Vittorio LussanaA 20 anni di distanza dalla scomparsa di Bettino Craxi, si sappia che una delle voci meno sospettabili di 'nostalgia' per la fase storica della 'Milano da bere' è proprio quella del sottoscritto. Prima degli anni di 'Tangentopoli' e dell'inchiesta 'Mani Pulite', non ero affatto un sostenitore del leader socialista. Al contrario, numerose erano le critiche che muovevo per il suo atteggiamento nei confronti del Pci, che ai tempi della caduta del muro di Berlino si stava dibattendo in una difficilissima crisi politica e identitaria: un trauma che il mondo italo-marxista non è mai riuscito a superare del tutto. La mia posizione di allora era molto simile a quella dell'ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che cercò di sollecitare una qualche forma di solidarietà nei confronti di un intero 'pezzo' della sinistra italiana, la quale, pur tra errori e contraddizioni, aveva svolto un ruolo storico molto importante per il nostro Paese. Forse, si trattava di ingenue fibrillazioni giovanili, nella speranza che si potesse finalmente uscire dal 'vicolo cieco' di una 'democrazia bloccata', totalmente priva di alternative o di semplice alternanza, per lo meno periodica. Ma tutto quel che accadde in seguito non mi piacque affatto. Soprattutto, per come venne trattato Bettino Craxi, che in diverse occasioni aveva dato prova di possedere una statura politica ragguardevole, rispetto alla mediocrità complessiva della nostra classe politica di allora, che non era poi così diversa da quella di oggi. Non mi piacque un processo di criminalizzazione che tornava comodo a molti, per motivi che con la moralizzazione della politica avevano poco o nulla a che vedere. Bettino Craxi ha anche subìto alcune condanne: questo è un dato di realtà con cui bisogna, indubbiamente, fare i conti. Ma si è trattato di sanzioni che gli vennero comminate per fatti che aveva sinceramente dichiarato di conoscere, ma di cui non si era occupato in prima persona. Anche le 'fake news' circolanti allora, rivolte a descrivere la sua villa di Hammamet come una sorta di 'reggia monarchica', erano assolutamente prive di fondamento: essendomi recato più volte sul posto, posso confermare che si tratta di una normalissima villa al mare, acquistata all'inizio degli anni '70 del secolo scorso - quando Craxi era vicesegretario del Psi - perché costava poco e il debole dinaro tunisino consentiva di cogliere un'occasione senza dover dilapidare risparmi. Io stesso, che durante l'infanzia ho trascorso le vacanze estive in una splendida tenuta alle Falasche, ho avuto parentele assai più facoltose della famiglia Craxi. Soprattutto, nel campo di un'editoria italiana legata a 'doppio filo' con lo 'strapotere' democristiano. Un potere apparso a lungo inamovibile, anche quando la Dc le elezioni le perdeva. Persino quando, per molti italiani, giungeva il momento di "turarsi il naso", come scrisse, una volta, Indro Montanelli. Insomma, Bettino Craxi fu sempre estremamente sincero nell'ammettere un sistema di finanziamento irregolare o illegale della politica che, in realtà, "non lo vedeva chi non lo veleva vedere". E i suoi errori di fondo, al netto delle inchieste giornalistiche realizzate in questi anni, rimangono gli stessi: a) una certa 'sbadatezza' nella scelta degli uomini di cui attorniarsi; b) un'eccessiva 'sicumera' nel proteggere personaggi a dir poco discutibili; c) l'aver confuso il 'rampantismo' di alcuni gruppi affaristici come un 'risvolto' della modernità, dopo che la famosa 'marcia dei 40 mila', a Torino, aveva dato uno 'stop' alquanto deciso alla visione 'operaista' del Partito comunista italiano. Secondo Craxi, era giunto il momento di rilanciare un ceto imprenditoriale e impiegatizio che domandava una nuova fase di espansione economica, anche al fine di affiancare e, quando possibile, sostituire, l'inconcludente 'parassitismo' dei vari notabili e 'boiardi' di Stato democristiani. Lo stesso Craxi, una volta, ne parlò con Enrico Berlinguer. Il quale, tuttavia, non seppe cogliere quel preciso 'segno dei tempi', che stavano mutando. Il leader comunista proveniva da una tradizione indubbiamente molto seria, quella del Pci: una strana via di mezzo tra una caserma e una chiesa, che incontrava nella lotta di classe e nella conflittualità sociale il suo stesso limite, costringendolo a teorizzare una governabilità perennemente debole e un'instabilità che finiva col congelare ogni doppiezza, ogni dualismo, ogni ambiguità. Ovvero, tutto ciò che agli italiani non