Arturo DiaconaleLa maggioranza non regge. E’ destinata a perdere pezzi sulla politica estera. Ma non solo. Come dimostrano le tensioni sociali provocate dal primo mese di lavoro del nuovo esecutivo, rischia di saltare in autunno di fronte al primo ostacolo della legge Finanziaria. Gli esponenti politici più responsabili si pongono il problema di come uscire da questo culo di sacco che condanna il Paese alla paralisi ed alla rovina. Ma, al momento, le ipotesi di fuga elaborate sono solo tre. E tutte di difficilissima realizzazione. La prima, quella dell’allargamento della maggioranza da realizzare mediante una operazione trasformistica, fa capo allo stesso Romano Prodi. E prevede la pura e semplice trasmigrazione di alcuni esponenti dell’opposizione nel centro-sinistra. I calcoli di Palazzo Chigi (anche Enrico Letta persegue una operazione del genere) considerano che al Senato, dove la situazione è ormai insostenibile, sarebbero sufficienti pochissime trasmigrazioni trasformistiche, non più di quattro o cinque, per dare stabilità all’esecutivo di Prodi senza turbare i suoi equilibri politici fondati sull’asse tra il “professore” e Rifondazione Comunista.
In questo scenario, basterebbe che Marco Follini e Bruno Tabacci accelerassero i tempi della operazione di scissione dell’Udc in preparazione ormai da tempo portandosi dietro qualche senatore ‘casiniano’. Ed il gioco sarebbe fatto. Ma la manovra non è affatto semplice come può apparire a prima vista. Follini e Tabacci hanno un peso ed un ruolo funzionali ai loro sponsor del cosiddetto ‘partito del Corriere della Sera’ solo se rimangono nel centro-destra. Nel momento in cui passassero nel centro-sinistra perderebbero il loro valore marginale e finirebbero col diventare dei semplici voti aggiuntivi, privi di qualsiasi valore e significato politico. Il loro dramma, infatti, è che per funzionare l’operazione trasformistica dovrebbe essere priva di qualsiasi rilevanza politica. Perché la sinistra antagonista, determinante per la permanenza di Prodi a Palazzo Chigi, non potrebbe condividerla in alcun modo. E sarebbe costretta a scaricare il Presidente del Consiglio. La seconda ipotesi è invece quella dello ’scenario centrista’, accarezzato da Pierferdinando Casini e da alcuni settori post-democristiani della Margherita. L’operazione prevedrebbe un vero e proprio cambio della maggioranza, con conseguente liquidazione immediata di Prodi, l’ingresso dell’Udc nella coalizione, la contemporanea uscita di Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani e la spaccatura di Forza Italia. Ma anche questo scenario appare poco realistico. Passare dal sinistra-centro ad una formula neo-centrista può passare solo attraverso una contemporanea e devastante scissione dei Ds. Il ché, senza neppure mettere in conto che anche l’eventuale frattura di Forza Italia appare come una ipotesi del tutto astratta, al momento risulta del tutto improbabile. Terza ipotesi, infine, è quella della grande coalizione rilanciata da Giulio Tremonti. Che, probabilmente, è forse più realistica della altre due. Ma che ha una controindicazione di non poco conto. Quella di stabilire che il ‘berlusconismo’ non è affatto al tramonto e di cancellare ogni sogno di successione nutrito nella CdL da una serie di leader di belle speranze. E allora? La risposta è rinviata all’autunno. Con la certezza che, comunque, per Prodi sarà durissima.


Articolo tratto dal quotidiano ‘L’opinione delle Libertà’ del 19 luglio 2006
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