufficiale subito dopo il ritrovamento, a suggerire, anzi, a dire esplicitamente che la sua vita era stata a rischio per colpa dei genitori. Dichiarazione, insieme a molte altre precedenti l'arresto, a cui il legale della famiglia, Juan Isidro Fernandez Diaz, ha reagito annunciando una denuncia penale per false accuse e diffamazione: “Le cose dette sui signori King non rispecchiano la verità, e la vita del bambino non è mai stata in pericolo per tutto questo tempo, perché il padre sapeva come controllare gli apparecchi medici”. Pur con una scontata ruffianeria verso le istituzioni, ha preso posizione anche il primo ministro David Cameron: “L'istinto dei genitori è stato di offrire il meglio al loro figlio, la priorità adesso è la sua salute. E' anche comprensibile che le autorità competenti si interessino a questi casi”. Ma cosa volevano fare questi genitori, che hanno trafugato nottetempo il fagottino come in un feuilleton dell'Ottocento?  Il piano era questo: essendosi visti rifiutare dall'ospedale la terapia protonica, radioterapia considerata la più avanzata per curare certi tumori, avevano deciso di andare a Malaga, dove Ashya avrebbe potuto essere sottoposto a questa costosa cura, da pagarsi con il ricavato della vendita della casa che posseggono in Spagna. Ma non siamo nell'Ottocento e le telecamere della sorveglianza hanno registrato tutto. Impossibile farla franca, anche perché questi improvvisati rapitori avevano rese chiare le loro intenzioni, implorando i medici di utilizzare la radioterapia per il figlio, quindi più che ovvio che si fossero recati laddove è possibile tentare questa cura. Illuminante la risposta che avevano ricevuto alle implorazioni: “Non ci sarebbe alcun beneficio”. Perché quel piccoletto di cinque anni è dato per spacciato. Lo stanno sottoponendo da settimane a una dura chemioterapia (il tumore si è palesato un mese fa e ha un decorso rapidissimo), ma nessuno se la sente di dire una parola di speranza. Le questioni in ballo, in questa vicenda, sembrano più d'una. Cominciamo a esaminare quelle che costringono i coniugi King a stare in carcere e il bambino a essere sottoposto alla chemio: da un punto di vista legale, i genitori non avrebbero dovuto ‘sottrarre’ il figlio alle cure dell'ospedale, ma casomai rivolgersi a un'autorità superiore. Certo. Solo che il tempo era - ed è - poco, l'angoscia tanta e, di fronte a qualcuno che ami e vedi sfinito dalla chemio, un imperativo più grande della legge ti costringe ad agire. E a farlo subito, senza permettere ad alcuna altra considerazione di rallentare o addirittura inibire l'azione che credi possa essere la più giusta. Cameron ha ragione sull'istinto dei genitori. E arrivare a sostenere che conti meno delle aride fattispecie giuridiche non ci rende più umani, ma pazzi scriteriati, incapaci di capire ciò che Freud già diceva, ovvero che "l'istinto è la cosa più razionale che esista" (almeno finché non saremo diventati robot o degli dèi). Da un punto di vista scientifico, la protonterapia è riconosciuta dalla medicina ufficiale. E’ più efficace e selettiva della radioterapia X perché il tessuto sano che viene bombardato e distrutto è inferiore. Ed è indicata per il cancro al cervello. Può darsi che non avrebbe (al presente: perché "avrebbe avuto" è catastrofico, mentre vogliamo confidare che si trovi una via d'uscita) alcun esito su Ashya, ma non è pensabile che gli sia stata rifiutata per motivi diversi da quelli economici: il sistema sanitario inglese, come quello di tutti i Paesi, calcola il rapporto costi/benefici con criteri rigidi. Per cui, data la gravità del male con conseguente scarsa aspettativa di vita a livello probabilistico, sostenere una spesa alta non è stato ritenuto accettabile. Ma ecco la questione vera, la più seria, forse l'unica che conti: se e fino a che punto è accettabile che lo Stato abbia potere di vita su di noi e sui nostri figli, imponendoci delle cure anziché delle altre perché ritenute più valide dalla medicina ufficiale. Sulla chemio si possono fare mille discussioni e, certamente, anche su questa nuova terapia protonica. Ma è della liceità dell'intervento dello Stato sulle decisioni vitali dei cittadini che dobbiamo prima interrogarci. Nello specifico, sulle decisioni di due genitori che hanno un bambino che sta morendo. Siamo disposti a delegare la responsabilità di scegliere una cura anziché un'altra allo Stato? E perché? In nome di cosa, visto che esistono margini di incertezza e imponderabilità enormi, sia nelle terapie ufficiali, sia nelle terapie alternative o complementari (e comunque, per quanto riguarda la protonica, ricordiamoci che è una terapia ufficiale)? Siamo innamorati dello Stato perché abbiamo bisogno di credere che qualcuno possa decidere al posto nostro e sappia farlo meglio di noi. Ma arrivare a delegare una scelta che riguardi la vita di un figlio fa venire in mente la società falsamente perfetta preconizzata da Aldous Huxley. Ci sono pesi - enormi, schiaccianti - che dobbiamo prendere sulle nostre spalle. E' questa la discriminante tra una società di automi e una di esseri umani. In questo momento, Ashya King si trova in un ospedale di Malaga sotto la tutela di due poliziotti. Sta morendo e non può vedere i suoi genitori, a cui è stato negato il permesso di stare con lui. E' difficile immaginare una violenza più grande.




(articolo tratto dal quotidiano ‘Il Garantista’ di mercoledì 3 settembre 2014)
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