serviva minimamente. La moralità di Berlinguer "non serve a nulla", aveva scritto Pier Paolo Pasolini pochi anni prima. Bisognava fare un'altra cosa, in realtà: anticipare un'evoluzione riformista che, alla lunga, riuscisse a far 'scivolare' i ceti medi verso il Psi, riequilibrando i rapporti di forza a sinistra, ma prendendo atto, al contempo, degli 'strappi berlingueriani' rispetto al grigiore burocratico dell'Unione sovietica. Peraltro, alcuni 'scricchiolìi' del sistema comunista erano divenuti sensibili, se non addirittura evidenti. A cominciare dall'invasione dell'Afghanistan del 1980, dove poche migliaia di 'montanari' erano riusciti a tenere in 'scacco' l'intera Armata Rossa, costringendola a una guerriglia lunga e dispendiosa. Lo stesso, identico, problema che in seguito hanno incontrato - e che rischiano di incontrare ancora oggi - gli americani. Quella zona del mondo si rivela sempre assai difficile sotto il profilo militare, poiché impedisce manovre ordinate, trasformandosi, per motivi molto diversi rispetto al Vietnam, in una 'trappola'. Insomma, l'Urss non riusciva più a realizzare neanche l'unica cosa che, di solito, sapeva fare: invadere un Paese e 'normalizzarlo', al fine di soffocarne ogni velleità 'libertaria' o anche solo vagamente riformista. I sintomi dell'affanno sovietico c'erano tutti. Lo stesso Berlinguer aveva intuito qualcosa nel 1981, quando parlò di "esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre", ma con minor lucidità rispetto a Bettino Craxi e ai socialisti. Il vero 'momento-soglia' - o lo 'spartiacque', come si dice in questi casi - rimane il crollo del muro di Berlino. La fine delle ideologie ha trascinato con sé non soltanto il mondo comunista, ma ogni tradizione culturalmente 'nobile' della politica. La 'società liquida' cominciò proprio allora. E i nostri 'piagnistei' nei confronti della magistratura, alla fine c'entrano poco o nulla all'interno di un simile contesto storico, perché la verità è che, di fronte a un evento epocale come quello, che stava cambiando le 'carte in tavola' a mezzo mondo, nessuno fu in grado di proporre una risposta per lo meno dignitosa, sotto il profilo ideologico-culturale: i comunisti si ritrovarono costretti a muoversi in un territorio liberaldemocratico completamente privi di 'mappe'; i democristiani si spaccarono tra un'ala 'maritainiana' e il grosso del suo elettorato più accidioso e tradizionalista; gli stessi socialisti, che avrebbero dovuto essere i veri vincitori di quella fase, si ritrovarono compromessi dalla lunga coabitazione di governo con la Dc, che aveva 'democristianizzato' comportamenti e atteggiamenti, generando molte 'male erbe' nel giardino dei 'frutti opìmi'; infine, i Partiti laici rimasero anch'essi prigionieri del tragico equivoco di risultare, da sempre, elettoralmente 'sottorappresentati' e di avere anch'essi 'trescato' - ancora più a lungo, rispetto ai socialisti - con il mondo cattolico, al fine di lucrarne incarichi di potere e rendite di posizione. Probabilmente, la formazione politica che avrebbe dovuto veder riconosciuti i propri meriti, per le coraggiose battaglie civili sostenute in anni in cui il moralismo bigotto delle 'due chiese' - quella cattolica e quella comunista - risultava schiacciante, era il Partito radicale di Marco Pannella. Ma c'è anche da dire che gli italiani, un popolo facilmente omologabile, nonché manipolabile da convenienze momentanee o contingenti, non hanno mai amato certe posizioni 'di frontiera', giudicate troppo distanti dalle loro esigenze immediate. Il conservatorismo 'restauratorio', alleatosi con quello reazionario, ebbe un 'sussulto' di vitalità non appena si presentò qualcuno di diverso, o che per lo meno appariva come tale, rispetto a tutto ciò che c'era stato prima: Silvio Berlusconi. E questo rimane un ulteriore 'passaggio' decisamente stravagante per un Paese fondamentalmente conservatore come il nostro, che tuttavia ama lasciarsi affascinare dalle 'sirene' più vuote e degenerative anziché confidare in soluzioni più razionali e meditate. E comunque, con gli occhi di oggi, bisogna anche ammettere che il 'berlusconismo', pur avendo fallito il proprio compito di 'traghettamento' verso una "rivoluzione liberale" della società italiana, non sia il solo responsabile del proprio fallimento: le destre italiane, fortemente dissimulatrici e culturalmente statiche, rimangono un alleato capace di impaludare chiunque voglia inoltrarsi verso un territorio anche solo parzialmente distinto, rispetto