Valentina SpagnoloIn accordo con le progettazioni approvate, negli anni scorsi, dai dicasteri della Giustizia e della Sanità, il tavolo di consultazione permanente nel 2015 ha approvato un accordo volto a proporre alle Regioni dei modelli di riferimento, innanzitutto per il contenimento e l'organizzazione della rete sanitaria nazionale e regionale, affinché potesse essere mantenuto un degno e stabile apporto assistenziale per le persone detenute in carcere. Gli aspetti più generali dell'assistenza vennero affrontati secondo metodologie operative standard, condivise ai vari livelli. Era infatti raccomandata, in quel documento, l'attenzione ai detenuti tossicodipendenti. Il testo normativo prevedeva l'impegno delle Regioni e delle Asl attraverso una specifica programmazione, realizzata con il contributo dei Provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria. Pertanto, risulta garantita, primariamente, la cura adeguata in ambito detentivo, anche attraverso l'attivazione di particolari programmi di sostenimento e attivazione. Il documento raccomandava particolare attenzione ai detenuti tossicodipendenti e alcoldipendenti. I provvedimenti, già riferiti dal Dpr n. 309 del 1990, hanno avuto un riscontro costituzionale con pieno riferimento alla illegittimità e modifiche alla normativa degli stupefacenti, a partire dalle introduzioni del 2006. È stata attuata una distinzione particolareggiata tra sostanze stupefacenti in droghe leggere e droghe pesanti. Pur trattandosi propriamente di un provvedimento 'svuotacarcere', quella sentenza ebbe un'ampia conseguenza d'impatto sulla popolazione detenuta. Infatti, alla fine dell'anno 2014, è stata stimata la percentuale di detenuti presenti con ascritto il reato di cui all'articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti, sino a un tasso pari al 34 per cento. Inoltre, si sono aggiunti, a tali dati, forniti dalla disciplina normativa, le considerazioni attribuibili nell'ultimo decennio a un aumento considerevole del numero dei detenuti e del sovraffollamento carcerario. Nonostante ciò, dal 2011 si è notevolmente e progressivamente costituita un'alta contribuzione per far diminuire la popolazione detenuta, soprattutto riportando il rapporto con i posti regolamentari della norma (pari a 139 detenuti ogni 100 posti regolamentari sino al 2005). Dal 2010, sono stati inoltre approvati i cosiddetti provvedimenti 'svuotacarcere' - per cui, alla fine del 2014, si riscontrò un abbassamento del numero dei detenuti - e le misure che hanno riguardato brevemente i testi, contribuendo fortemente al mantenimento della possibilità di una piena dignità del condannato e, soprattutto, delle esigenze finalizzate alla rieducazione in veste risarcitoria. La composizione della popolazione detenuta dimostra, collocando attualmente il fenomeno in evoluzione a livello europeo, un'alta presenza di detenuti stranieri, per cui si possono focalizzare le aree dei principali Paesi di afflusso: Nord Africa ed Europa dell'est. I rapporti, confermati dalle normative anzidette, si attengono a quelli che sono i fenomeni attuali, fornendo così uno spunto di analisi e controllo a livello regionale per gli istituti di igiene, permettendo un'accoglienza del tossicodipendente e un monitoraggio completo per una sana detenzione. È necessario operare tale distinguo, in quanto i soggetti posti in ingresso nel sistema carcerario potrebbero, innanzitutto, presentare delle problematiche correlate alla droga, oppure di completa dipendenza. I dettami normativi del 2015 sottolineano l'importanza dei trattamenti olistici - innanzitutto per le finalità anzidette - principalmente orientate a una considerazione delle prigioni come dei luoghi ridimensionati favorevoli alla rieducazione del condannato, ma soprattutto alla possibilità di condizioni di convivenza sane. Mediante il rispetto di tali condizioni si può, dunque, esprimere e definire il carcere come una vera e propria comunità. La mancanza di un'adeguata considerazione della complessità e peculiarità del sistema sanitario carcerario può evitare il crearsi di condizioni sfavorevoli alla disomogeneità dei percorsi clinici. Tali negligenze possono quindi evitare il crearsi di quelle condizioni d'integrazione per le cure, attinenti soprattutto all'incontro delle persone in carcere, per esempio in tutte le situazioni comportanti un legame madre-figlio, oppure rapporti a distanza tra famiglie disgiunte. Sarebbe quindi plausibile immaginare un possibile adeguamento progressivo dei luoghi di detenzione, affinché si realizzi una piena e completa rieducazione del detenuto, anche al fine di favorire una prosecuzione dei legami familiari.


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