Enrico ‘Chicco’ Testa attualmente è il Vicepresidente del Congresso mondiale dell’energia (Wec) ed è stato, dal 1996 al 2002, Presidente dell’Enel.

Presidente Testa, qual è il futuro energetico dell’umanità, secondo lei? E quello dell'Italia?
“Lo scenario energetico in cui ci troviamo è in rapida evoluzione. E l’entrata sulla scena mondiale di Paesi densamente popolati, a forte tasso di sviluppo, comporta una domanda di energia in rapida ascesa. Nei prossimi decenni continueremo a dipendere principalmente dai combustibili fossili, come previsto anche da tutti gli studi internazionali, con un fortissimo aumento dei consumi di gas naturale, ma anche di carbone e petrolio. Credo, però, che vi siano enormi spazi di crescita anche per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, grazie ai continui miglioramenti tecnologici, nonché la possibilità di rilanciare con vigore un utilizzo più efficiente dell’energia. Non dimentichiamoci, inoltre, che su tutto il sistema aleggia, con forza crescente, la questione ambientale. Per quanto riguarda l'Italia, va ricordato come, negli ultimi decenni, siano state fatte delle scelte abbastanza nette. Una la si potrebbe definire di carattere popolare, con l’abolizione del nucleare attraverso il famoso referendum del 1987; e una, di carattere, diciamo, industriale, con la riconversione massiccia del parco di generazione elettrica in nuovi impianti alimentati a gas, grazie all'avvento della tecnologia a cicli combinati (CCGT). Va infine sottolineato che, grazie sempre alla tecnologia, il carbone rappresenta una opportunità da seguire per la diversificazione del mix energetico e per la competitività del nostro sistema, così come ci sono grandi margini di miglioramento nelle rinnovabilità - mi riferisco alle biomasse, al solare, all’eolico, al minidro – così come nel campo dell’efficienza energetica, dato che l’Italia è uno dei Paesi più virtuosi al mondo nell’utilizzo di energia per unità di ‘PIL’ prodotto”.

Ma siamo proprio certi che non saremo costretti, in futuro, a ritornare all’energia nucleare?
“Su lunghissima scala è assai difficile fare previsioni. Ma, allo stato, riterrei velleitario un nuovo programma nucleare nel nostro Paese. Quello che, tuttavia, ritengo importante, è il fatto che l’Italia mantenga un legame con la tecnologia nucleare, sia attraverso la partecipazione a nuovi progetti di ricerca, sia nella gestione degli impianti esistenti all’estero. Vedo, quindi, con favore la strada intrapresa dall’Enel in questo ambito, perché permette al nostro Paese di essere pronto nell’eventualità che questa opzione venga un domani riconsiderata seriamente”.

C’è chi afferma, però, che la rimessa in funzione delle vecchie centrali, abbandonate o riconvertite dopo il referendum del 1987, assumerebbe dimensioni assolutamente onerose per lo Stato, in termini di costi finanziari: è così?
“La questione nucleare ha mille aspetti, non solo quello economico. Quando si era contro il nucleare, si avevano preoccupazioni molto più ‘leggere’ sulle questioni di sicurezza, la sfida del cambiamento climatico non era ancora al centro del dibattito e si riponeva grande fiducia in uno sviluppo tecnologico di altre fonti che, in parte, è andato disatteso. Oggi, la situazione è notevolmente cambiata e, per motivazioni di costo dell'energia, di problematiche ambientali e di geopolitica, l’energia nucleare è divenuta un’opzione a cui molti Paesi non vogliono rinunciare. Per l’Italia, a monte di tutto, vi deve essere una volontà politica di puntare su questa fonte di energia e le condizioni perché il tessuto sociale sia pronto ad una valutazione serena e obiettiva. Dopodiché, è il mercato a guidare gli operatori nella scelta di intraprendere investimenti sulla produzione nucleare e sulla sua convenienza economica. Io sono favorevole a una presenza italiana nei principali progetti internazionali di sviluppo del nucleare. Ma far ripartire questa tecnologia, nel nostro Paese, comporterebbe l’avvio di diverse centrali per giustificare la gestione di una filiera assai complessa. Il che mi pare non ipotizzabile, sia per motivi economici, sia per il problema dell’accettabilità sociale già menzionato”.

E’ vero che, se esplodesse un impianto nucleare francese, il nostro Paese correrebbe pericoli sostanzialmente equivalenti a quelli di un eventuale incidente in territorio italiano?
“In un’evenienza così drammatica, è naturale che si preferirebbe essere a 5 mila o 10 mila chilometri piuttosto che nelle immediate vicinanze. Tuttavia, il problema è reale e un incidente di grandi proporzioni in una centrale nucleare francese indubbiamente avrebbe ripercussioni significative anche in Italia. Questo, però, ci deve fare comprendere anche come certe reazioni emotive collegate alla cosiddetta sindrome: “Non nel mio giardino”, in alcuni casi costituiscano vera e propria demagogia. A chi si oppone, ‘senza se e senza ma’, al nucleare, andrebbe ricordato come le Alpi non costituiscano una barriera insormontabile e che, in diversi Paesi, specie in quelli a forte sviluppo, l’alternativa a questa tecnologia sarebbe la realizzazione di centrali molto più inquinanti per l’effetto serra. Tra le due opzioni, io preferisco il nucleare”.

