Antonio Di Giovanni

Egregio ministro Sacconi, spero che ora lei faccia una severa riflessione sulla Legge 30 detta Biagi, quanto meno valutando i dati che provengono da nazioni come la Francia, dove, dopo qualche mobilitazione studentesca di protesta, la legge sul lavoro è stata prontamente ritirata. Mi permetta, dunque, una breve considerazione: io sono d’accordo sul fatto che nessuna opportunità sia più importante dell’avere un lavoro, ma è anche doveroso stigmatizzare che un determinato genere di politiche volte all’aumento della flessibilità ha condotto il mercato del lavoro ai livelli salariali più bassi e ad una minor sicurezza dell’impiego. Inoltre, non ha mantenuto la promessa di garantire una crescita della produttività e più bassi tassi di disoccupazione, riflettendosi in maniera perversa sull’intero sistema economico con una minor domanda causata dai bassi livelli di reddito e il conseguente indebitamento dei giovani e delle famiglie. Caro ministro, l’Italia a questo punto ha bisogno di politiche strutturali che vadano ben oltre il famoso ‘Libro Bianco’ e non facciano esclusivo affidamento sulla flessibilità, anche se condivido l’abbattimento di alcune rigidità contrattuali che hanno caratterizzato il mondo del lavoro negli ultimi 50 anni e che ne hanno ostacolato la crescita. Auspico che la riforma del mondo del lavoro vada verso la direzione in cui la flessibilità non si traduca necessariamente in precarietà e che comprenda di dover fornire maggiori sicurezza ai lavoratori, i quali vedono nella propria professione, la realizzazione effettiva della propria vita e del proprio futuro. Cominciando, ad esempio, a considerare il fattore del rischio di licenziamento del lavoratore flessibile e quindi a tradurlo in un maggior salario rispetto al lavoratore a tempo indeterminato. Ciò contribuirebbe maggiormente, insieme ad altre forme di tutela, a spingere il datore di lavoro a stabilizzare, dopo un determinato periodo, il lavoratore che lui stesso ha avuto modo di testare nel corso della sua collaborazione, disincentivando il fastidioso turn over che lo condanna ad una precarietà perenne. Ovviamente, non bisogna demonizzare la Legge Biagi, che mantiene la finalità di far coincidere sviluppo economico e coesione sociale investendo nel capitale umano e nell’occupabilità delle persone, con effetti tanto sulla competitività, quanto sul piano dell’introduzione di nuova forza lavoro sul mercato occupazionale. In conclusione, caro ministro, La prego inoltre di sollecitare la ricerca di nuove forme attraverso le quali riconciliare la tutela del lavoro e la promozione dell’occupazione, magari tramite la ridefinizione di un quadro legale in grado di comprendere i mutamenti socio-economici del Paese superando il divario tra la realtà dei lavoratori e la loro stessa figura giuridica. Alimentare il dualismo nel mondo del lavoro tra chi sta fuori e chi sta dentro, appare infatti iniquo e poco lungimirante rispetto alla concorrenza internazionale e pone il nostro Paese in una posizione di inferiorità, poiché frena quelle leve di sviluppo che non possono non fare affidamento propri sulle generazioni più giovani.


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fabio rm - italia - Mail - sabato 24 maggio 2008 8.45
Articolo molto bello, sentito, che da speranza ai lavoratori precari. complimenti.


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