Stefania CatalloIl bilancio delle proteste di questi giorni in Iraq, organizzate contro la disoccupazione, le condizioni di lavoro al limite dello sfruttamento e la corruzione – solo quest'ultima pone il Paese al 12° posto tra le nazioni maggiormente corrotte -  è molto alto: ci sarebbero 42 morti e oltre 2 mila feriti, per opera soprattutto della milizia Asa'ib Ahl al-Haq. Inoltre, il governo ha imposto il divieto agli ospedali di diffondere notizie circa il numero reale delle vittime della protesta. La scintilla era scoppiata il 1° ottobre scorso a Baghdad ad opera di un gruppo di studenti universitari, propagandosi poi in altre capitali mondiali tra le quali Roma, dove una rappresentanza della comunità irachena era scesa in piazza, solidarizzando coi propri connazionali. Per avere un'idea della situazione irachena, basta pensare che la disoccupazione raggiunge tra i giovani il 25%: una percentuale altissima e preoccupante, così come lo è la corruzione, soprattutto nel settore pubblico. A questo, si aggiunge la sparizione di 450 miliardi di dollari in fondi pubblici, erogati dal 2004 a oggi, dei quali non si hanno notizie e che, presumibilmente, sono stati dirottati sui conti di affaristi e politici. A questo punto, la rabbia della popolazione ha preso corpo e le proteste si sono susseguite, partendo da Baghdad fino a coinvolgere altre località del sud-est dell'Iraq: Najaf, Zaferaniyeh, Kut, Diwaniyah, Nassiriyah, Rifai, Mishikhab, Amarah, Hila. La repressione ordinata dal governo è stata feroce: le forze di sicurezza irachene hanno risposto alle proteste sparando proiettili ad altezza uomo, così come riportato dall'agenzia Afp. A supporto dei manifestanti si è espresso l'ayatollah Ali Al Sistani, che ha dichiarato: "Il governo ascolti i manifestanti e le loro richieste, prendendo misure concrete, prima che sia troppo tardi. Altrimenti le proteste si intensificheranno", un monito diretto all'attuale governo iracheno e al suo premier, Adil Abdul Mahdi. Ma non è solo la crisi economica il motivo scatenante delle proteste: c'è anche il problema dei servizi pubblici, che non riescono a soddisfare le esigenze della popolazione. Per avere un'idea della situazione, basti pensare che nella maggior parte del Paese l'energia elettrica viene erogata al massimo per 10 ore al giorno, nonostante Baghdad abbia investito 40 milioni di dollari per la ricostruzione della rete di approvvigionamento idrico. Avere l'acqua potabile rimane un lusso per gran parte della popolazione.

Il contesto geopolitico e il problema delle milizie paramilitari
L'Iraq
ospita al momento migliaia di militari statunitensi, come pure le milizie paramilitari Hashd al Shaabi, che hanno combattuto il Daesh e sono sostenute dall'Iran, alleato del Paese. Queste milizie, prendendo ordini sia da Baghdad, sia da Teheran, sono difficilmente inquadrabili e possono rappresentare un serio problema per la sicurezza dell'Iraq, che da tempo ha iniziato un dibattito interno per stabilire la loro regolamentazione. La rimozione del comandante delle truppe, Abdulwahab al Saadi, vicecapo dell'unità anti terrorismo e considerato da molti iracheni un eroe nazionale nella guerra allo Stato islamico, rischia di innestare ulteriori scontri, complicando così la già difficile situazione in atto.

Il blocco di internet e il coprifuoco

Alla notizia della rimozione di Al Saadi, è partita su Twitter una campagna di solidarietà con l'hashtag #siamotuttiandulwahabalsaadi. Dopo poco, il governo ha deciso il blocco di internet e l'istituzione del coprifuoco, entrambi applicati, a quanto sembra, per motivi di sicurezza. A queste misure, definite dal premier Mahdi "una medicina amara che deve essere ingerita", hanno risposto Marta Hurtado, portavoce dell'Ufficio diritti umani delle Nazioni Unite e Lynn Maalouf, direttrice del dipartimento Medio Oriente di Amnesty International, condannando principalmente l'uso dei proiettili sui manifestanti e l'oscuramento del web.


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