Alessandro PallaroMani tese e fischi, offensiva di pace e sonore contestazioni. La politica ha scoperto il bipolarismo ‘umorale’, in questo finale di stagione, con i leader che hanno provato a parlarsi e le piazze e i fans che protestano all’interno dei rispettivi schieramenti. Il premier con una mano ha tolto il processo breve dal tavolo dei cinque punti per il rilancio dell’azione di Governo, mentre l’altra l'ha tesa ai ‘finiani’ affinché tornino nel Pdl promettendo “amicizia” e “lealtà” anche “nel momento della formazione delle liste elettorali”. Un intervento, quello lanciato tramite i Promotori della libertà attraverso un messaggio sul sito del Partito, che per un verso ha aperto uno spiraglio importante proprio sul nodo del processo breve, spiegando che non fa parte del pacchetto giustizia, per un altro, però, si è attirato la puntuale risposta a muso duro da parte di ‘Ffwebmagazine’, che per mano del suo direttore, Filippo Rossi, già noto per i suoi interventi tranchant, ha escluso tassativamente che qualcuno di ‘Futuro e Libertà’ possa seguire la logica feudale del ‘pifferaio di Arcore’. In fondo, il metodo del ‘bastone’ e della ‘carota’ ha caratterizzato tutta la manovra del premier nel mese di agosto, con Umberto Bossi a fargli da contrappunto con la ‘spada di Damocle’ delle elezioni. Ma la tensione che da un lato si attenua nel campo del centrodestra, riesplode nel centrosinistra: i ‘grillini’ presenti alla festa del Pd di Torino hanno inscenato una pesante contestazione contro un ospite di riguardo come il presidente del Senato, Renato Schifani, creando seri imbarazzi, al punto che il segretario, Pier Luigi Bersani, ha dovuto telefonare alla seconda carica dello Stato per esprimergli solidarietà a seguito “dell’indecente gazzarra”. Anche il presidente della Repubblica ha deplorato “vivamente” le “gazzarre intimidatorie”, che tali non sono state, però, per il leader Idv, Antonio Di Pietro: “Stiamo dalla parte dei contestatori, difensori della legalità”, ha dichiarato l’ex pm, replicando allo stesso modo di come aveva fatto pochi giorni prima rispetto alle contestazioni verificatesi a Como all’indirizzo di Marcello Dell’Utri. Oltre alle parole del padrone di casa Bersani, immediata è arrivata anche la solidarietà del leader Udc, Pier Ferdinando Casini e del presidente della Camera, Gianfranco Fini, mentre il presidente della Repubblica, ha deplorato l’accaduto affermando che “il tentativo di impedire con intimidatorie gazzarre il libero svolgimento di manifestazioni e discorsi politici è un segno dell’allarmante degenerazione che caratterizza i comportamenti di gruppi, sia pur minoritari, incapaci di rispettare il principio del libero e democratico confronto e di riconoscere nel parlamento e nella stessa magistratura le istituzioni cui è affidata, nel sistema democratico, ogni chiarificazione e ricerca della verità”. Il processo breve, dicevamo, inserito in un ddl presentato al Senato della Repubblica il 12 novembre 2009 dalla maggioranza parlamentare di centrodestra a prima firma di Maurizio Gasparri, si ritiene sia stato messo a punto dall’onorevole Niccolò Ghedini, deputato del PdL e legale di fiducia del premier. Il Senato (relatore Giuseppe Valentino del PdL) ha approvato il testo (composto di soli tre articoli) il 20 gennaio 2010. Lo stesso ddl dovrà essere approvato anche alla Camera, per poter poi essere promulgato ed entrare in vigore. La questione è tecnica, oltre che politica: la prima bozza del disegno prevedeva una durata ragionevole dei processi calcolata in 2 anni per ogni grado di giudizio (2+2+2), dopodiché sarebbe scattata la prescrizione. Inoltre, sarebbe stato applicato a quei processi per reati con pene non superiori ai dieci anni di carcere e a imputati incensurati solo - e sottolineiamo ‘solo’ - nel 1° grado di giudizio anche per processi già in corso. Ed è qui che “casca l’asino”, è qui che si scatena tutta la querele politica e che entrano in campo i diktat estivi del premier, che è si incensurato, ma che finora è stato raggiunto da “incriminazioni” che non sono andate, comunque, a condanna. Sì, perché tra le tante, le maggiori critiche al provvedimento si riferiscono alla possibile estinzione di processi per gravi reati quali corruzione, concussione, oltre ad altri processi in corso di grande interesse (come i casi Eternit, Thyssen, Cirio e Parmalat) o che coinvolgono lo stesso Silvio Berlusconi (caso