Andrea GiuliaSoltanto in Italia può accadere un qualcosa di talmente assurdo e surreale da far gonfiare il petto di orgoglio, in materia di capacità organizzative e gestionali del lavoro, a Paesi non propriamente all’avanguardia quali il Congo, lo Zimbabwe o il simpatico Togo (per chi ha assaggiato gli invoglianti e ‘cioccolatosi’ biscotti). I clamorosi, vergognosi, imbarazzanti e intollerabili disservizi che hanno spesso luogo presso lo scalo di Fiumicino in Roma, dove per giorni e giorni i bagagli di migliaia di passeggeri, in arrivo o in partenza, risultano persi o dispersi, infilati su aerei che non c’entravano nulla, o restituiti ai legittimi proprietari dopo aver atteso ai nastri dalle 2 alle 8 ore, questi fatti, dicevamo, hanno nuovamente e tristemente scoperchiato uno dei malcostumi che più appartengono al nostro dna ‘italico-italiota-beota’: il dna pasticcione. E se, fino a qualche tempo fa, l’ipotesi di azioni di sabotaggio di stampo terroristico era riuscita a nascondere molto bene la squallida verità che molti fra noi avevano già intuito fin dall’inizio, ecco emergere l’unica, vera responsabile di questa vergogna: la mancanza di voglia di lavorare e di meritare quello stipendio (superiore a quello di molte altre categorie che il ‘mazzo’ se lo fanno davvero) che si prende a fine mese, sia che si sia lavorato alacremente, sia che non si sia mosso un muscolo (se non per alzare la tazzina di caffè al bar). Ora, fermiamoci un istante (anche non retribuito…) a riflettere su questa odiosa miseria umana noi che siamo legati all’Italia perché ci viviamo o perché, pur vivendo all’estero, ci siamo nati e nel nostro sangue scorrono da sempre le tante cose, belle e uniche, di questa nazione. Lavorare, spesso, è faticoso. Sì, perché impedisce che si facciano, in quelle otto o nove ore, altre cose assai più gratificanti e stimolanti, tipo fare all’amore, mangiare una torta ‘mimosa’, giocare a carte o a bowling, rompere le scatole alle turiste accaldate - e perciò bagnate - che si immergono, sorridenti e indisturbate, nelle nostre mirabili fontane, navigare su internet, urlare almeno una decina di imprecazioni al giorno per allentare la tensione, giocare coi nostri figli. Ci siamo capiti. Ecco, provocazioni a parte, queste sono solo alcune delle cose che molti di noi preferirebbero fare, piuttosto che lavorare. Ma si dà il caso che, solitamente, senza lavorare non si riceva lo stipendio (eccezion fatta per gran parte dei nostri rappresentanti in parlamento). Pertanto, dovremmo convenire un po’ tutti che è cosa buona e giusta fare il proprio dovere, pur con gli inevitabili alti e bassi legati al nostro umore o al tempo che fa fuori dall’ufficio. Invece, non è così. Non ne conviene quasi nessuno. Men che meno gli addetti allo smistamento bagagli del Leonardo da Vinci (il quale, da lassù, li guarda livido di rabbia per il suo glorioso nome imbrattato dalla vergogna), ma anche della Malpensa, in fondo di quasi tutti gli aeroporti italiani. Costoro, gli addetti che hanno seminato il panico fra i passeggeri in snervante attesa, non se li saranno nemmeno fatti venire certi scrupoli di carattere morale, vedendo le risultanze della loro imperdonabile negligenza. E magari, quand’anche dovesse saltar fuori il nome di qualcuno di questi uomini di serie ‘zeta’, questi, con la strafottenza e l’arroganza tipica di chi è convinto che la furbizia sia il più nobile dei valori, risponderebbe risentito: “E allora, quelli che rubavano all’aeroporto di Linate e che sono stati reintegrati in servizio poco dopo le denunce per i furti”? Già, è vero: ci scusi tanto. Ce l’eravamo dimenticato che rubare, oltre che non lavorare, è peggio di non lavorare e… basta.  Un po’ come dire che siccome Stalin, Hitler, Mao e Girolimoni non erano, esattamente, dei ‘bonaccioni-buontemponi dal cuore d’oro’, allora tutti gli esseri umani che sono venuti prima e dopo di loro e che, in futuro, verranno avrebbero potuto, potrebbero e potranno affermare di non far nulla di particolarmente disdicevole. Basta non fare. E invece no! Perché un ragionamento siffatto non solo è aberrante nella sua immorale impostazione, ma autorizza di fatto chiunque a smettere di avere quella cosa che ancora permette, a questo nostro disastrato pianeta di non andare completamente e definitivamente alla deriva: la coscienza! Per fortuna, di persone che hanno una loro coscienza, che credono nell’onestà morale e intellettuale, nell'utilità del proprio lavoro e che nutrono rispetto nei riguardi degli altri, ce ne sono ancora abbastanza, in tutti i campi. E noi ci sentiamo di stare con loro. La conclusione, la morale e l’insegnamento che dobbiamo trarre da queste vicenda è, perciò, che dobbiamo esser noi per primi a emarginare tutte quelle persone che, nella sfera delle nostre conoscenze, sospetteremo ideologicamente affini ai ‘lavativi’ e ai ‘furboni’ sindacalizzati. Perché vogliamo conservare il buono della nostra italianità, cancellando le cattive abitudini e quel pizzico di ‘maramalderia’ che può piacere solamente nelle battute da cabaret.


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Carlo Cadorna - Frascati - Mail - lunedi 9 dicembre 2013 15.1
Bellissimo articolo! Complimenti vivissimi...dobbiamo dire BASTA all'Italia dei furbi o andiamo tutti a fondo.


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