Emanuela ColatostiElena Rossi è un esempio di come lo studio accademico possa e debba essere rimesso in circolo nella società civile. Si tratta, infatti, di una giornalista e di un'autrice che pone al servizio della comunità la propria conoscenza della lingua e della cultura araba, inizialmente approcciato nei corsi del suo primo Ateneo romano. Le competenze acquisite durante gli anni dell'università sono state approfondite e completate attraverso esperienze di vita applicate direttamente all'estero, in Paesi di lingua e cultura araba. Giornalista freelance, è responsabile dell'ufficio stampa dell'Università telematica 'Uninettuno'. Dal centro di studi con sede in corso Vittorio Emanuele II in Roma, continua a rendere disponibile il suo sapere per il progetto 'Istruzione senza confini: sanità e immigrazione - Cooperazione internazionale', che vede l'unione delle sinergie di diverse organizzazioni internazionali e delle istituzioni stesse, al fine di fare dell'educazione e dell'istruzione il 'ponte' per una più ordinata integrazione dei rifugiati. Concependo la scrittura come prodotto di una feconda relazione con l'Altro, la Rossi debutta come scrittrice con 'Onda e altri racconti' (Cosmo Iannone Editore), dando voce a storie vere di donne speciali, che altrimenti si spegnerebbero nel silenzio.

Elena Rossi, qual è il motivo che l'ha condotta a scrivere questo suo primo libro, intitolato 'Onda e altri racconti', edito da Cosmo Iannone Editore?
"Penso che la scrittura sia il canale di congiunzione dell'Io con il mondo. Non c'è stato un momento preciso: semplicemente, il percorso della nostra vita stimola, a volte, una creatività che, nel mio caso, è andata a confluire nella scrittura. Per il mio approccio alla scrittura e alle culture devo molto agli insegnamenti di Armando Gnisci, fondatore e ideatore del concetto fondamentale di 'transcultura'. Il professor Gnisci mi ha insegnato a viaggiare nel mondo rispettando le altre culture e le loro differenze. Il lavoro che sto portando avanti con l'Università telematica internazionale Uninettuno, un progetto riguardante molto da vicino i rifugiati, va in questa direzione. Sono entrata in contatto con persone che vengono da culture diverse, in particolar modo donne. Ma ancor prima, bisogna risalire alla possibilità che ho avuto, durante gli studi, di compiere viaggi in Paesi di lingua e cultura araba, toccandole con mano. Tutte queste esperienze di vita emergono in 'Onda e altri racconti'. Quando l'Io si associa con l'Altro diventa scrittura dell'esperienza del tuo vissuto con l'Altro, con gli altri, con il mondo".

Cosa l'ha portata a scegliere il racconto come forma letteraria?
"In Italia, non abbiamo un'editoria propensa alla pubblicazione di racconti, forse perché siamo più propensi alla produzione di romanzi. Per quanto riguarda questo mio lavoro, si tratta di tanti personaggi che mi hanno 'chiamata' e da cui si sono generate tante storie. Sono, infatti, convinta che siano i personaggi a dover chiamare noi. Non c'è una motivazione razionale dietro a questo processo. Entra in gioco la composizione: le storie nascono dal doppio vissuto, il proprio e quello degli altri che incontri lungo il tuo cammino. Ti trovi con tante idee che discendono da tanti sentimenti. Molte donne mi hanno chiamata, una dopo l'altra: per questo è venuto fuori 'Onda e altri racconti'. La prima di esse è una donna che ha partorito su un barcone, in mezzo al mare. Ha chiamato sua figlia Mauj, che in arabo significa: 'Onda'. Insomma, è la vicenda di una donna fuggita dalla Libia. Per questo, il titolo della raccolta, in principio era Mauj. In seguito, sono stata contattata da tante altre donne e ho proseguito nell'ascolto, aggiungendo e riordinando le loro vicende".

È strano che in Italia non ci sia una tradizione di racconti: uno dei padri della nostra lingua è Giovanni Boccaccio col suo 'Decamerone', la cui forma letteraria è stata importata dal vicino oriente: basti pensare a 'Le mille e una notte'...
"Vero: è un fatto che ha dell'incredibile. Quando stavo ancora cercando una casa editrice per la pubblicazione di questi racconti, i colleghi erano allibiti: è difficile trovare un editore che approvi questo tipo di progetto, da renderlo praticamente impossibile darlo alle stampe. Devo dire che sono stata particolarmente fortunata. Non abbiamo una propensione così forte verso il racconto, ma secondo me questa forma letteraria ha una fruibilità maggiore: in poche pagine, si possono far emergere veramente tantissimi contenuti. Si caratterizza come una scrittura veloce e meno corposa, rispetto al romanzo. E, a parer mio, si presta anche a una lettura più giovanile: io difendo i racconti a spada tratta".

