A vederla da lontano la situazione italiana appare come uno di quegli uragani che avanzando verso le coste prendono sempre più forza, apprestandosi a lasciare dietro di sé lutti e distruzioni. Da anni è in corso uno ‘screditamento’ generale in un sistema politico nel quale, distrutti i partiti, sono rimasti, come unici protagonisti, le persone. È il pensiero debole del leaderismo, del partito personale elaborato culturalmente da uomini della sinistra e poi praticato a man bassa da tutti, nessuno escluso. Quando a combattere non sono le identità, le culture politiche, le proposte e i gruppi dirigenti ma solo i leader veri o presunti, piccoli o grandi, che cooptano i propri dirigenti si afferma la cortigianeria e con essa la mediocrità. Il terreno non è più il confronto ma la guerra contro le persone come ci ha abituato la sinistra prima delle legittime reazioni. E così il Parlamento ha perso autonomia e con essa autorevolezza diventando di volta in volta o un ostacolo per chi pensa di governare da solo o uno stadio nel quale urlare insulti contro chi governa. La società si destabilizza e diventa preda facile di poteri alternativi ed autoreferenziali a cominciare dalle grandi organizzazioni criminali che in alcune zone del Paese hanno invaso partiti e istituzioni mentre in altre sono tracimate nell’economia reale. Lo scontro per lo scontro lascia emergere un degrado che non può non essere avvertito da chi ha responsabilità nell’economia, nell’informazione, nella cultura e nella politica. La responsabilità che invochiamo non è quella di chiedere ad esempio, alla stampa di nascondere le notizie ma al contrario, di chiedere a chi crea quelle notizie di smettere di alimentarle. La denuncia è, infatti, sacrosanta in una società democratica, ma essa va usata per informare e non per abbattere un governo o un leader, una maggioranza o un’opposizione. Al contrario, la denuncia deve essere lo strumento di una grande offensiva di massa verso una nuova etica della responsabilità, privata e pubblica. Non vogliamo una società ‘bacchettona’ ma, al contrario, una società libera in cui ciascuno si assume, però, la propria responsabilità, nelle banche come nelle imprese, nella magistratura e nell’informazione, nella maggioranza come nell’opposizione. Né vogliamo una società pervasa da noia e tristezza privilegiando sempre il sorriso e l’ottimismo della volontà, ma non vogliamo neanche una società frou – frou dove valori e responsabilità siano sostituiti dai nuovi totem del successo e del denaro o, peggio ancora, del sesso, della calunnia e della violenza. Non abbiamo la vocazione della predicazione, anche perché non ne avremmo titolo, ma sappiamo che se la politica tutta non avrà un sussulto di responsabilità, trascinerà il Paese alla rovina e tutti i poteri saranno sempre più autoreferenziali, a cominciare dai magistrati inquirenti, ed entreranno in rotta di collisione tra loro con atti od omissioni, con le urla o con i silenzi complici. Il difficile, allora, è sapere da dove cominciare e chi deve cominciare, per invertire la rotta. In Italia ci sono due liste elettorali, il Pd e il Pdl, entrambi non ancora partiti ed entrambi attraversati da gravi problemi di identità, che insieme rappresentano quasi i due terzi del Paese. A loro spetta dunque cominciare. La ‘cosa’ da cui cominciare è la riscoperta, come valore fondante, della democrazia dentro i partiti e nelle istituzioni. Può sembrare solo una parola desueta di un tradizionale ‘politichese’ ed invece è la vera arma per una rivoluzione dei comportamenti perché la democrazia alimenta la responsabilità di ciascuno. Il leaderismo personale va arricchito con un costume democratico che se chiede ai gruppi parlamentari giustamente la disciplina di voto, deve dare spazio al diritto di opinione, anche a quella contraria, attivando una selezione ‘darwiniana’ di idee ed energie. I veri leader sono quelli che convincono, non quelli che ordinano e il loro successo è tutto nel garantire ai propri rappresentanti una vita autorevole anche senza di loro. Un costume generale nuovo, dunque, che punti, tra l’altro, alla riforma del nostro sistema politico scegliendo finalmente tra un presidenzialismo moderno con i necessari contrappesi all’americana e una democrazia parlamentare in cui le maggioranze si formano nelle aule delle Camere e non nelle urne. Sono 15 anni che il Paese, grazie a questo ibrido sistema politico che non è né parlamentare, né presidenziale è governato da una maggioranza divenuta tale per il premio di maggioranza e che resta, purtroppo, sempre minoranza nel Paese. Il tempo è davvero scaduto per evitare una drammatica implosione del sistema e nessuno può immaginare di essere affrancato dalla propria responsabilità.
(articolo tratto dal quotidiano 'Libero' del 20 settembre 2009, pag. 12)