Vittorio LussanaDispiace contraddire molti importanti colleghi delle principali redazioni economiche del nostro Paese, ma la crisi della Grecia rappresenta, soprattutto, la fine di un sistema di welfare che era stato congegnato, sin dai tempi del piano Marshall, per sostenere la domanda interna di molti Paesi. La qual cosa significa che, anche se in linea di principio sarebbe giusto che la Grecia uscisse dall'Unione europea affinché cerchi di risolvere da sola i suoi problemi, in linea pratica ciò rappresenterebbe la conseguenza di una strutturazione dell'Ue completamente fallimentare sotto il profilo politico. La verità è che torti e ragioni coesistono da entrambe le parti: a) in sede europea, non è avvenuto o non si è voluto quel ricambio tra conservatori e socialisti il quale, oltre a portare al centro dell'attenzione una vera riforma del welfare occidentale, al fine di renderlo più sostenibile, avrebbe potuto, al contempo, dimostrare come un'economia basata su una moneta forte sia assai più vantaggiosa di una incardinata su una moneta debole, come la stessa signora Merkel ci insegna; b) dal punto di vista greco e del suo attuale Governo, invece, si preferisce mantenere la vecchia strutturazione turistica dell'economia ellenica, importante ma non fondamentale in un mondo globalizzato, che offre svariate alternative e soffre una fortissima concorrenza, anziché favorire (come giustamente aveva tentato l'ex primo ministro socialista Papandreou) l'arrivo di capitali 'freschi' dall'estero, gli unici in grado di risvegliare interi settori e comparti economici del Peloponneso. Detto in estrema sintesi, molti greci preferiscono rimanere inchiodati alla vecchia logica del welfare assistenziale, piuttosto che tentare nuove iniziative basate sull'innovazione tecnologica, o ricorrere a metodologie di riorganizzazione industriale maggiormente all'avanguardia. Quest'ultimo aspetto è quello che dovrebbe preoccupare maggiormente, poiché anche l'Italia ha un problema molto simile: non si riesce a far comprendere che nuovi elementi di capitalismo moderno, 'direzionati' verso il sociale, possono produrre nuovi posti di lavoro e iniziative di successo, in grado non soltanto di ottenere bilanci in attivo, ma di favorire, nel medio-lungo periodo, un più congruo abbassamento del livello fiscale, la programmazione di nuove economie di 'scala', un riassorbimento reale della disoccupazione giovanile. Il dato greco di un welfare assistenziale è ciò che assomiglia molto, anzi troppo, alla nostra triste condizione interna, che incontra la contraddizione di non riuscire ad affrancarsi dalle antiche logiche clientelari, basate su relazioni feudali e 'conventicole' parassitarie. E anche quando un capitalismo interno esiste veramente, esso è spesso 'finto', sostenuto da sovvenzioni statali e aiuti vari, composto da soggetti deboli o notevolmente indebitati. Il mercato è crudele: lo sappiamo tutti. Esso tende, per natura, a selezionare imprese e iniziative, privilegiando quelle dotate di un altissimo tasso di crescita, anche e soprattutto sotto il profilo delle aspettative e delle 'prospettive'. Il mondo stesso ce lo ha dimostrato con l'ascesa di autentici 'giganti' come Google, Yahoo, Apple e via dicendo. Per non parlare dei settori delle comunicazioni e della telefonia mobile. Non è affatto un ragionamento da conservatori pretendere un'economia rinnovata, popolata e abitata da una nuova cittadinanza di giovani e donne intraprendenti, in grado di soppiantare quell'oligopolismo differenziato che ha dominato la scena europea per troppi anni e lunghissimi decenni. Questa è la vera sfida che le economie del terzo millennio stanno affrontando: o si comprende veramente dove sta andando il mondo, oppure si è destinati a perire. E' crudele tutto ciò: ce ne rendiamo conto. Ma era esattamente per questo motivo che si chiedeva di uscire dalla dicotomia conservatorismo/assistenzialismo, dalla contraddizione di un aziendalismo gerarchico a cui si continua a contrapporre una politica 'pachidermica', fortemente burocratizzata, generatrice soltanto di 'caste'; era esattamente per questo genere di problemi che si chiedeva la possibilità di un rilancio della cultura socialdemocratica e liberale, la sola capace di correggere le distorsioni del mercato. Non si è voluto capire tutto questo? Bene: adesso, sono fatti vostri. Noi siamo al di sopra dell'ipocrita e falsa moralità dei tanti. Così come nutriamo autentico disprezzo verso il populismo e le tardive preoccupazioni dei molti. Noi pranziamo con le posate d'argento. E se qualcuno se ne dispiace, sono soprattutto problemi suoi.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Marina - Urbino (Italia) - Mail - giovedi 9 luglio 2015 7.16
Sempre molto chiaro e realista. Grazie.
Dario - Livorno - Mail - giovedi 9 luglio 2015 6.48
Troppo spesso è così!!!
Roberto - Roma - Mail - martedi 7 luglio 2015 14.38
Il "piccolo principe" ha parlato....
Cristina - Milano - Mail - martedi 7 luglio 2015 13.41
Non so cosa dire, solo grande preoccupazione e infinito sdegno per i gerenti politici. Sembrano "verità rivelate" ma, purtroppo, è cosi.


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