A dieci anni da Mani Pulite parla Clelio Darida, dirigente di primissimo piano della DC degli anni ruggenti, travolto nel ’93 dallo scandalo delle tangenti per la costruzione della metropolitana di Roma.

Dopo quell’arresto ordinato dal pool di Milano nulla è stato più lo stesso…
“Eravamo in piena Tangentopoli e il disegno di surrogazione del potere politico da parte di quello giudiziario, che era iniziato molti anni prima con il fenomeno dei così detti pretori d’assalto, aveva ormai raggiunto, all’inizio degli anni ‘90, contorni piuttosto evidenti. I tempi erano maturi, in termini di condizioni politiche, perché si potesse dar luogo al famoso e famigerato ‘potere di sostituzione’ teorizzato da Magistratura Democratica. La Prima Repubblica, il ventre condiscendente di tutte le corruzioni è stata archiviata così, da una spallata giudiziaria, in maniera anomala rispetto alla vita e all’evoluzione dei processi istituzionali democratici. Tutto ciò ha provocato un’abdicazione della politica che ha cambiato profondamente il corso della storia del Paese. La stessa diaspora democristiana per esempio non è seguita allo scioglimento formale del partito, ma alla falcidia di arresti e di avvisi di garanzia che ha provocato un ‘si salvi chi può’ generale, in ogni ordine e grado”.

Tangentopoli ha travolto i massimi vertici del suo partito. Lei, però, conserva un primato straordinario, vero?
“Ho ricoperto, a partire dalla fine degli anni ’60, tantissimi incarichi istituzionali: sono stato Sindaco di Roma, Sottosegretario agli Interni durante il sequestro Moro e Ministro della Funzione Pubblica. Con lo scandalo delle liste della P2, che travolse l’allora Guardasigilli, ottenni l’interim del Ministero della Giustizia, che ho mantenuto anche alle dimissioni di Forlani con il governo Spadolini, il primo Presidente del Consiglio non democristiano del dopoguerra.
Ma il vero primato l’ho raggiunto poi, qualche anno dopo aver lasciato il Ministero delle Partecipazioni Statali col governo Craxi, quando sono diventato il primo detenuto che si era già occupato di carceri come Ministro della Giustizia. Un clamoroso precedente nella storia della Repubblica rispetto al quale mi sembra difficile negare un risvolto politico. Si è trattato infatti di un arresto doppiamente infamante, compiuto come ha dimostrato il processo, senza la minima traccia di un mio coinvolgimento e quindi senza la benché minima accortezza".

Le tangenti per la Metropolitana di Roma, però, ci sono state…
“Sì, ma io non c’entravo nulla, non foss'altro perché i fatti che mi venivano contestati si riferivano ad un epoca in cui non ero più Ministro delle Partecipazioni Statali, né tantomeno Sindaco di Roma, incarico che avevo ricoperto dal ’69 al ’76. Quello che ancora mi lascia perplesso e che lascia perplessi pure i giudici che mi hanno assolto è che, in quel marasma che si veniva consumando e che nell’opinione pubblica consolidava l’idea di una sicura colpevolezza quale che fosse il grado del mio coinvolgimento, non ebbi occasione neanche di essere sentito, tant’è vero che non sono mai stato sostanzialmente interrogato. Nel giugno del ’93 insomma, senza alcun avviso di garanzia, in un clima di caccia alle streghe venni arrestato su ordine del gip, Italo Ghitti, e sbattuto in galera su richiesta del pool di Milano, in particolare di D’Ambrosio-Di Pietro-Davigo, a San Vittore, dove rimasi per due mesi prima di essere posto agli arresti domiciliari per altri trenta giorni”.

E poi?
“Tutto si è risolto con un proscioglimento pieno e senza mai comparire in un’aula giudiziaria, con il riconoscimento da parte dei giudici della assoluta inesistenza di qualsiasi tipo di traccia di un mio coinvolgimento in quei fatti”.

E’ stato risarcito, però…
“Innanzitutto, ho la fortuna di poterlo raccontare e, bene o male, di continuare ad occuparmi di quello che ho sempre fatto: ci sono altri che ci hanno rimesso in salute o, peggio, si sono ammazzati, perché in un clima come quello chi veniva anche solo sfiorato da Tangentopoli era chiamato ladro, corrotto e posto ai margini della società.
Il fatto di aver ottenuto un risarcimento del danno di 100 milioni, che a quell’epoca rappresentavano la quantificazione massima in caso di errore giudiziario, come è facile comprendere non mi ripaga di tutti i danni materiali e morali subiti. A prescindere dall’onorabilità che nessun risarcimento può restituire, c’era da intentare una causa per la responsabilità civile di quei magistrati, ma dimostrarne il dolo o la colpa grave non era e non è impresa facile. Si sa: la 'corporazione' tende a difendersi…”

In che senso?
“Il magistrato è un impiegato dello Stato e come tale dovrebbe essere chiamato a rispondere delle proprie azioni. Poi però c’è la preoccupazione che non sia più disposto a rischiare…
Forse al principio di responsabilità si renderebbe più facilmente servigio attraverso la elezione diretta del pubblico ministero, come succede negli Stati Uniti, il che risolverebbe tanti problemi: quello della divisione delle carriere per esempio. E senz’altro quello della parità tra accusa e difesa di fronte ad un giudice terzo”.

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