Clelia Moscariello‘Il tempo prigioniero’ di Sofia Flauto edito da ‘Il margine e il centro’ è un bel libro del 2010 che narra di donne, “ragazze interrotte” che hanno perso l’anima ancora prima di perdere la propria libertà. Sono donne, che la scrittrice definisce “le mie ragazze”, il cui destino era in qualche modo già scritto nella loro infanzia, descritto dagli abusi, dalle violenze subite da parte dei genitori, da un’infanzia negata, dal loro essere figlie e/o spose di malavitosi, oppure molto semplicemente ragazze fragili. Dietro i loro crimini, che scontano al carcere femminile di Pozzuoli, c’è tutto questo. Il carcere femminile di Pozzuoli era un antico convento del ‘600: qui ora vivono queste 170 donne mortificate nella loro femminilità: “L’imponenza del palazzo si scontra con la delicatezza dell’orizzonte marino, sottolineando già dal suo esterno la dualità dello spirito umano: bene-male, innocenza-colpevolezza, come anche la funzione di edificio prima destinato all’elevazione delle anime, ora espiazione delle pene”, afferma l’autrice. Queste donne che hanno conosciuto Sofia, la quale, dopo immense difficoltà incontrate per superare prima la diffidenza delle istituzioni, poi quella delle detenute hanno intrapreso con lei un percorso, il corso “Affettività per madri e figli”, un progetto di mediazione dei conflitti, della gestione della rabbia e del recupero dell’affettività, dedicato soprattutto alle donne- madri che soffrono ancora di più la condizione della detenzione. Il corso di mediazione diventa “Corso di affettività per genitori e figli” con l’ingresso di René, una donna omosessuale. Sono molte le donne che tra queste mura si innamorano di altre anime femminili, con cui ritrovano quella pace tanto lontana dalla loro vita passata. Queste donne impareranno con Sofia il cerchio del saluto con coreografie, la scrittura creativa, disegneranno, leggeranno, ritaglieranno, incolleranno per liberare l’intelligenza emotiva e la creatività repressa. Una detenuta afferma nel libro che il carcere ha il potere di spegnere il cervello. Sofia Flauto è pedagogista, esperta di mediazione e gestione dei conflitti, criminologa operatrice del terzo settore, giudice onorario presso il Tribunale dei minori di Napoli, professore di lettere presso la Scuola Media Statale “ S. G. Bosco” di Trento la Ducenta - (CE). “Il lavoro di mediatore- afferma Sofia Flauto- è quello di far emergere parole(…) per poi condurre le persona ad una presa di coscienza”. La scrittrice afferma anche che “quando si entra in relazione con il mondo carcerario sembra di trovarsi nella caverna del mito platonico, dove non vedi uomini ma figure di uomini, ombre su rocce, uomini e donne dalla smorzata identità, pregiudicata dal luogo, mortificata nell’anima, E quando l’anima è chiusa, segregata, cerca ogni via per liberarsi, per esprimere la propria sofferenza, sospesa in un tempo prigioniero. La detenzione è uno stato in cui il tempo si annulla”. E’ proprio questo il punto: l’immobilità del tempo, le giornate uguali, senza stimoli. Assunta, una delle detenute afferma: “possono darci dieci o venti anni di reclusione, ma non possono fermare il tempo, tempo che scorre libero scandendo l’inizio della nostra libertà”. Assunta, una donna bella e fiera, ha tanti progetti che riguardano il suo futuro di cui l’autrice osserva, a questo proposito come  non esista solo il futuro semplice e quello anteriore: “Il futuro non è solo qualcosa che è posto fuori, che è di là a venire, ma è anche qualcosa che ci si porta dentro, che occorre coltivare per dare concretezza alla vita, per farle posto dentro se stessi”. Queste donne si definiscono “scorie umane”,  perché anche una volta che saranno uscite dal carcere esiste in loro la loro consapevolezza di essere rifiutate dalla civiltà civile.“Possibile sentire il vuoto dentro?”, si chiede una donna. Un’altra afferma: “Io non ho emozioni, le ho depositate all’esterno assieme agli oggetti personali: le riprenderò poi… Quando uscirò. Io qui devo sopravvivere e non vivere…”. E ancora: “Non ho dimenticato quante volte ho perso la strada. Non ho dimenticato la voce che mi disse ‘ritorna’, ho scordato la mano che mi accarezzava i capelli, ho scordato la volta in cui ti ho chiesto perdono, io che sono sola ho vissuto la vita che sognavo di vivere. Mi sono pentita senza che nessuno me lo impedisse: ho pagato gli sbagli che sapevo di fare, ho lasciato le cose che volevo lasciare e ho perso le cose che volevo tenere”. Quando ogni ultimo sabato del mese le detenute incontrano i bambini, queste ultime si trasformano in  regine: “Non è percettibile in loro un senso di oppressione (…) davanti ai loro bambini hanno messo da parte il sentimento di disperazione”, ma questo sorriso spontaneo purtroppo dura solo un’ora. “La felicità chissà dove l’hai lasciata? Sicuramente al di fuori di queste mura. Non ci sono bambini che ti chiamano mamma e quella è la prova è più butta per noi donne”. Un’altra madre scrive: “Ho deluso tante persone e di queste la più importante è mio figlio”. Ma una speranza permane tuttavia in queste donne che hanno commesso degli errori e pagano per questo; Melissa  ha frequentato un  corso di operatore socio-assistenziale e lì si è confrontata con la malattia, con i disabili, ha capito di voler cambiare vita una volta uscita perché la sua scala di priorità è cambiata; Kiri e Zaira sono africane, in missione per mantenere la loro famiglia economicamente, sono state inviate in Italia e si sono dedicate allo spaccio e affermano: “Mai per un solo istante ci sentiamo sole e in solitudine, perché i nostri affetti sono protetti e quando torneremo a casa saremo accolte con tutti gli onori. Poi c’è Dio che ci guida ed è sempre con noi”. Arriva il Natale anche nel carcere di Pozzuoli e Sofia ha l’idea dei palloncini per festeggiare: “I palloncini che si librano in alto rappresentano la metafora di qualcos’altro che esce fuori da sé”. Tutte le ragazze, molte delle quali hanno poco più di 18 anni, scrivono delle lettere a “Babbo Natale”, proprio come delle bambine e da tutti i loro scritti emerge il desiderio di libertà: “un’aquila reale vola in alto nel cielo per confrontarsi con gli angeli in voli celesti” scrive una donna. ‘Il Tempo prigioniero’ è dedicato alle donne detenute del carcere femminile di Pozzuoli e il ricavo delle vendite è stato destinato a implementare lo spazio verde, un luogo all’aperto ma interno al carcere, in cui le mamme detenute incontrano i loro figli.


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