Alessandro BertirottiNon sono un metereologo, né un geologo e tanto meno un ottuso ambientalista, ma cerco, e talvolta a fatica, di essere quanto meno unostudioso delle umane vicende. Una delle prime cose che si imparano quando si affronta lo studio dell'antropologia è che l'essere umano è tale solo se ha la possibilità di nascere, crescere e morire all'interno di una particolare nicchia ecologica. È altrettanto vero che qualsiasi essere umano elaborerà un'idea su se stesso e sugli altri partendo dal rapporto di reciprocità che la vita impone, ossia tra l'interno e l'esterno di se stesso. Possiamo dunque sostenere con tutta tranquillità che nella relazione, che definirei meglio colleganza, tra il visibile di me stesso e il visibile di tutto ciò che esterno a me, si fonda la dimensione sociale dell'esistere umano. Il concetto di ambiente, così come siamo soliti intenderlo, sembra riferirsi a questo esterno a me, quasi sempre escludendo la presenza della vita umana, quindi caratterizzato solo da flora e fauna. In questo modo, cioè in questa accezione, è difficile che la mente umana, programmata per atteggiamenti conquistatori anche verso lo spazio, e dunque il territorio, comprenda che in questo ambiente è compresa anche la sua stessa esistenza. Sino a quando utilizzeremo questo termine, ambiente, indicando una realtà da cui noi siamo fuori, come controparte esterna dellacolleganza, ossia della relazione, non saremo nelle condizioni di capire che la Natura siamo noi dove esistiamo. Essere il luogo nel quale si esiste significa comprenderne i segni, trasformandoli in segnali, ossia comprendere che le azioni della Natura (i segni) sono un codice segnaletico (i segnali), proprio come il codice della strada. Eliminata questa dicotomia, ossia separazione tra l'individuo e l'ambiente, ogni azione umana dentro la Natura diventa un segno che si adegua alla segnaletica naturale, presente nelle diverse nicchie ecologiche. Non esiste un ambiente esterno a noi, perché noi diventiamo l'ambiente nel quale esistiamo, e lo modificheremo sempre rispetto all'idea che possediamo di verginità ambientale, perché l'Uomo è nato per progettare attraverso un fare che modifica. La questione rimane allora quella di comprendere il perimetro delle proprie modificazioni, allargando il sentimento di identità ai luoghi nei quali si vive, senza che questo sentimento diventi idea ovvia di possesso, come è accaduto sino ad ora. Ecco, secondo la mia visione, il perché della nostra incapacità a comprendere che la segnaletica naturale (piogge, cambiamenti del clima, estinzione di specie, riscaldamento globale del pianeta, etc.) non solo appartiene ad un ambiente che dobbiamo rispettare, esterno appunto a noi, ma è espressione della nostra identità di uomini sulla terra. Senza questa identità globale non capiremo che la segnaletica della Natura è costruita anche da noi, assieme alla Natura stessa, attraverso il normalissimo rapporto duale che caratterizza la vita di tutti noi: l'azione e la reazione. E forse, una volta evolutici davvero, riusciremo a capire i tornadi e le tempeste, ammettendo che siamo anche noi gli artefici di questa reazione naturale.




(editoriale tratto dal sito www.affaritaliani.it)
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