Alessandro Pallaro“Che cos'è il genio?” si chiedeva il Perozzi dell’allegra combriccola toscana messa su da quell’altro geniaccio del Monicelli (Amici miei atto II). E lui stesso spiegava: “E’ fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità di esecuzione”. Il genio si nasconde ovunque guardiamo, o è lui che ci viene a cercare? E come fare per riconoscerlo? All’indomani della ‘strabiliante’ scoperta di due psicologi statunitensi, David Z. Hambricke Elisabeth J. Meinz, i quali hanno teorizzato come “geni si nasca e non si diventi”, spiegare l’arcano mito della creazione del ‘talento’ appare molto più difficile, soprattutto se, come dice più di qualcuno, “applicarsi non basta”. Se vogliamo spiegare l’arte del geniale, allora c’è un solo modo per farlo: entrare in un museo, staccare un dipinto dal muro e decantarne le meraviglie (senza farsi troppo scoprire dalla sorveglianza, ovviamente), o mettersi davanti a un palco in attesa che la bacchetta del maestro inizi a volteggiare. Con il ‘marchesino’ no, non è così: stiamo parlando di Gualtiero Marchesi, giusto quel tanto che basta per sedervi a tavola e farvi esalare l’ultimo dei respiri. Con lui ‘tocca’ entrare in un McDonald’s e ordinare un panino - possibilmente con patatine e ‘big cola’ - un ‘Adagio’ o un ‘Vivace’ a seconda dei gusti, visto che qui, per le tasche, non c’è mai nessun problema. Sì, proprio così: il fondatore della cucina italiana dell’ultimo millennio ci riprova (è notizia di qualche settimana fa) e, come suo solito, dà segno di audacia, proponendo e promuovendo per la catena fast food più famosa del mondo due delle sue migliori creature culinarie (come le considera qualche critico avventato). Anzi tre: ‘Vivace’, con pane speciale al bacon ricoperto di semi di girasole, spinaci saltati, cipolla marinata, hamburger di carne bovina e maionese con grani di senape; ‘Adagio’, con pane speciale ricoperto di mandorle a pezzetti, mousse di melanzane, pomodori a fette, melanzane a ‘cubetti’ in agrodolce, hamburger di carne bovina e ricotta salata. Due panini ‘doc’, insomma, ispirati ognuno ai sapori e agli odori del buon e caratteristico vivere italico, insieme a un dessert (il ‘Minuetto’) che mette insieme due ricette significative della tradizione pasticcera nostrana: il panettone e il tiramisù. Come dire: Milano e Venezia. Ora, più che entrare da Mc, non si può comprendere l’arte del Marchesi (perché è di arte che stiamo parlando) senza prima non aver capito Andy Warhol e quella sua ‘strana’ pretesa di vendere ‘in serie’ la propria anima creativa. Ed è curioso come il Marchesi abbia dato all’operazione una ‘chiave’ tutta positivista; una motivazione riconducibile a quel suo modo di provocare tanto caratteristico della natura ‘istrionica’ dello chef. Un po’ come quando, nel vicino 2008, riconsegnò le sue tre stelle Michelin convinto che quel gioco, ormai, non fosse altro che un meccanismo al rialzo, “dove si sale e si scende per tenere alto il buon umore e le fortune dei critici. La cucina come la vita avanza a sbalzi, spiega inoltre lo chef ‘ex-pluristellato’, “quando ti giri a considerare il prima e il dopo, ti accorgi che il passo è stato rapidissimo. Sei già oltre. Così è stato quando ho introdotto la ‘Nouvelle cuisine’ in Italia. E così è da quando ho iniziato a osservare da vicino, senza pregiudizi, i giovani”. I giovani: già, lui, il Maestro lo fa per loro, ma è indubbio come dietro a quelle parole si nasconda una voglia, secondo noi, pure non troppo sperticata, per la consacrazione eterna. Un po’ più del famoso quarto d’ora di ‘warholiana memoria’. Perché, in fondo, “dove vanno a mangiare i giovani e cosa mangiano i giovani”? Queste sono domande che, nel nostro Paese, suonano ormai come superate, dal tempo e da ogni analisi politica o di costume. E non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo, in un Italia dove di quel termine, “giovani”, ci si riempie ogni giorno la bocca senza che nessuno muova un ‘benedetto’ dito. Marchesi, tuttavia, una rivoluzione la attua. Lo dice lui stesso:“Se è vero che l’alta cucina ha determinato una rivoluzione del gusto a tavola, ora è tempo di portare questo cambiamento a tutti, partendo, ovviamente, dai più giovani”. E qui siamo tutti d’accordo. Un cambiamento ispirato da un’intuizione. Come quella che, nel 2005, gli suggerì il “dripping di pesce”, una composizione ‘itticocentrica’ su un letto di maionese che faceva il verso a Jackson Pollock e alla sua ‘Action Painting’. Per non parlare del famoso risotto alla foglia