Pino Pisicchio è stato eletto alla Camera dei Deputati nelle liste della Margherita. Oggi presiede il gruppo dei parlamentari dell’Udeur – Popolari per l’Europa.

On. Pisicchio, è in grado questo centrosinistra di rielaborare una nuova sintesi programmatica, secondo lei?
“Il centrosinistra ha indubbiamente bisogno di una profonda riflessione sulla natura della coalizione poiché, in questa fase, è in atto, da parte di alcune forze politiche, un tentativo di ‘agglutinamento’, di negazione di quella che è la risorsa più significativa dell’alleanza: il concetto di ‘unione tra diversi’, cioè tra forze di rappresentanza ben distinte”.

Può spiegarci meglio questo concetto di ‘agglutinamento’?
“Nel nostro sistema, che è rimasto ‘in mezzo al guado’ tra una sostanziale ispirazione proporzionalista ed una formale situazione maggioritaria, non abbiamo un reale schema bipartitico, bensì due larghe alleanze tra soggetti politici molto diversi tra loro. In particolare, ciò accade nel centrosinistra, dove esistono posizioni come le nostre - di non mai celata ispirazione popolare -, e come quelle dei Comunisti Italiani – di non mai nascosta ispirazione italo-marxista -. Una coalizione del genere può continuare a sviluppare un ruolo a condizione che prenda coscienza delle grandi diversità che vi sono al proprio interno. Ogni qual volta che, come accaduto durante la nota vicenda dell’assemblea dei parlamentari dell’Ulivo, si tenti di realizzare una sovrastruttura in grado di creare una reductio ad unum della realtà parlamentare, il centrosinistra commette un grave errore, in quanto mortifica la validità delle posizioni interne dei singoli soggetti politici. Tali tentativi di ‘agglutinazione’ vanno, infatti, a scapito del pluralismo interno e, certamente, non nella direzione di un rilancio politico effettivo dell’alleanza nel suo complesso”.

Ma è sicuro che lei e il suo partito vi riconoscete ancora nell’attuale centrosinistra? Con quali motivazioni?
“Noi siamo collocati nel centrosinistra perché non possiamo stare con questa maggioranza, di cui non condividiamo le posizioni e che, comunque, si ritrova anch’essa in grave affanno, come dimostrano forze da noi meno distanti - i cosiddetti ‘centristi’ -, i quali stanno manifestando palesemente le numerose difficoltà di vivibilità interna al centrodestra. Insomma, se Atene piange, Sparta di certo non ride, diciamolo francamente. Anzi, proprio il bizzarro bipolarismo all’italiana propone una situazione tristemente originale: siamo l’unico Paese al mondo dichiaratamente bipolare nel quale, alle difficoltà della maggioranza di governo, non corrisponde un aumento di consenso di chi si trova all’opposizione. Comunque, noi stiamo nel centrosinistra perché abbiamo condiviso il programma dell’Ulivo, lo abbiamo sottoscritto nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche, ne abbiamo fatto parte e, in esso, siamo stati eletti. Certamente, viviamo con difficoltà alcune situazioni, come i sopra accennati tentativi di compressione del pluralismo interno attraverso periodiche forzature o l’inseguimento di fenomeni momentanei come il girotondismo, il cofferatismo o il postsessantottismo no global: se questa coalizione dovesse proseguire in simili suggestioni, finirà col porre problemi molto seri, a noi come a molti popolari della Margherita”.

Qualche segnale di riavvicinamento, dopo la recente sentenza di condanna del Tribunale di Perugia contro il Sen. Giulio Andreotti, sembrano cominciare a prendere forma: che tipo di riflessione potrebbe fare il centrosinistra assieme alla Casa delle Libertà sul tema della riforma dell’ordinamento giudiziario?
“Noi siamo tra quelli che hanno sempre sostenuto la necessità di svelenire il clima politico, soprattutto in ambito legislativo, cercando di eliminare un gigantesco paradosso: la pratica del conflitto ideologico intorno al tema della giustizia. Su tale problematica, la cosa è francamente inaccettabile e sarebbe ben più saggio impegnarsi maggiormente nella ricerca di nuovi punti d’incontro. Noi abbiamo preparato una proposta, di cui io sono primo firmatario, nella quale, in sostanza, prendendo atto delle notevoli distanze tra le forze politiche, si propone un tavolo di lavoro al quale possano partecipare, oltre alle rappresentanze parlamentari – le commissioni Giustizia di Camera e Senato -, anche quelle del Csm, quelle sindacali degli avvocati, dei presidenti emeriti della Corte Costituzionale, presieduta, eventualmente, da qualche ex Presidente della Repubblica. Insomma, un vero e proprio ‘tavolo aperto’ sui problemi della giustizia, per vedere se si riesce a trovare un quadro di riferimento in grado di portarci fuori dal conflitto ideologico e, soprattutto, di divenire concretamente condivisibile nel merito dei problemi”.

Tornando al quadro politico generale, l’asse Bossi – Tremonti sembra aver esaurito la propria carica propulsiva, anche per questioni di contingenze internazionali poco fortunate: è il momento di modificare, almeno parzialmente, la rotta complessiva del governo, secondo lei?
“Lo spero ardentemente, poiché ho a cuore gli interessi del Paese e, in modo particolare, quelli di un Mezzogiorno - del quale personalmente sono espressione -, piuttosto penalizzato non solo dalla Legge Finanziaria recentemente approvata alla Camera, ma anche dalle strategie complessive dell’esecutivo. Le ripeto: il nostro sistema è un molto strano. Oltre a tutte le critiche che abbiamo testè verificato, infatti, ne ha ancora un’altra possibile: il fatto che la Lega Nord riesca ad esercitare, con pochissimi scrupoli, una sorta di ricatto perenne sulla maggioranza, riuscendo altresì ad imporre obiettivi che, probabilmente, con un minimo di decenza nell’esercizio delle funzioni di governo, sarebbero rimasti ben lontani dalla mente dello stesso Berlusconi. Questo bipolarismo ‘bislacco’ ha bisogno, alla fine, anche di Bossi. Dunque, l’ipotesi di un esaurimento della carica propulsiva del cosiddetto ‘asse Bossi – Tremonti’ la prendo con le ‘pinze’, poiché non credo che la Lega Nord abbia scaricato del tutto le proprie ‘cartucce ricattatorie’. C’è poco da fare: dobbiamo tornare al sistema elettorale proporzionale…”.

