Emanuela ColatostiSabato 5 settembre, i 'negazionisti' del Covid sono scesi in piazza. Non erano soli: ad accompagnarli c'erano anche le fila dei 'No vax', i 'complottisti' del 5G e altre minoranze di minorati. Stavolta, persino quei Partiti di opposizione che hanno cavalcato le 'mutilate' velleità 'libertarie' dei rabbiosi cittadini scesi in piazza. È apparentemente contraddittorio come gli inquisitori della 'dittatura sanitaria' in atto siano gli stessi che sono affascinati da certi leader carismatici, che promettono di essere quell'uomo forte in grado di portarli fuori dalla crisi. Le lunghe procedure della democrazia suscitano insofferenza nel club degli 'illuminati' sul sistema. Ma diviene cosa lecita chiedersi perché una simile contraddizione riesca anche solo a trovare spazio di espressione nella pubblica piazza, nelle città e, soprattutto, sui 'social network'. Durante il Settecento, abbiamo conquistato faticosamente il 'relativismo etico', che a ragione rivela la storicità di istituzioni e procedure giuridiche, rendendole meno 'assolute' e 'omnicomprensive'. L'acme di questo lungo processo di riflessione fu la decapitazione del re, per volontà di un tribunale rivoluzionario. L'analisi storica della considerazione di ogni valore ha portato a una messa in dubbio dei contenuti stessi della Storia. Ecco lo slittamento metodologicamente fallace: il transito dal relativismo al revisionismo, soprattutto per i 'liberi pensatori', è profondo quanto il gradino di una scaletta per bambini. La disciplina storica sui manuali è frutto di una metodologia precisa, esattamente come le pubblicazioni su riviste specializzate di medicina. Le questioni di metodo sono quelle più difficili da far comprendere a un pubblico più vasto. In un guazzabuglio di pretesa 'coerenza' da un lato e le svariate polarizzazioni identitarie tra 'noi/loro' dall'altro, i manifestanti di sabato scorso sembra non abbiano ancora oggi introiettato i pregi maggiori della democrazia, in cui poteri, ruoli e competenze sono separati. Se in un primo momento alcuni specialisti avevano sottovalutato la capacità di diffusione esponenziale del Sars-Cov2, è anche importante rilevare come in nessun caso medici, virologi o scienziati abbiano preteso di intervenire nelle risposte che la politica ha dovuto fornire in questi mesi, al fine di gestire il virus in maniera quanto meno efficace. Ma l'uomo forte del popolo non commette sbagli: egli persegue la sua linea di condotta fino alle più estreme conseguenze. Dove queste portino, poco importa. È un mistero dove sia finita quella capacità insita nell'istinto di sopravvivenza di osservare gli errori altrui, al fine di preservare se stessi. E neanche l'evidenza empirica porta i 'negazionisti' a ritrattare le proprie posizioni. Nella loro concezione distorta della libertà, esiste solo il proprio interesse e ciò che lo limita. Poiché il benessere sociale, ovvero quello generale, dà confini precisi alla possibilità di agire del singolo, allora non può essere un qualcosa che 'conviene' al singolo stesso, anche in un'ottica meramente utilitaristica. Sotto lo stendardo della 'coerenza' e dell'immutabilità muore qualsiasi forma di dialettica volta ad alimentare un confronto costruttivo. Ogni soggetto o istituzione diviene un nemico da combattere, per raggiungere la piena e completa realizzazione della propria individualità. Un individualismo tanto tossico, quanto opportunista, nel momento in cui la 'colpa' di un qualcosa che non funziona ricade sempre sull'altro e mai sul sé. Anche in questo frangente, stiamo perdendo l'ennesima occasione di crescita e di collaborazione. Negando la pandemia, infatti, viene negata anche ogni speranza di cambiamento che l'attuale situazione potrebbe portare. Vorrebbero essere 'motore' e, invece, sono solo un 'freno'. Non comprendere la straordinarietà della situazione che questo 2020 ci sta facendo vivere, li porta a essere drammaticamente "inattuali", per dirla con Giovanni Gentile. Almeno quanto chi dice di attendere il 'Messia' quando "Dio è morto".


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