Roberto LabateLo scorso giovedì 4 aprile, pioveva parecchio. Nonostante ciò, siamo andati al Festival internazionale del giornalismo di Perugia, organizzato in un bellissimo palazzo antico, dove prima ci hanno fatto uscire tutti quanti - dato che Lirio Abbate è oggi sotto scorta - e, in seguito, si è tenuta un'attesa conferenza sulla vicenda della giornalista Ilaria Alpi, uccisa a Mogadiscio venticinque anni fa assieme al suo operatore, Miran Hrovatin. 25 anni di indagini e depistaggi, che non hanno permesso ai genitori di Ilaria di arrivare ad alcuna verità giuridica. C'è, tuttavia, una verità storica e giornalistica ormai acquisita, composta da tante inchieste di giornalisti che hanno ormai ricostruito tutto o quasi. Tanto da far dire alla storica Grenier, che da sempre si occupa del caso: "Sappiamo tutto. Sappiamo cosa è successo quel giorno. Sappiamo cosa è successo prima e cosa è successo dopo. E sappiamo anche i nomi degli esecutori, quelle persone del commando che intercettarono la jeep in cui viaggiavano la Alpi e Hrovatin e che li uccisero. Un'esecuzione a sangue freddo, mentre l'autista e la guardia del corpo somali scappavano. E ci permettiamo anche di dire che abbiamo anche qualche 'pistola fumante' che emerge in maniera molto evidente, dalle carte e dal web. Una tecnologia che 25 anni fa era ancora agli inizi". Pier Paolo Pasolini scriveva: "Io so". E sciorinava un lungo elenco di verità inconfessabili sulle stragi di Stato e sui presunti 'golpe' che la sua mente acutissima di intellettuale era riuscita a ricostruire. Neanche ai suoi tempi esisteva il web e la miriade di informazioni che, oggi, si possono attingere e che costituiscono un patrimonio comune che può farci dire: "Noi sappiamo". Perché ci sono molte cose ormai acclarate. E ci sono molte persone che cercano di disconoscere queste verità. Noi sappiamo che Ilaria Alpi e il suo operatore del Tg3, Miran Hrovatin, sono morti assassinati mentre indagavano sullo scandalo della cooperazione fra Italia e Somalia: soldi spesi male e inutilmente. Almeno in apparenza, perché in realtà esisteva un'utilità non dichiarata nel fare alcuni lavori su strade pressoché deserte, in cantieri in cui dovevano essere sepolte 'scorie' industriali, oltre a coprire traffici di armi acquistate negli arsenali smantellati dell'ex Unione Sovietica e mandate a rifornire alcuni Paesi africani in guerra permanente. Come la Somalia, per l'appunto. Armi pagate con permessi e autorizzazioni a seppellire scorie tossiche e radioattive provenienti dalle industrie italiane. Un affare enorme, colossale e sporco, su cui Ilaria Alpi aveva messo il 'naso' e individuato fonti e informazioni per uno 'scoop': una grossa inchiesta di cui aveva anticipato l'esistenza e il lavoro ai colleghi del Tg3 della Rai. Inoltre, noi sappiamo che uno fra i primi ad arrivare sul luogo dell'esecuzione fu il chiacchierato imprenditore italiano Giancarlo Marocchino, intervistato 'a caldo' con in mano i taccuini di Ilaria, il quale affermò: "Probabilmente, hanno messo le mani su qualcosa che non dovevano vedere...". Noi sappiamo che due dei cinque taccuini di Ilaria sparirono defintivamente. Così come molte delle videocassette girate da Miran Hrovatin. E sappiamo anche che, sin da allora, vennero messe in piedi delle vere e proprie operazioni di depistaggio, che coinvolsero i servizi segreti italiani e che porteranno in carcere un somalo accusato di far parte degli aggressori, a lungo fatti passare per banali rapinatori o predoni: una rapina finita male, insomma. Si sa che questa persona, anni dopo, è stata giudicata innocente, assieme ad altri. E che questi presunti 'predoni' sono stati addirittura aiutati e sostenuti dai genitori della Alpi, dopo esser stati scagionati dal lavoro di alcuni