E’ in grado il vostro partito di diventare una forza d’attrazione dei ceti moderati? Spesso date un po’ l’impressione della ‘lista Mastella’…
“Innanzitutto, io sono il Capogruppo alla Camera di questa componente alla quale, tuttavia, non ho aderito. Ciò a dimostrazione di quanto non possa, l’Udeur, essere politicamente etichettata come ‘lista Mastella’. Il problema vero, in realtà, è un altro: realizzare una Federazione di forze politiche di ispirazione cattolico-democratica che, nell’area del centrosinistra, possa svolgere un utile ruolo di raccordo nei confronti dei ceti moderati. E’ proprio sulla base di queste considerazioni che ho scelto di svolgere il mio ruolo di parlamentare nell’ambito del gruppo dell’Udeur: motivazioni idealisticamente cattolico-democratiche e comportamenti pratici concretamente laici. Nello specifico, noi guardiamo con attenzione a personaggi come Mino Martinazzoli, alle sensibilità sociali del mondo della Cisl, ad altri autorevoli personaggi che oggi appartengono, a pieno titolo, nella Margherita, non senza qualche sofferenza…”.

A proposito della Margherita: lei è in grado, ideologicamente parlando, di spiegarci esattamente cosa sia?
“Io sono stato tra coloro che la Margherita ha concorso a costruirla: all’epoca ero, infatti, il Coordinatore Nazionale di Rinnovamento Italiano e ho sottoscritto il ‘patto della Margherita’. La mia idea era quella della costruzione di un soggetto nel quale potessero riconoscersi i centristi e i moderati dell’Ulivo. Così non è più stato, poiché successivamente si è sviluppata una realtà nuova, priva di un radicamento culturale effettivo e offerta, ormai quasi esclusivamente, ad un pragmatismo di lettura puramente mediatica. Una sorta di ‘Forza Italia 2’ senza, però, la capacità di utilizzazione dei mezzi di comunicazione del leader della vera Forza Italia. Peraltro, le qualità comunicative di Silvio Berlusconi sono ormai oggetto di analisi scientifiche di carattere internazionale…”.

Il rapporto con i postcomunisti: Bertinotti sembra fermo alla ‘detogliattizzazione’, Cossutta e Diliberto alla ‘deberlinguerizzazione’, Fassino è alle prese con problemi di ‘dedalemizzazione’. Sono malanni politici seri o meri scioglilingua?
“Se lei ripercorre la storia dei partiti marxisti italiani, si imbatterà in una lunga serie di scissioni, faziosità, settarismi, processi di deideologizzazione. Devo dire, peraltro, che grandi momenti della nostra politica nazionale sono stati partoriti anche da determinati processi di elaborazione politica dell’area socialista e di quella marxista. Oggi, forse, lo schema è meno nobile di quello ora evocato e c’è sicuramente una notevole difficoltà a definirsi ‘nipoti’ del marxismo, in una stagione che ha abiurato, negato e liquidato quasi dappertutto i conti con quel tipo di cultura. E c’è, oltretutto, difficoltà a identificarsi con un’identità nuova. Il riformismo può essere un ambito politico molto largo, ma al tempo stesso troppo stretto, a seconda di come lo si intende interpretare. Ecco, dunque, che di fronte a simili difficoltà di carattere prettamente culturale, spesso emergono tentazioni di giocarsi determinate partite in chiave personalistica e ciò è uno dei nuovi pericoli che si vivono, oggi, nel mondo della politica. Senza dubbio è oramai necessaria un’approfondita riflessione sulle identità, sulla natura e sulle radici delle esperienze politiche delle molteplici anime della sinistra italiana, senza lasciarsi travolgere dal quotidiano o dal protagonismo personalistico”.

Lei è favorevole ad un provvedimento di grazia per Adriano Sofri?
“Sì, da sempre. A parte i convincimenti personali, io credo che esista, oggi, una tale distanza dalla stagione dei vessilli culturali rappresentati da Adriano Sofri, da rendere sicuramente possibile un provvedimento di clemenza. Circa una decina di anni fa, feci una serie di visite come parlamentare ad alcuni detenuti che avevano avuto un certo coinvolgimento con la lotta armata, anche se in una dimensione di dissociazione o di pentimento. Ebbene, devo dire che ho trovato delle persone molto solide, che avevano sofferto per le scelte compiute e che mi hanno dimostrato indiscutibilmente la propria trasformazione morale. Non concedere un gesto di clemenza nei loro confronti sarebbe, per una democrazia, una scelta poco forte…”.

La lettera del Presidente del Consiglio al Direttore del ‘Foglio’ le risulta strumentale ad una ripresa del dialogo con le opposizioni dopo i confronti, sin troppo ‘radicali’, avvenuti in sede di approvazione della Legge Cirami?
“Io sono sempre disposto a concedere una dose di buona fede ad azioni che vengono compiute avendo, come obiettivo, risultati utili per tutti. Dunque, voglio continuare a rimanere in buona fede”.

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