Raffaella UgoliniIn questi giorni, si è celebrata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. E, come al solito, abbiamo dovuto leggere una serie di obiezioni al fenomeno basate su alcune 'tecniche' che, ogni tanto, ci capita di incontrare in merito a precisi argomenti, considerati 'scomodi'. Si tratta di metodologie che, se messe tutte insieme, generano un 'controfenomeno': quello del negazionismo. Innanzitutto, molti lettori sprovveduti lo scambiano per 'revisionismo', che invece è tutt'altra cosa. In secondo luogo, le particolarità del negazionismo non tendono affatto all'approfondimento scientifico di un tema, ma a manipolare fatti, prove e documenti per fini ideologici di vero e proprio inganno. Si tratta di tecniche di faziosità settaria, che si estrinsecano in vari modi: si va dal giustificazionismo cattolico, al vero e proprio 'depistaggio', teso a minimizzare o a relativizzare un determinato argomento o fatto storico. In pratica, siamo di fronte a un tentativo 'piatto' e maldestro di 'relativizzare' molte questioni: una sorta di 'avvelenamento dei pozzi'. Banalizzare un fenomeno come quello dei 'femminicidi' affermando tesi distinte, come per esempio il fatto che molte vittime, per lungo tempo, non hanno denunciato i loro compagni 'maltrattanti', non è funzionale a dimostrare come la nostra legislazione in materia sia ancora arretrata, ma colpevolizza alcuni atteggiamenti del mondo femminile, archiviandoli come masochismo o mera mancanza di coraggio nel prendere determinate decisioni, o nel compiere scelte di vita più drastiche. In buona sostanza, si tende a banalizzare il fenomeno affermando, in via deduttiva, che le donne vittime di maltrattamenti possano esser messe sul medesimo piano giuridico dei propri carnefici. Una convinzione assurda, spesso accompagnata da una serie di parallelismi estremistici, tesi a evocare lo Stato di polizia come metodo esclusivo per risolvere ogni problematica, in breve tempo e alla radice. Una soluzione, quest'ultima, che non risulta affatto efficace - come comprovato da studi e ricerche di livello internazionale - a combattere un crimine. In buona sostanza, il negazionismo proviene da ambiti culturali di retroguardia che reclamano lo Stato di diritto per se stessi, ma lo negano agli altri, teorizzando la repressione come metodo unico e infallibile. Ma tutto ciò fa parte della scena, della tendenza al 'bluff pokeristico', anche quando si hanno in mano pessime carte: una cosa che può capitare in ogni partita. Ma loro no: vogliono giocare lo stesso, per indurre gli altri ad abbandonare il 'piatto', anche quando non vanno oltre il 'due di picche'. Ciò si spiega con il fatto che tali tecniche hanno finalità 'altre', soprattutto propagandistiche. In campo cattolico, per esempio, il vecchio tema della 'giustificazione per fede' deriva da una concezione confessionale dell'interpretazione della norma. Si ritiene, cioè, che il pentimento del colpevole, oppure altri fattori esterni, ambientali, psicologici o di provocazione implicita, non siano semplici attenuanti già contemplate dal diritto penale, bensì che queste possano formare una prova contraria. Nella materia giurisprudenziale, la costruzione di una prova è consentita per finalità d'indagine e di messa in correlazione di diversi indizi. Ma essa, quando non risulta supportata dai fatti, non può entrare a far parte delle prove medesime: contribuiscono solamente a chiarire alcuni elementi 'di sfondo', come si direbbe nel cinema, che dunque non possono 'spostare' più di tanto l'ottica complessiva di un giudizio. Fattori secondari, insomma: dettagli portati forzosamente in primo piano. Tuttavia, ribadiamo: ciò è consentito dal nostro sistema giuridico, se la finalità è quella di un avvocato che intende ottenere una riduzione della pena per il proprio assistito. Ma chi tende a negare un crimine in sede legale, per esempio nel caso dell'omicidio colposo o involontario rispetto a quello intenzionale, ha scopi ben diversi rispetto a chi, invece, sta cercando di analizzare le cause di fondo di un determinato fenomeno sociale. I negazionisti, infatti, generano un 'dolo', danneggiano l'opinione pubblica, che risulta 'sviata', nel suo giudizio complessivo, annullando ogni nesso 'causa/effetto', o addirittura ribaltandolo. Insomma, la maggior parte delle tecniche utilizzate dai negazionisti sono sfruttate per finalità d'inganno, non di attenuazione di un giudizio. Esse variano dall'utilizzo di documenti falsi o contraffatti 'spacciati' come fonti autentiche, al tentativo di discredito della documentazione altrui, fino all'estrapolazione di cifre o percentuali totalmente al di fuori del proprio contesto. Altre tecniche, inoltre, includono la manipolazione dei dati statistici, o traduzioni deliberatamente errate di testi scritti in altre lingue. In sostanza, i negazionisti tendono a produrre nuove prove, anziché sottoporre i propri elementi a una 'revisione paritaria'. Il loro tentativo è quello di riscrivere la Storia, anch'essa utilizzata per sostenere una tesi ben precisa, ovvero come tecnica di propaganda finalizzata alla demagogia, totalmente indifferente alla verità ricostruita da fonti certe o testimonianze accertate. Nelle loro ricostruzoni, i negazionisti sopprimono interi brani e citazioni contrarie alla loro ipotesi, anziché prenderle in considerazione e, se necessario, modificare la propria tesi. Altre tecniche sono le seguenti: a) utilizzare come autentici dei documenti che essi sanno essere falsi, al fine di rimuovere le critiche altrui e fornire supporto a quanto essi stanno sostenendo; b) inventare o produrre implausibili motivazioni, assolutamente non provate, sempre al fine di screditare documenti autentici; c) attribuire volontariamente le proprie conclusioni a testi e fonti alternative, le quali, poste di fronte a un esame rigoroso, spesso affermano esattamente il contrario; d) ricercare spasmodicamente cifre o percentuali 'favorevoli' all'interno di una serie di dati statistici, al fine di individuare un 'numero' che resista all'esame critico degli altri studiosi; e) tradurre in modo parziale o non corretto le fonti in lingua straniera, al fine di strumentalizzarle ad altri scopi; f) creare volontariamente parole, frasi, citazioni, incidenti e avvenimenti per i quali non esiste alcuna prova storica, per riuscire a rendere le proprie argomentazioni maggiormente credibili; g) infine, i negazionisti quasi mai correggono le proprie argomentazioni e rarissimamente le abbandonano del tutto. Ci fermiamo qui, poiché crediamo che ciò dovrebbe quanto meno bastare a dimostrare la scarsa serietà di un dibattito, intellettuale e collettivo, già da tempo trascinato nella 'melma' delle contrapposizioni ideologiche e pseudoscientifiche. Bisognerebbe vergognarsi, in molti casi. Ma figuriamoci se ciò accade. Soprattutto qui da noi, dove non è quasi mai il 'nuovo' ad avanzare, bensì il 'peggio'.


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