Valentina CirilliSuccede in Giappone. Ogni volta che un oggetto delicato, come un vaso o una tazza, cade incontrando inevitabilmente la sua rottura, ci si preoccupa di recuperarne ogni frammento. Non con l'idea di disfarsene. Al contrario: ogni pezzo di ceramica viene abilmente ricongiunto all'altro e sigillato con l'oro. Quel corpo rende così manifesto ogni segno di rottura. L'esibizione della pregevolezza delle cicatrici iscrive quella stessa materia all'interno di un piano espressivo che promette rinascita e nuova vivificazione. Nel procedere difficoltoso di un passo costretto a un ritmo che non riconosce più come suo, l'equilibrio traballa, fino a toccare il crollo. E allora, l'arte del riparare se stessi diviene tanto necessaria, quanto quella di celebrare le proprie fratture. Il duo Deflorian - Tagliarini, andati in scena nei giorni scorsi sul palco del Palamostre di Udine dopo aver ottenuto, lo scorso 4 novembre, la prestigiosa menzione speciale 'Franco Quadri' al Premio Riccione per il Teatro, con 'Quasi niente' hanno saputo sviscerare l'intimissima materia umana nel suo farsi prodotto del rapporto, più che mai lacerato, tra individuo e alterità. Un conflitto insanabile, che attraversa il contesto sociale in cui viviamo, il quale, inospitale e ostile, genera una condizione di emarginazione e, per dirla con le parole di Mark Fisher di "depressione collettiva". Per 'Quasi niente', la ricerca del duo ha come punto di partenza 'Deserto rosso' e la poetica, così tristemente attuale, che il regista Michelangelo Antonioni condensa perfettamente nel personaggio di Giuliana. Impersonata nella pellicola da un'indimenticabile Monica Vitti, Giuliana è il personaggio emarginato per eccellenza: sola, disorientata nello spazio grigio e desertificato dall'impatto di uno sviluppo economico 'vuoto', circondata da un mondo che la vede, ma non l'ascolta. Ella è la sintesi più esatta della fatica dell'esistere. Giuliana è l'espressione di un senso d'inadeguatezza che pervade l'animo di chi non può più superare la frattura profonda fra l'intima pulsione dell'io e l'identità imposta dal "potere di classe" (Fisher): "Mi sembra di avere gli occhi bagnati. Ma cosa vogliono che faccia con i miei occhi? Cosa devo guardare"? Così lamenta Giuliana, in una delle scene più pregnanti del film. Ma sul palco, le 'Giuliane' diventano almeno cinque: Monica Piseddu, Daria Deflorian, Francesca Cuttica, Benno Steinegger e Antonio Tagliarini. La materia autobiografica di ciascun 'attore-personaggio' s'intreccia con la potenza creatrice del personaggio di Antonioni, fino al totale superamento del confine 'uomo-donna'. Cinque figure si stagliano piccole e intimorite da una scena, che risulta spogliata da fondali e quinte teatrali, a eccezione di un pannello trasparente che separa a metà il palcoscenico e risparmia solo pochi oggetti: una poltrona, una cassettiera e un armadio. Sulle note de 'Il surf della Luna', le stesse che fanno da accompagnamento al film, uno a uno i personaggi superano il filtro nebbioso, dando vita a delle 'microdrammaturgie' germogliate dal terreno comune di un'inettitudine esistenziale. Racconti che ci parlano di quel mancato diritto - descritto da Mark Fisher nel saggio 'Il buono a nulla', di cui Daria Deflorian legge un estratto: "Di essere qui, ora; di abitare questo corpo; di essere vestito in questo modo", la cui estenuante conquista si risolve in vertiginoso sentimento di panico e crisi di nevrotica afasia. E' un sipario aperto su un teatro del disagio, che a tratti sfiora la vivacità di una 'stand up comedy', in altri momenti s'immerge nelle atmosfere cupe e sospese del teatro 'beckettiano'. "E se domani, svegliandoci, decidessimo di non starci più? Di chiuderci in bagno anche solo per un_ora, come rifiuto del mondo?" si chiede Francesca, dopo aver trasferito la sua ansia incontenibile percuotendo con forza brutale una cassettiera. Di lì a poco, Antonio afferrerà una sedia e prenderà a girare vorticosamente su se stesso in un moto compulsivo e incontrollato. Ora sì che va meglio: "Quando non sono malata non so cosa farne di me. Mi sento poco interessante, senza sale. Quando non ho mali che mi elettrizzano, sono spolpata dal non sentirmi, non percepirmi, dal vagare svagata", confessa Daria. Insomma, 'Quasi niente' racconta una realtà parallela, nella quale la nevrosi assurge a punto di verità e la rottura è il segnale coraggioso di una macchina umana che si è appena messa in moto. Una volta riparata, anch'essa, come un vaso giapponese, farà mostra delle sue dorate cicatrici, senza più rincorrere quello "spazio di disagio esistenziale, per tornare a immaginare di essere normale".

Quasi niente
un progetto di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini;
liberamente ispirato al film: 'Deserto rosso' di Michelangelo Antonioni;
collaborazione alla drammaturgia e aiuto regia: Francesco Alberici;
con: Francesca Cuttica, Daria Deflorian, Monica Piseddu, Benno Steinegger, Antonio Tagliarini;
collaborazione al progetto: Francesca Cuttica, Monica Piseddu, Benno Steinegger;
consulenza artistica: Attilio Scarpellini;
luce e spazio: Gianni Staropoli;
suono: Leonardo Cabiddu e Francesca Cuttica (Wow);
costumi: Metella Raboni


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