Nicola CarigliaCi sono persone (troppe) che hanno spiccata una qualità: trovarsi sempre dalla parte giusta, non importa quale. Scomodare la storia patria per cercare la prova di questo assunto è del tutto superfluo. Sarà sufficiente, almeno per quelli della mia generazione, passati dalla stagione che citerò, frugare in qualche esperienza di vita vissuta. C’era un tempo in cui definirsi laico, socialdemocratico o liberale, ti esponeva ad attacchi concentrici delle due forze più grandi, la democristiana e la comunista. Parlare di laicità dello stato, divorzio, aborto, scuola pubblica, ti metteva contro chi difendeva (la Dc) assieme ai valori religiosi anche quelli del clero. E non per questo ti guadagnavi il favore dei comunisti che non perdonavano il non essere loro docili alleati. Se invece toccavi altri tasti, come libertà, democrazia, alleanza atlantica, riforme, ti saltavano addosso come ossessi i comunisti. L’accusa? Essere finti progressisti, social fascisti, social traditori, servi della DC, degli Americani, venduti alla CIA. La bestia nera, quella più bestia di tutte, era Saragat con tutti i suoi seguaci. Nel 1947, con la scissione di Palazzo Barberini per dare vita al partito socialdemocratico, aveva indebolito il “fronte popolare”, cioè l’alleanza comunisti-socialisti, provocato la sua sconfitta e, in compenso, salvato la democrazia in Italia. Saragat era un riformista ed un democratico a 24 carati. Per la “classe lavoratrice”, come usava dire allora, badava al sodo. Sollecitava “case, scuole e ospedali”. Per la sinistra parolaia si trattava di troppo piccole cose per garantire l’alba gloriosa del sole dell’avvenire. Laici, liberali e socialdemocratici si trovavano in mezzo a due fuochi. Erano progressisti ma non comunisti. E volevano che ogni conquista si realizzasse col metodo democratico. Per mantenere L’Italia nel mondo occidentale erano alleati con la DC, partito complesso che certamente aveva al suo interno la destra, assieme a componenti di sinistra più portate all’abbraccio con il PCI che con gli alleati della sinistra laica e riformista. Ma non dimenticavano (i laici e i socialisti) il riformismo e spesso di riforme riuscivano a piazzarne: statuto dei lavoratori, varie riforme scolastiche e universitarie, divorzio, aborto, etc. Insomma, il loro dovere per rendere l’Italia più moderna e civile lo facevano, eccome. Ma pagavano il prezzo di una non dichiarata e concordante avversione nei loro confronti dei due partiti maggiori. Dunque, non era quello il luogo politico per le persone che aspiravano a stare dalla parte giusta. Chi aspirava a una vita comoda, alle prebende e agli onori, sapeva che doveva rivolgersi altrove. Questa distinzione fra essere dalla “parte giusta” o essere dalla “parte del Paese”, aiuta a capire le vicende odierne: la nascita e il futuro del governo Letta. Lo sapevano tutti che per cercare di uscire dalla morta gora (come minimo fare una nuova legge elettorale e tornare al voto) c’era solo la via del governo sostenuto da PD, PDL e chi altri ci volesse stare. Eppure ci sono voluti due mesi di invereconde manfrine e la voce grossa del Presidente della Repubblica alla quale inchinarsi o fingere di farlo. Ora che il governo è nato, ecco che si riaprono come d’incanto le danze. Escono i dolori di pancia nel PD e nel PDL, si tira la corda, si fa a gara ad essere i più puri, quelli che non vogliono, vicendevolmente, mescolarsi con gli avversari di questi ultimi venti anni. Il coraggio di votare contro al governo non lo hanno avuto perché oggi vogliono stare dalla parte giusta. Ma intanto vogliono prenotare anche la parte giusta di domani, che, purtroppo, assai spesso, non coincide con lo stare dalla parte del Paese.




(editoriale tratto dal sito www.pensalibero.it)
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