Vittorio LussanaQuesto numero di 'Periodico italiano magazine' è dedicato alle attività sportive. Una 'voce' importante, che rappresenta un bel 'pezzo' di Pil (Prodotto interno lordo, ndr) del nostro Paese. In merito a ciò, si attende con curiosità la riforma dell'intero settore predisposta dall'attuale ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora. Il quale, ha la meritata occasione di 'farsi un nome' eliminando molti aspetti che lasciano stucchevolmente stupefatti per la loro arretratezza. A parte lo storico dominio del calcio, non sempre giustificato dai risultati - dal 2006 a oggi, la nostra rappresentativa nazionale ha collezionato una delusione dopo l'altra e l'ultimo trofeo internazionale vinto da un club italiano è la 'Champion's League' conquistata dall'Internazionale di Milano nel 2010 - rivedere l'intera materia per sostenere e rilanciare anche le discipline 'altre', inquadrandone gli atleti nella figura giuridica del 'lavoratore sportivo', potrebbe risultare un'operazione di successo, oltreché doverosa. Molti nostri atleti del presente, ma anche del nostro recente passato, hanno faticato duramente per raggiungere i loro obiettivi. Traguardi assai più concreti rispetto a quelli conseguiti dai nostri 'strapagati' calciatori: dal tiro con l'arco a quello al piattello, dal tennis femminile al nuoto, per non parlare dei nostro tradizionale 'dominio' nella scherma, sia in campo maschile, sia in quello femminile. Siamo ormai di fronte a discipline che meritano di essere valorizzate, poiché divenute vere e proprie 'professioni sportive', esattamente come il calcio o il ciclismo professionistico. Eppure, le difficili condizioni in cui molti nostri 'lavoratori dello sport' sono costretti a operare, al fine di allenarsi e riuscire a qualificarsi alle competizioni più prestigiose, non sempre vengono riconosciute. In molte discipline, i nostri atleti sono considerati degli 'appassionati', che in maniera 'amatoriale', o addirittura 'artigianale', riescono a dare lustro al nome dell'Italia. Quando vincono una medaglia olimpica, tutti quanti li amiamo e li adoriamo. Ma non appena i riflettori di una grande manifestazione internazionale si spengono, li dimentichiamo. Per non dire delle atlete donne, di cui ancora oggi non esiste un contratto nazionale di categoria, poiché considerate, tutte quante, delle semplici 'dilettanti'. Ovvero, ragazze che, nella loro vita quotidiana, fanno le casalinghe, le madri o le mogli, ma riescono anche a trovare il tempo per 'dilettarsi' in un'attività agonistica, spesso riportando eccellenti risultati. Siamo ancora fermi ai confini della preistoria, praticamente. E l'uomo di Neanderthal, nel mondo dello sport italiano non si è ancora estinto. Anzi, ne abbiamo ancora tanti in circolazione: troppi, secondo noi. Si tratta di persone invecchiate e superate dagli eventi, che non hanno mai voluto occuparsi dei veri problemi del mondo dello sport. Questioni che hanno finito col cronicizzarsi e incancrenirsi. Il dominio del calcio, con le sue spese folli, i suoi 'ricchi scemi' e i gruppi di violenti energumeni che 'bivaccano' regolarmente nei nostri stadi, deve finire. E finirà del tutto, se il calcio non riuscirà a ritrovare la sua vera 'anima popolare'.

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(editoriale tratto dal n. 58 del mensile 'Periodico italiano magazine', settembe/ottobre 2020)
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