L'onda del mare da cui proviene la prima donna che ti ha chiamata è visibile, ma nel mondo ci sono anche tante donne invisibili: si può dire che alcune protagoniste dei suoi racconti si colorino e diventino visibili proprio grazie alla sua scrittura?  
"La scrittura è un dare voce che, propagandosi per onde sonore, diviene strumento di comunicazione. Le voci nel mondo sono tante e diverse, ciascuna meritevole di essere ascoltata. Le voci, a volte, parlano linguaggi diversi, poiché provengono da culture ben distinte, ma sono parte di un'unica grande voce, che si chiama umanità, che è anche donna. Sono rimasta colpita che tante donne, tutte molto diverse tra loro, dopo aver letto 'Onda e altri racconti' ne siano rimaste colpite. Al di là dei premi e dei riconoscimenti, questo era l'obiettivo: che i miei racconti creassero emozioni per le donne".

E' chiaro che le donne siano le prime destinatarie di questo lavoro, ma ci pare ancor più difficile pensare che esso possa raggiungere molti uomini: cosa ci dice al riguardo?
"Non ne farei una questione 'sessista'. Tuttavia, 'Onda e altri racconti' è pensato soprattutto per le donne. E mi fa piacere che sia stato apprezzato e che continui a essere apprezzato da donne diversissime tra loro, che si sentono accomunate dallo stesso sentire. Quindi, nonostante le differenze, siamo tutte molto simili".

A proposito di differenze, in che modo lo studio della lingua e della cultura araba le ha permesso di guardare con occhio diverso ciò che non è culturalmente familiare per la cultura occidentale?
"In realtà, è un 'occhio' diverso solo rispetto alle nostre diverse società. Io penso che le lingue siano un 'ponte'. Parlare l'arabo - che ai tempi dell'università era sicuramente più fluente - mi ha permesso di muovermi in determinati luoghi sì come una straniera, ma restando sempre padrona di una lingua con cui potevo parlare, attuare scambi, comprendere alcuni significati di espressione tipici della singola cultura specifica. Ciò mi ha concesso un canale di congiunzione diverso. In questo periodo, per esempio, sto studiando in Francia, per motivi personali. Ebbene, all'inizio non parlavo neanche una parola di francese. Oggi, invece, riesco a districarmi anche in questa lingua. E questa nuova competenza acquisita, mi permette una comunicazione migliore con l'Altro. Considero le lingue come delle 'frecce', che entrano nel cuore, nell'animo e nella testa del prossimo. E penso sia bello e doveroso appropriarsi di linguaggi diversi e, al contempo, simili. Anche la semplice lettura in lingua di tradizioni letterarie diverse, persino quelle più antiche, consente di immergersi meglio nel mondo che gli autori del tempo continuano a restituirci nei secoli. Nelle traduzioni, spesso, si perde quell'espressività letteraria e comunicativa dalla lingua originale: si perdono pezzi".

Dunque, linguaggio è una forma di vita? Esso vive con le persone che lo articolano e lo parlano?
"La possibilità di entrare in contatto con vocaboli arabi, mi ha dato la capacità di descrivere meglio tradizioni  e consuetudini. Mi auguro che da 'Onda e altri racconti' emerga una sonorità che appaia più familiare. Spero che l'aver assimilato una lingua abbia fatto diventare vicine cose lontane. Parlare di certe situazioni e di immigrati conoscendo l'arabo è certamente un 'punto di forza': avvicina il lettore, non lo allontana. Non dovremmo mai stancarci di dedicarci all'accoglienza e all'avvicinamento reciproco di cuori, culture e anime".

Le sue donne sono straordinarie, ma nessuna di noi vorrebbe fosse necessario essere tali a causa della sofferenza: come si può rendere giustizia anche alla 'normalità invisibile', quella di tutte le altre donne che non sono così eccezionali, nella loro specificità?
"Ritengo che la nostra individualità sia sempre unica: tutte le donne sono uniche. In 'Onda e altri racconti' ci sono storie 'uniche', insieme ad altre molto comuni. Per esempio, c'è la storia di una prostituta della 'Milano bene': una vicenda quasi ordinaria, che passa inosservata. In fondo, si tratta semplicemente di farle parlare, al fine di metterle in comunicazione con il lettore, dando loro uno spazio di espressione".

Cerchiamo, però, di circoscrivere il termine 'quotidiano' riferito a quelle donne 'standard', che trascorrono un'esistenza che più normale non si può: non merita giustizia e voce anche la loro invisibile lotta quotidiana nella società di oggi?
"L'augurio che mi sento di fare a tutte le donne è quello di conoscere, sempre. La conoscenza è un processo infinito: ognuno di noi ha la possibilità di viaggiare persino grazie allo studio, alla lettura e alla scrittura. Non è necessario avere un'alta professionalità, per iniziare a compiere il viaggio infinito della conoscenza. Ci sono donne che hanno una bellezza interiore e delle storie da raccontare, anche se apparentemente hanno avuto una vita ordinaria. Bisognerebbe, inoltre, comprendere meglio cosa sia la quotidianità, perché dietro a ogni quotidianità c'è una possibile storia che va tirata fuori: c'è un mondo infinito dietro ognuna di noi. La quotidianità è dunque un sentire solo apparentemente banale, fatto di gesti ricorrenti. Ma cosa c'è dietro a questi gesti? Dove si arriva a viaggiare, quando non si può farlo con i piedi, ma solo con il potere della mente"?


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