Dal
29 gennaio scorso è stato trasmesso su
Rai 3, fino al
15 marzo, ogni sera verso le venti e trenta, un interessante programma televisivo ormai giunto alla sua terza edizione:
'Caro Marziano', diretto dal giornalista e regista,
Pier Francesco Diliberto, in arte
Pif. Davvero notevole la cifra di originalità di questo
prodotto televisivo, capace di coniugare la
divulgazione culturale attraverso il formato del documentario con la finalità
d’intrattenimento, espressa in particolare dall’ironia e dal disincanto del suo autore.
'Caro Marziano' è l’esempio di come si possa
“fare cultura” in modo semplice, leggero, ma al contempo
non banale, senza smarrire, bensì valorizzando, quella dimensione di
impegno sociale che attraverso questo esperimento televisivo si intendeva perseguire. Il
giornalismo d’inchiesta non deve, quindi, necessariamente ammantarsi di
un’aura di 'snobismo' e
ridondanza espositiva. Attraverso l’attenta osservazione della realtà nelle sue molteplici e variopinte sfaccettature,
'Caro Marziano' ha saputo compiere un’approfondita
indagine antropologica, fornendo al
telespettatore attento strumenti inediti per spiegare le profonde dinamiche sottese agli eventi e alla complessità sociale in cui viviamo. La scelta degli
argomenti da trattare, di puntata in puntata, è sembrata
casuale, ma
non lo era: semplicemente rispondeva a un preciso
filone narrativo che il regista voleva dispiegare, comunicando un messaggio ben preciso. Ossia, che
la realtà va letta come un libro, senza giudicare, ma osservandone le
connotazioni con uno sguardo asettico e curioso. Una
mente colta è una mente
generosa, aperta, attenta ai dettagli, pronta ad apprezzare la
semplicità delle cose, senza però
sminuirne il valore, cogliendone
l’intrinseca autenticità. Perché in fondo, per riscoprire il senso della
meraviglia rispetto alla vita, non serve rincorrere chissà quale
prodigio, ma è sufficiente
guardarsi intorno, sottraendosi, anche solo per pochi istanti, alla convulsa
frenesia a cui i
ritmi nevrotici della società contemporanea ci costringono. Non è quindi cosi difficile riscoprire
l’umano nelle pieghe del quotidiano: basterebbe fermarsi a
osservare, a
gustare e ad
ascoltare, rendendosi conto di quanta
creatività, vitalità e
genialità ci renda unici.
'Caro Marziano' ci ha insegnato, in definitiva, che un
antidoto contro
l’omologazione esiste ed è
seguire se stessi, le proprie
inclinazioni, i propri
talenti, per quanto stravaganti o poco remunerativi possano essere. Soprattutto, ci insegna a
non dare per scontato nessun aspetto della realtà che ci circonda, dai ritmi apparentemente
ripetitivi di una panetteria nella periferia di
Palermo, al silenzioso svolgersi della vita dei
pesci in un
acquario. Perché, si sa:
l’essenziale è invisibile agli occhi. E forse, essere un
'marziano' significa, oggi,
esattamente questo: rifuggire
l’apparenza e la
fatuità dei
tempi odierni, per riconnettersi alla propria
essenza più profonda.