Andrea GiuliaAl di là degli schieramenti o delle scelte di campo imposte da una condizione politica fortemente radicalizzata, una serie di sfide oggettive si presentano all’orizzonte del Paese. Una di queste riguarda proprio la cronica difficoltà della nostra classe politica a dotarsi di meccanismi di ricambio e di effettiva qualificazione di nuove leve. In pratica, con la seconda Repubblica sono venute a mancare le ‘scuole’ di Partito, quelle che un tempo formavano i nuovi amministratori o, addirittura, i leader. Il cambiamento avvenuto nell’ultimo decennio del secolo scorso, per motivi buoni o cattivi che fossero, è stato fortemente condizionato dallo sviluppo delle molteplici inchieste giudiziarie, le quali hanno riguardato la classe politica italiana degli anni ‘80 e dei primi anni ‘90. In sostanza, se un cambiamento generazionale vi fu, ciò avvenne a seguito di processi ‘esterni’ al mondo politico stesso, dunque ‘forzati’ in quanto ‘fatti’ - e non ‘atti’ - instaurativi. Il pericolo derivante da una eventuale vittoria del Movimento 5 stelle deriva, pertanto, da questo gravissimo errore: aver impedito ai giovani di appropriarsi della loro vita, delle loro speranze, delle loro idealità al fine di apprendere come rappresentarle, in quali modi essi avrebbero potuto e dovuto ‘produrre discorso’. Spesso, essi sono stati accusati di passivismo, di qualunquismo culturale, di menefreghismo familistico in quanto ‘viziati’ da una società opulenta, che ha permesso loro di ottenere tutto ciò che volevano senza sforzi, senza fantasia, senza sacrifici. Ebbene, noi riteniamo che ciò non sia affatto vero: molti giovani hanno sempre avuto ‘fame’ di politica e sono stati, invece, ‘ammorbati’ da una situazione generale di immobilismo, psicologicamente indotti al disimpegno, al pensare ad altro, commercialmente distratti da forme di consumismo generalista, da modelli di comportamento mediaticamente imposti. Anche per sensibilità, per un quieto vivere interno alle loro stesse famiglie, molti ragazzi sono sostanzialmente diseducati alla dialettica democratica, culturale e politica. E il Paese rischia, oggi, di pagarne le conseguenze.


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