Vittorio Lussana

Walter Veltroni ha dunque deciso di passare all’attacco. Lo ha fatto parlando al palazzetto dello sport di Sinalunga, dove ha riunito il suo famoso ‘popolo delle primarie’. Ma a cosa e a chi giovi veramente questa svolta, me lo chiedo con sincera curiosità. Io ci sono stato al governo del Paese, anche se con un incarico di natura eminentemente tecnica. E mi sono reso conto di quanto sia difficile, oggi, gestire una società che corre a trecento all’ora usufruendo di strutture istituzionali e di un apparato burocratico che viaggiano, eccezion fatta per la Farnesina, assai a rilento. Nessuna forza politica, nessun partito, nessun esperto d’area è oggi in grado di fare miracoli: questa è la prima cosa che mi sento di dover dire a Walter Veltroni. In fondo, la vera fortuna del Pd sarebbe quella di aver perso le elezioni politiche: la stagnazione economica italiana, con una crescita del Pil prevista allo 0,1% per il 2008, testimonia di per sé come anche la più compatta maggioranza di governo possa non riuscire a ribaltare una tendenza macroeconomica di natura congiunturale, fortemente influenzata da problematiche esogene di carattere internazionale. Quindi, la questione dovrebbe porsi nel merito di una riflessione più profonda, maggiormente inerente alle potenzialità di un esecutivo di sapersi immolare con spirito di sacrificio sull’altare di una riforma seria ed equilibrata del nostro apparato burocratico ed istituzionale, in grado di far funzionare, finalmente, la nostra macchina amministrativa presa nel suo complesso. Arrovellarsi intorno alle polemiche, insomma, serve a poco. Qui ci vuole un segnale vero, un nuovo senso della collettività in grado di alimentare nuove aspettative, una maggiore fiducia, che sappia indicare obiettivi concreti di rinnovamento. Veltroni non ha del tutto torto: questi primi 5 mesi di governo delle destre, a parte alcune crociate ideologiche ed un piano economico triennale di derivazione ‘tardo – sovietica’, in realtà sono stati più di incubazione che di realizzazioni. E quanto si va ‘covando’ appaiono provvedimenti di riforma monchi alla radice, privi di analisi sociali effettive, ambigui già nelle prime formulazioni di principio. Il governo delle destre, preso nel suo complesso, è un esecutivo di natura nazional - popolare: è un po’ come il solito Festival di Sanremo, con Pippo Baudo che impazza interrotto da qualche guazzabuglio leghista o da qualche strafalcione post - missino: uno spettacolo mediocre, indubbiamente. La sola ‘testa pensante’ che si salva è quella di Giulio Tremonti, unico candidato alla vittoria finale con il brano: “Tasse di tutti i giorni”. E’ pur vero che a questo festival ammorbante il consenso non manca. Ma si tratta comunque di un favore di matrice alquanto ideologica, composto da piccolo borghesi che si accontentano delle solite cose, mescolati a persone che rimangono convinte che, in Italia, ci voglia il manganello per risolvere ogni problema. Poi c’è la Lega Nord, con la sua carica identitaria che sa tanto di campanacci di mucche al pascolo e di galline che svolazzano per l’aia terrorizzate dal passaggio del ‘suv’ del figlio del piccolo proprietario terriero di provincia: una genuinità mescolata ad una cultura post contadina non malvagia, in verità, ma assai ‘crapulona’. Nell’analisi dei processi di secolarizzazione della società italiana, il fenomeno leghista avrebbe potuto rappresentare persino un elemento dinamico, un improvviso ‘distacco’ dalle vecchie logiche cattolico - conservatrici degli italiani del Nord, in particolar modo dell’ormai defunto ‘Veneto bianco’. L’impronta ideologica del vecchio pensiero contadino ‘padano’ sostanzialmente rimane la stessa, come una vecchia ‘incrostazione’ che tuttavia ha assunto una ‘forma’ imprevista e su cui a Roma sono ormai più di vent’anni che nessuno ci capisce qualcosa. La secolarizzazione leghista era un movimento da tenere in debita considerazione, da valorizzare, a suo modo, al fine di farne la vera ‘testa di ponte’ per la diffusione di una visione laica maggiormente ‘pragmatica’ e più concreta della vita degli italiani. Invece, dai più è stato tenuto un atteggiamento di ‘arroccamento difensivo’ che ha bloccato ogni reale processo di cambiamento, impedendo ogni dialogo effettivo con questa nuova forza politica che, forse, poteva essere utilizzato in una maniera più feconda. Ecco, dunque, il vero problema culturale del Pd: esso si è realizzato come un tentativo di imborghesimento della sinistra italiana che ha finito con l’allinearsi a tutti gli altri conservatorismi, di svariata e discutibile natura, presenti sul panorama politico complessivo. I pochi veri scampoli di riformismo si individuano soltanto in qualche esponente, nulla di più. Anche del riformismo, in verità, nessuno ci capisce granché, così come nessuno ha compreso quasi nulla delle vere origini culturali del leghismo padano. Ma tutto questo processo, tutta questa sofferta transizione, alla fin fine è destinata ad implodere. E ciò non sarà responsabilità da accollare esclusivamente al centrodestra. Mi dispiace, caro Walter: si poteva e si doveva puntare su un processo di rinnovamento politico autentico, dotato di basi culturali certe, anziché scomettere su pachidermici ‘partiti – minestrone’ che, al loro interno, contengono tutto e il contrario di tutto, dai laici ai cattolico – democratici, dai ‘figli di papà’ ai ‘precari’. Si doveva rimanere sulle antiche ‘vie maestre’: quella laico - repubblicana, quella socialista, quella liberale e persino quella democristiana. Invece, si è commesso l’errore di ridurre tutto ad un miserevole scontro di potere per il potere, senza reali progettualità, senza un minimo di lungimiranza. Inutile aggiungere quanto ciò sia costato, in termini umani, ad almeno due intere generazioni di giovani italiani, che sono stati illusi da un rinnovamento che, in realtà, si è concretizzato come una degenerazione, lenta ma sistematica, della vivibilità sociale, lavorativa e professionale. Nessun processo di rinnovamento multiculturale ed interetnico è stato realmente impostato. Nessun provvedimento di reale riforma delle nostre istituzioni scolastiche ed educative ha sortito gli effetti sperati. Tutto procede all’inseguimento di un benessere materiale di natura ‘evasiva’, ‘diversiva’, ‘palliativa’, magari compresso dentro improvvisi irrigidimenti di ordine ideologico o, peggio ancora, burocratico. Una scuola che non comprende di doversi guardare al proprio interno, che non è consapevole di dover stimolare le indoli e i talenti migliori dei nostri figli, come la sete di sapere o il semplice desiderio di letture autodidatte, non potrà mai essere un centro di formazione solido per le generazioni future: serve a ben poco tornare ai grembiuli o a nuovi provvedimenti di ordine disciplinare. In questo Paese, come al solito, mutano le ‘forme’ , ma non la sostanza delle cose. E ciò, in un certo senso, è esattamente la medesima idea che hai voluto proporre proprio tu, caro Walter Veltroni.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale '7 giorni di cattivi pensieri' pubblicata sul sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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