Cosa pensa, oggi, delle nuovi fonti alternative di energia? Quanto incidono? Sono realmente a buon mercato? E quali sarebbero, secondo lei, quelle più adatte per l'Italia?
“Le fonti alternative costituiscono una speranza per il futuro energetico e, negli ultimi decenni, la quantità di energia prodotta da queste fonti è aumentata in maniera notevole, in termini assoluti, benché il loro contributo, in termini percentuali, sia da considerare ancora piuttosto esiguo. Sulle fonti alternative si fa spesso molta informazione distorta, sia da parte di chi ne è un convinto sostenitore, sia da chi si oppone anche alla realizzazione di alcune tipologie di impianti. Innanzitutto, va ricordato un limite intrinseco delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, quale la scarsa affidabilità in termini di continuità e disponibilità, a testimonianza di come queste siano, allo stato attuale, più che vere e proprie alternative, fonti energetiche complementari a quelle tradizionali. In secondo luogo, in quasi tutti i Paesi, lo sviluppo di queste fonti è praticamente ancorato a forti incentivi di mercato che evidenziano come, per molte di esse, non sia stata ancora raggiunta una completa competitività di costi tra queste e le fonti tradizionali. D’altro canto, le politiche di incentivazione hanno consentito un enorme sviluppo tecnologico delle fonti rinnovabili. Basti pensare che l’evoluzione degli aereogeneratori o il costo di produzione e di rendimento dei pannelli fotovoltaici, il calcolo delle esternalità ambientali, come quelle relative ai meccanismi previsti dal protocollo di Kyoto, contribuirebbe a riequilibrare il divario economico con la produzione da fonti fossili. Per l’Italia, va premesso che abbiamo una storia di successi in alcune delle rinnovabili più tradizionali, come il grande idroelettrico, che contribuisce per oltre il 15% dei nostri fabbisogni, e il geotermico, in cui l’Enel rappresenta una azienda di assoluta eccellenza del settore. Siamo, invece, in ritardo su altri fronti: ci sono grandi spazi di crescita nel fotovoltaico, nelle biomasse, nell’eolico e nel minidro, ed è una opportunità che il nostro Paese deve perseguire sia per gli impegni assunti in materia ambientale, sia per le ricadute occupazionali che lo sviluppo di questa industria avrebbe. Vi è poi una ‘nuova fonte’ che non va assolutamente trascurata: il risparmio energetico. La Commissione Europea ha recentemente lanciato un ambizioso ‘piano di efficienza energetica’ che consentirebbe una riduzione dei consumi, da qui al 2020, del 20%. L’Italia, in questo campo, possiede parecchie virtù, ma molto può e deve essere ancora fatto, specie per un Paese in cui la dipendenza da fonti estere rappresenta l’85% del totale”.

Tempo fa, si aprì una polemica intorno alla questione della costruzione, in Italia, su raccomandazione del Parlamento europeo, di numerose centrali eoliche? Non le pare un po' assurda, quest’idea, per il ‘Paese del sole’ per eccellenza?
“Purtroppo, viviamo una continua contrapposizione tra interessi locali ed interessi generali. E la riforma del Titolo V della Costituzione ha fornito ulteriori strumenti al ‘partito del proprio orticello’, introducendo la possibilità di ricorrere ad una varietà sterminata di ‘veti incrociati’. Nella questione specifica, ben vengano le centrali eoliche, ma stiamo attenti a non riporre una fiducia spropositata in una fonte che ha limiti naturali ben precisi e che non può sostituire ‘in toto’ il contributo di altre fonti energetiche quali il gas naturale e il carbone. E poi c’è il fotovoltaico, che non è ancora competitivo, a meno di forti incentivazioni, ma che, negli ultimi anni, ha registrato un importante sviluppo tecnologico nella realizzazione dei pannelli e un significativo abbattimento nei costi di produzione. Per non parlare delle ricadute industriali ed occupazionali. Nella sola Germania ci sono più di 5 mila aziende operanti nel settore con 25.000 occupati. Può il “Paese del sole” essere ad anni luce dalla Germania? Io credo sia proprio un peccato…”.

Sul piano della politica internazionale, cosa ne pensa dei recenti esperimenti atomici effettuati dalla Corea del Nord e della volontà iraniana di cominciare una serie di esperimenti nucleari? Non crede che ciò possa rappresentare una deriva pericolosa per l'intera comunità internazionale?
“Innanzitutto, siamo di fronte a due situazioni notevolmente differenti. La Corea del Nord ha intrapreso un piano di sviluppo per la dotazione di un arsenale militare nucleare, mentre l’Iran rivendica il diritto a sviluppare questa tecnologia per fini civili, dirottando le enormi riserve di gas naturale al mercato internazionale. Cosa che, oltretutto, sembra volere perseguire anche la Russia. La preoccupazione della comunità internazionale deriva, più che altro, dal tipo di governi presenti in questi due Paesi, che lascia e dubbi e margini di incertezza sull’utilizzo pacifico di questa tecnologia. Mi sembra, però, che grazie alla diplomazia internazionale sia possibile raggiungere un’intesa tra le diverse parti”.

Ma perché la Corea del Nord è stata così sottovalutata, in questi anni? E di chi è la colpa? Degli Stati Uniti, che hanno dato la loro priorità alla questione irachena? Oppure si tratta di un errore commesso anche dall’Onu?
“Non penso che tale questione si debba ridurre all’individuazione di un colpevole o che si possa parlare di sottovalutazione: Nell'era della ‘globalizzazione’ è divenuto relativamente più semplice dotarsi di una tecnologia complessa come quella nucleare. Tuttavia, ribadisco il mio ottimismo in una soluzione positiva della vicenda. D’altra parte, la rapidità con cui la Corea del Nord si è dimostrata disponibile a sedersi al tavolo dei negoziati, fa pensare che gli esprimenti intrapresi fossero soprattutto mirati a una ricerca di maggiore attenzione da parte della comunità internazionale”.

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SDCFVDS - DCVSD - Mail - lunedi 10 marzo 2008 0.4
Parlate del bucio del culo che ne sapete di piu'........vergognatevi.


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