d’oro, della “Calamarata”, della scelta di non servire pasta nei suoi ristoranti per poi, al contrario, deliziare gli ospiti con una compilation di formati di grano tenero scottati e serviti su un letto di extravergine (‘Quattro paste’, ispirato sempre a Warhol). Passi vincenti, che hanno reso tutta la cucina di Gualtiero Marchesi “totale e ri-creativa”, come ama definirla lui stesso: “Totale, perché la cucina è cibo, ma anche e soprattutto imbandigione”, spiega sul sito web della fondazione che porta il suo nome, “la capacità cioè di curare la messa in scena della materia. Naturalmente, più ci si avvicina alla verità della materia, al gusto, rispettandone le sfumature, più la forma tende a scomparire, non perché si assenti, ma perché si fonde nella pietanza. E ri-creativa, perché ristora fisicamente e moralmente”, come recita, appunto, l’etimologia della parola ‘ricreazione’. Con i suoi panini ‘McItaly’, lo chef milanese totalizza i gusti ‘nostrani’, li mette in mostra attraverso la migliore delle trovate di massa del nostro tempo: le catene fast food. Un tentativo riuscito, che non risulta per nulla scontato: di solito, chi cita McDonald lo fa per determinare un modello che non si dovrebbe seguire, parlando di ‘cibo-spazzatura’. Ma associare Marchesi all’idea di una ‘grande pattumiera’ è lo sbaglio più scontato che si possa addossare al Maestro. Il presupposto che muove Marchesi è lo stesso che spingeva Warhol anni fa: ‘serializzare’, sull’idea esatta che l’arte apparteneva a tutti e che doveva essere consumata come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Come allora, anche oggi la ‘ripetizione’ risulta essere il metodo vincente: su grosse tele il pittore esegue moltissime volte la stessa immagine alternandone i colori (prevalentemente vivaci e forti, che ne richiamassero la complementarietà). Prendendo grandi marchi commerciali (famose le sue bottiglie di Coca Cola) o scene d’impatto come incidenti stradali e sedie elettriche, Warhol riusciva a svuotare di qualsiasi significato tutto ciò che quell’immagine rappresentava. E ciò proprio attraverso una ripetizione su vasta scala. “La cosa più bella di Tokio è McDonald's. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald's. La cosa più bella di Firenze è McDonald's. Pechino e Mosca non hanno ancora nulla di bello”, diceva l’esponente della Pop Art. E la cosa più bella di McDonald’s è Gualtiero Marchesi, oserebbe dire oggi qualcuno, senza ribaltare il senso di un’operazione dai contorni epocali. Con il ‘triplete’ Adagio, Vivace e Minuetto – quasi a volerne tradurre una sinfonia di sapori - quella catarsi si compie. Il Maestro porta a termine un tocco d’artista riproducendo in serie un matrimonio, non troppo scontato, tra gli spinaci al burro e il pane di girasole, tra la melanzana e la ricotta salata, svuotando di ogni ‘significante’ chi, entrando in un qualsiasi fast food, solo ieri rimaneva convinto di aver gustato, sempre e comunque, la stessa pietanza (Big Mac, Happy Meal o Mcfish che fosse). Con ‘McMarchesi’ si insinua il dubbio che qualcosa sia cambiato. Si entra, così, a far parte di un gioco al rialzo dove il ‘quadro’ in sé (il panino, in questo caso) non è altro che la componente minore di un senso artistico più alto e in cui il protagonista può essere chiunque. Non importa se il cibo è poco cotto o non troppo salato, se la salsa non lega con il caciocavallo, se le melanzane quasi non si sentono, se nella mousse di panettone i sapori non stanno insieme: l’importante è esserci, stare dritti davanti a quel panino e pensare che, in fondo, quell’opera d’arte appartiene anche un po’ a noi. Ovviamente scontato ribadire che, d’ora in poi, dopo la ‘McMarchesi Art’, il genio sarà sempre più “fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità di esecuzione”.


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Alex - Pallaro - Mail - venerdi 2 dicembre 2011 14.39
RISPOSTA A MAJER: giusta intuizione ma non lo dica a Gualtiero...
Pietro Majer - Pisa - Mail - venerdi 2 dicembre 2011 10.46
Simpatico articolino, ma come sa bene anche lei non di genio qui si tratta ma di money, e naturalmente, di dignità personale.
Saluti, PM
Laura - Italia - Mail - lunedi 28 novembre 2011 15.10
Concordo, articolo interessante. Per quanto riguarda i panini, vi farò sapere dopo averli provati!!!
Alessandra - Milano - Mail - lunedi 28 novembre 2011 15.1
Articolo molto interessante. Acuto, in particolare, il parallelismo con Andy Warhol.


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