Mills). Il capo del Governo è ancora sospeso, infatti, in attesa del giudizio di primo grado per i casi di corruzione a beneficio dell’avvocato Mills nel cosiddetto ‘lodo Mondatori’. E mentre Mills è stato condannato in primo e secondo grado, con prescrizione di una parte della condanna in Cassazione (confermato solo il risarcimento dovuto alla presidenza del Consiglio dei ministri, parte civile del processo, per 250 mila euro), Berlusconi è ancora in attesa della sentenza dopo che il processo è stato sospeso prima a causa del ‘lodo Alfano’, poi bocciato dalla Corte Costituzionale e, successivamente, a causa della legge sul legittimo impedimento. Ora, i processi a carico del premier, tra cui quest’ultimo, denominato Mills, potrebbero riprendere quota proprio a causa della sentenza, a breve, riguardo il giudizio di costituzionalità innescato sul legittimo impedimento (che tra l’altro sospende i giudizi nei confronti delle quattro cariche dello Stato solo per 18 mesi). Saltano le protezioni e, quindi, automaticamente rientra in gioco il processo breve. Che tanto breve non è: infatti, il procedimento giudiziario si estingue se non si raggiunge il giudizio in caso di reati indultati o indultabili (commessi cioè prima del maggio 2006), con pene inferiori nel massimo a 10 anni; entro 3 anni dall’esercizio dell’azione penale da parte del pm e in primo grado; entro 2 anni per l'appello; entro 1 anno e sei mesi per il giudizio in Cassazione; in caso di reati commessi dopo il maggio 2006 e con pene inferiori nel massimo a 10 anni. Insomma, a conti fatti, tra periodi d’interruzione, sospensioni varie, ricorsi e tutti i gradi del processo, l’imputato potrebbe stare ‘a mollo’ anche oltre il decennio. Sempre che l’azione penale non venga interrotta per inerzia dell’accusatore e, quindi, non scatti la prescrizione, anche questa regolata e accorciata da provvedimenti di legge promossi e adottati dal precedente Governo Berlusconi. Comunque, ai tempi dell’approvazione in Senato il disegno raccolse il plauso della maggioranza e, ovviamente, del Governo: il Partito democratico ne paventò l’incostituzionalità, mentre l’Italia dei Valori e Rifondazione Comunista annunciarono una raccolta firme per il referendum abrogativo in caso di entrata in vigore. Altre reazioni si scatenarono tra costituzionalisti ed esperti di diritto: l’ex presidente della Corte Costituzionale, Antonio Baldassarre, lo definì “imbarazzante”, mentre il direttivo dell’Associazione nazionale magistrati espresse forte contrarietà, come capita spesso da due anni a questa parte. A suo tempo, quando la polemica prese i toni della battaglia senza fronte, secondo il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il provvedimento riguardava solo l’1% dei processi in corso. Secondo l’Anm, il ddl avrebbe portato invece a prescrizione il 50% dei procedimenti pendenti a Roma, Bologna e Torino e il 20 - 30% di quelli di Firenze, Napoli e Palermo. Secondo il Consiglio superiore della magistratura, le norme sul processo breve porterebbero all’estinzione tra il 10 e il 40% dei processi e fino al 47% dei processi civili in alcune parti d'Italia. Ma, allo stato, sembra che la questione non sia più al centro del dibattito politico: il premier l’ha ‘cassata’, così come fece a suo tempo con la legge sulle intercettazioni. Che Berlusconi si difenda o meno nel processo, contrariamente a quello che ha sempre cercato di fare, non sembra sia più in discussione. E comunque, alla parte lesa, in caso di ritardo rimarrà sempre la richiesta di riparazione del danno. Nel frattempo, “se il clima migliora, saremo i primi a rallegrarci” ha commentato il ‘falco finiano’ Briguglio, “se invece si tratta di un’esca avvelenata non abbocchiamo”. Pragmatico il segretario del Pd, Pierluigi Bersani: “A noi interessa poco se la norma sarà o no nei cinque punti. A noi interessa che non diventi legge dello Stato”.


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alessandro pallaro - roma - Mail - martedi 14 settembre 2010 10.25
Risposta definitiva a Giovanni: touchè!!
Giovanni - Roma - Mail - lunedi 13 settembre 2010 18.45
Scusi sig Pallaro, ma più che una analisi politica questo pezzo pare un riassunto, in alcuni punti anche ripetitivo, di quanto le ansa dicono. Sicuro che non era un compito in classe per una eventuale riammissione a liceo, vista la riapertura delle scuole?


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