ai miasmi dell'irrazionalismo 'subculturale'. In conclusione, a 20 anni di distanza dalla morte di Bettino Craxi, ben poco è cambiato in Italia. E quel poco che è cambiato, si è spesso rivelato un rimedio peggiore del male. Noi italiani siamo quelli di sempre: avviluppati nelle nostre 'sabbie mobili' ideologiche, immersi fino al collo nell'opportunismo della 'politica politicante', interpretata da attori sempre più 'cani'. Di fronte alla sconcertante banalità di tutto questo, non si può continuare a sostenere che Bettino Craxi non sia stato un leader politico di notevole spessore. E si conferma un colpevole errore continuare a giudicare la classe dirigente espressa dal 'suo' Psi come "una banda", perché così non era: il Psi era un Partito certamente migliore di tanti altri. Di allora e di oggi.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Carlo Cadorna - Frascati - Mail - sabato 25 gennaio 2020 12.11
Gentile Direttore,
la questione non è come l'ha interpretata Lei ma al contrario: legga il libro "I capi dello Stato" di Tito L. Rizzo, Cangemi, a pag 160. Lei avrebbe ragione se i comunisti fossero sinceramente disposti a fare ammenda per i tradimenti del passato abbandonando le metodiche staliniste. Invece qualcuno mi ha dato del "revisionista" soltanto perché ho pubblicato un libro che dimostra la malafede di molta storiografia sulla Grande Guerra.
Vittorio Lussana - Roma - Mail - lunedi 13 gennaio 2020 14.51
RISPOSTA AL SIG. CADORNA: caro Cadorna, non capisco perché dovrei anteporre il punto di vista degli americani rispetto al mio. Gli americani temevano un voltafaccia del Pci? Beh... Si tratta di un'impressione sbagliata e assai distante dalla verità. La questione comunista risultava centrale per passare a un modello di democrazia che non rimanesse inchiodata all'impossibilità di alternanze periodiche - dunque, non di sistema... -. Intorno a tale progetto, che non era meramente tattico, come gli americani sostenevano, c'era anche l'interessamento di Ugo La Malfa e di un bel pezzo dell'area laica, radicali compresi. Oltre a ciò, non credo che il mio punto di vista sugli 'strappi berlingueriani' sia indulgente nei confronti di un dottrinarismo che finiva col congelare dualismi e contraddizioni. Come per esempio, la capacità di intuire cosa chiedessero altre classi sociali, oltre a quella operaia. Cito la marcia dei 40 mila, proprio per far capire che il Pci aveva una visione, sì di emancipazione dei ceti meno abbienti, ma poco interclassista. Un punto di vista che, invece, i socialisti avevano ormai pienamente digerito. Insomma, non mi pare di aver difeso Berlinguer e gli errori comunisti. Affermo, invece, un'altra cosa: il progetto di incamerare l'elettorato comunista all'interno di un disegno democratico e occidentale, come quello britannico per esempio, era reale e teorizzato da più parti. Chi lo nega, fa un pessimo servizio anche alle visioni moderate e conservatrici, poiché si finisce col confermare l'idea che, in una democrazia, non possano esistere fasi, processi ed evoluzioni dinamiche, che comportino quella caduta degli steccati ideologici che non solo è già avvenuta, ma che l'intero mondo progressista di allora stava ipotizzando da tempo, a cominciare da Moro e Craxi, fino a giungere allo stesso Gorbaciov, il quale è stato un vero 'signore' della politica internazionale, ammettendo le difficoltà economiche dell'Urss. Tutto ciò denota una parziale capacità - parziale, ovviamente, perché poi, anche allora, ognuno tirava sempre l'acqua al proprio 'mulino'... - dell'intera classe politica di quei tempi nel saper ragionare anche in termini di previsione e lungimiranza politica. Una lungimiranza che la classe politica attuale, tutta la classe politica attuale, non sa neanche dove stia di casa. Quindi, credo sia necessario che lei chiarisca ulteriormente perché dovrei spegnere il mio cervello e la mia memoria, per ragionare con la testa degli americani. I quali, detto in piena amicizia, sono anche al di là di un oceano e, quindi, non sempre si sono dimostrati infallibili. Per semplici motivi di distanza, culturale e geografica. Cordiali saluti. VL
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - lunedi 13 gennaio 2020 5.21
Bella analisi, ma riguardo a Berlinguer Lei perpetua una valutazione che è smentita da un documento desecretato dagli archivi USA. Ne ha parlato il Corriere della Sera del 13/03/2004:"E. Carretto, "Saragat e Nixon: attenti a quei due".


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