Francesca BuffoCome cambia la ricerca di Dio al tempo dei motori di ricerca? A domandarselo, probabilmente, sono in tanti. E non è una domanda da poco, dato che c'è chi vi ha fondato sopra una religione: quella del ‘copia incolla’. Una barzelletta? Tutt'altro. È il ‘kopimismo’, ovvero la svedese ‘Missionary Church of Kopimism’ creata da Isak Gerson, un giovane studente di filosofia. I principi che la caratterizzano si basano sulla sacralità dell'informazione. E la copiatura è il suo sacramento. La religione incoraggia quindi a copiare e diffondere qualsiasi informazione e da cui deriva il termine ‘kopimi’ che, per assonanza con i termini inglesi ‘copy me’, si riferisce all'atto della copiatura. I simboli sacri sono una ‘K’ all'interno di un triangolo e la coppia ‘CTRL+C e CTRL+V’ che rappresentano l'atto di copiare e incollare. I riti si concludono con la formula ‘Copia e Diffondi’. Tale religione (ufficialmente riconosciuta dalla Svezia) pone le sue basi sui fondamenti della vita e sulla capacità delle molecole di DNA di autoduplicarsi. Il credo professa più o meno così: “Credo nella moltitudine dell’informazione, santa e accessibile a tutti; credo nel copia-incolla, al libero scambio di canzoni, filmati e documenti”. C’è da dire che, in Svezia, la legislazione permette di dare lo status di religione a qualsiasi credo. Ma se la domanda ce la poniamo a livello italiano, la risposta non è meno sconcertante: il territorio digitale, è terra di missione. Ad affermarlo è padre Antonio Spadaro (gesuita, filosofo, teologo, critico letterario) nel suo libro ‘Cyberteologia’, edito da ‘Vita e pensiero’, nel quale sottolinea la necessità di una presenza credente, orante e dialogante in internet. “La rete e la Chiesa – scrive – sono due realtà da sempre destinate a incontrarsi”. Secondo il principio che “se gli uomini sono in rete, la Chiesa non può essere altrove”, padre Spadaro, che è anche direttore de ‘La Civiltà Cattolica’, consultore del Pontificio consiglio della cultura e di quello delle comunicazioni sociali, specifica che, per lui, il web non è un mezzo di evangelizzazione, ma un ambiente dove vivere anche la fede. In un'articolata intervista di Antonella Viale, apparsa su ‘Il Secolo XIX’ venerdì 11 maggio 2012, si può trovare il nocciolo della questione: “Sembra che la rete non abbia gerarchie, invece ne ha, la più ovvia è la popolarità: si pensi ai risultati di Google. Ma rischia di formare una mentalità non più abituata a forme di autorevolezza: è affidabile ciò che è popolare. E questo è un problema che può essere risolto solo dall’educazione a riconoscere il valore di cose e persone”. Probabilmente, padre Spadaro fa riferimento a quell'autorevolezza che fonda il dialogo tra Chiesa e uomo in senso verticale (dall'alto verso il basso). Internet, invece, trova la sua vera espressione nella condivisione di una coscienza collettiva in senso orizzontale, dove si può riconoscere l'autorevolezza solo laddove esiste anche la coerenza. Ed è in questo sistema di diffusione del sentire comune che la Chiesa dovrebbe preoccuparsi maggiormente di 'curare' il proprio interno, anziché cercare consensi a suon di click.




(articolo tratto dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)
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