Vittorio LussanaLa nostra impressione riguardo ai tanti 'femminicidi' che si verificano ogni anno nel nostro Paese, rimane quella di una violenza sessista in quanto forma di 'narcisismo' maschile. In sostanza, quando una donna ferisce l'orgoglio del 'maschio', ecco che scatta l'atto violento. Non c'è quasi mai una premeditazione piena. C'è, invece, un notevole ritardo culturale, non esclusivamente italiano, ad avere a che fare con un punto di vista distinto. Un non voler rinunciare a un'obsoleta concezione di 'unicità' chiusa in se stessa, che non tollera il pluralismo, le specificità, le peculiarità di una donna o del singolo individuo più in generale. Insomma, non sempre la violenza maschilista deriva da una sorta di 'sadismo', dal tentativo di schiavizzare l'altro sesso all'interno di un rapporto di coppia, affinché tutto possa incanalarsi dentro una visione statica e immutabile dei rapporti tra i generi. In secondo luogo, la violenza spesso riempie il vuoto delle parole: quando il dialogo tra due persone s'interrompe, scatta l'atto criminoso, poiché la violenza tende a prendere il posto della parola. Tutto ciò ricorda l'episodio biblico della Torre di Babele: una sfida degli uomini contro Dio, in nome dell'unicità dell'umanità. Ma regolarmente Dio interviene ricreando divisioni, rigenerando la diversità di lingue, culture, abitudini e tradizioni. In termini laici: la legge determina sempre una distinzione attraverso se stessa e i suoi effetti giuridici. La stessa democrazia è "la necessità di una traduzione" per comprendersi tra 'diversi', tra generi distinti, più in generale tra esseri umani. Insomma, il vecchio 'machismo' latino non è quasi mai consapevole delle conseguenze dei suoi atti. Si tratta di una grave fuga dalle sue responsabilità storiche, dal non riuscire a interrompere una 'catena' di atti violenti e disumani. Ma laddove le parole vengono a mancare, non può esserci cultura umanista, né umanità in senso pieno e completo. Ciò rappresenta un nostro limite collettivo: non riusciamo a comprendere che la legge non dev'essere applicata senza pietà. La superiorità della norma giuridica, la sua vera 'forza', non risiede affatto nella sua capacità di infliggere una pena contro chi ha commesso un delitto. Alla violenza, lo Stato di diritto non può rispondere con una violenza equivalente. Se lo Stato non è il primo a interrompere la 'catena' della violenza, non potrà mai vedere realizzato il suo disegno complessivo: quello di una società impregnata di valori e principi autentici, da un rapporto di fratellanza solidale tra i cittadini. Il 'gallismo' virile e 'machista' deve compiere uno sforzo, in tal senso, per comprendere meglio la questione della 'diversità', della 'duplicità', della molteplicità di visioni e punti di vista, abbandonando lo schematismo 'statico' della divisione dei ruoli all'interno della società. In tal senso, la giornata dell'8 marzo può tornare ad avere un senso se diviene 'memoria', se l'uomo diventa consapevole di portare su di sé il peso di un'enorme responsabilità storica. Ciascun cittadino non è responsabile dei propri atti 'sic et simpliciter', bensì lo è anche nei confronti degli altri. Se esso rimane confinato nel proprio narcisismo, non riuscirà mai a spezzare la catena di violenza contro le donne. Per recuperare una propria identità, l'uomo deve comprendere che egli, all'interno della società, è responsabile anche verso la propria compagna, verso i suoi fratelli, nei confronti della società stessa. Se le cose vanno male, o spesso finiscono male, anche noi stiamo sbagliando qualcosa da qualche parte. Dobbiamo cominciare ad ammettere questa nostra responsabilità: una nuova etica laica di fratellanza diventa possibile solo se essa si fonda sulla responsabilità dei nostri atti e sulla consapevolezza delle loro conseguenze. E' questo il percorso a cui dobbiamo aprire le porte. La fratellanza diviene un percorso possibile solo quando s'interrompe la furia cieca della violenza, comprendendo bene, questa volta, che non si tratta di un principio 'storicista', bensì perfettamente laico, niente affatto 'simbolico'. Anche la Storia, infatti, deve cambiare, diventando un qualcosa di ben diverso da quel lungo elenco di massacri avvenuti nel passato. La Storia non può più limitarsi a raccontare le vicende di "una masnada di assassini". E' questo il vero limite delle ideologie 'storiciste': esse non comprendono che la Storia appartiene, essa stessa, alla filosofia. Ed ecco qual è la vera funzione dell'8 marzo: ricordarci che è giunto il momento di fare un salto di qualità come uomini, come italiani e come europei. Dobbiamo avere il coraggio di spezzare la 'catena' di violenza della Storia, imparando a rapportarci con la diversità, con l'Altro. Siamo ormai costretti a farlo: non possiamo continuare a fuggire innanzi a noi stessi.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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mario - italia - Mail - domenica 8 marzo 2020 19.3
Bravissimo, condivido. Finalmente leggo soddisfatto. Un astenersi dal giudicare ma finalmente nel trovare l'ambito della soluzione e non nella condanna tout court. Una condanna che nei media avviene, sempre e comunque, con dissenno. Intendiamoci. Non che si voglia giustificare l'azione di forza fisica, ma che si riconosca la diversità del tipo di violenza, di "provocazione" e “prevaricazione” nel trovarsi come in un ring, "all'angolo", senza via di uscita se non uscendo dal tappeto, andandosene, avendo finito le parole. Non che non ve ne siano altre, ma perché vengono rigettate dalla chiusura del dialogo.
Una violenza diversa verbale quella femminile, di ritorsioni subdole che non viene mai riconosciuta tale, se non quando si scende nel campo "dell'indignazione politica" quando la parola detta, diventa strumento, arma per colpo ferire l'avversario con una richeista di esemplare condanna. Che strana questa cosa….


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