capaci giornalisti come Federica Sciarelli e una sua collaboratrice, che individuarono un testimone d'accusa il quale confessò di non essere affatto un testimone e di essere stato pagato per dichiarare il falso da alcuni italiani e dai vari servizi legati al depistaggio. Basterebbe fare qualche ricerca sul web per scoprire che, intorno a  questa vicenda, emergono regolarmente strane cose. Per esempio, che Giancarlo Marocchino ha addirittura creato un sito finalizzato a irridere i giornalisti - o "pseudogiornalisti", come li definisce lui (se non peggio) - i quali avrebbero messo in giro per anni, o sarebbero 'campati', sulla 'bufala' dei traffici di armi e rifiuti tossici, o di "risibili", a suo dire, scandali della cooperazione. Un sito intero di contumelie, attacchi alla stampa e ai giornalisti, perché la Alpi e Hrovatin quel giorno stavano andando al mare o erano in un giorno di vacanza, come ebbe a dire e a ripetere anche l'avvocato Taormina, membro di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso, da cui molti componenti si sono dissociati. Va detto che una parte di quella Commissione concluse che Ilaria e Miran, nel giorno del loro omicidio erano andati al mare e che, lungo la strada, furono vittime di una rapina finita male. Ma noi sappiamo che l'altra parte di quella Commissione firmò un'altra relazione, la quale evidenziava la 'pista' che la Alpi, col suo cameraman Hrovatin, stavano seguendo, sulle tracce di due barche precise, in teoria addette a un programma di cooperazione, ma che, invece, trasportavano altre cose, poi ritrovate in altre imbarcazioni. Barche di cui si persero le tracce e che continuarono a operare per anni. Qualcuno però continuò a seguirle, quelle navi, sino ad arrivare ai traffici di rifiuti tossici e di armi e che, esattamente per questo, vennero fatte affondare, come scoperto da Carlo Lucarelli. Ma perché Giancarlo Marocchino sente il bisogno di costruire un sito per denigrare il lavoro di validi colleghi della stampa e di storici autorevoli, che hanno ricostruito molti fatti? Perché sente il bisogno di negare di aver fatto parte delle operazioni di trasporto di questi materiali - rifiuti tossici e armi - e di non sapere nulla di quelle navi di proprietà della Edilter di Bologna, che in teoria dovevano trasportare pesce e beni di necessità per la Somalia e che dovevano essere usate per la cooperazione? Navi su cui Ilaria Alpi stava indagando e a causa delle quali, molto probabilmente, è morta. Navi che erano state sequestrate e per cui erano pronti a mobilitarsi mezzi della Marina militare, forse proprio perché non si doveva sapere per quali scopi, in realtà, erano state utilizzate. Finalità ben diverse dal trasporto del pesce. Erano queste le cose su cui aveva messo gli occhi Ilaria? Occhi che "non dovevano vedere", come disse 'a caldo' e col taccuino della Alpi in mano Giancarlo Marocchino? Quale tipo di responsabilità si può coprire tramite un sito che denigra, negli anni, il lavoro di giornalisti e storici? Chi aveva, in realtà, il potere di far succedere le cose? Ci riferiamo a un potere militare, in grado di controllare il territorio somalo, o parte di esso? Forse quello del generale Aidid, morto nel 1996, potente signore della guerra autoproclamatosi presidente, non riconosciuto, del territorio in cui avvenne l'uccisione della Alpi? Oppure il suo rivale, Alì Mahdi, anch'esso coinvolto nei traffici di cui sopra? Lirio Abbate, nella sua conferenza 'bagnata' di Perugia, a 25 anni dalla scomparsa della Alpi e di Hrovatin ci ha consigliato di continuare a porre domande. Abbiamo dunque deciso di raccogliere il suo invito e di formularne qualcuna anche noi. Domande che, probabilmente, parlano da sole.


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