Vittorio LussanaQuel che sconcerta dell'attuale situazione politica italiana è notare come alcune posizioni politiche, in particolar modo quelle di Alessandro Di Battista, ottengano una visibilità mediatica praticamente assoluta, come se costui fosse portatore di una serie di 'scoop' dell'ultima ora, o dell'ultimo minuto. In realtà, siamo di fronte a una sorta di 'strana rivincita' del vecchio Partito comunista italiano, o qualcosa di simile. Prendiamo l'attuale questione venezuelana: le prese di posizione di questo 'ragazzotto' sono sostanzialmente riuscite a immobilizzare il Governo italiano, il quale ha dovuto assumere una posizione ambigua, che per l'ennesima volta ha isolato politicamente l'Italia rispetto a tutti gli altri Paesi europei e mondiali. E tutto ciò avviene dopo l'ennesima 'brutta figura' causata dallo stesso Di Battista con la sua 'boutade' relativa al Franco Cfa, rivelatasi ben presto una 'bolla di sapone'. L'attuale presidente del Venezuela, Nicolàs Maduro, potrà anche risultare più simpatico del liberale Jose Guaidò, sostenuto dagli Stati Uniti di Donald Trump. Ma la verità è che Alessandro Di Battista della questione venezuelana conosce pochissimo. E più in generale, le sue posizioni in politica estera risultano viziate da un antico, antichissimo, pregiudizio 'antiamericano' che persino noi, che certamente non amiamo l'attuale presidente degli Usa, riteniamo eccessivo. Il Venezuela aveva le carte in regola per diventare una sorta di Svizzera dell'America Latina, poiché posizionato esattamente al di sopra del più vasto giacimento petrolifero dell'intero continente americano. Ma proprio l'immensa ricchezza del suo sottosuolo, in particolar modo del suo 'mare territoriale', ha finito col diventare la causa stessa del suo impoverimento, a favore del quale in molti hanno apportato il proprio malefico contributo, poiché pervasi unicamente da avide logiche di sfruttamento. Il problema, invece, dovrebbe essere inquadrato sotto un'ottica totalmente diversa: le elezioni del 20 maggio 2018, che hanno portato Nicolàs Maduro alla guida di questo Paese sudamericano sino al 2025, non possono essere considerate legittime sotto il profilo della libertà popolare e della democrazia, sia per l'altissimo tasso di astensionismo (più del 50% della popolazione venezuelana non è andata a votare), sia per le pesanti pressioni che molti cittadini hanno subìto affinché accordassero il loro consenso al successore (per decreto, ndr) di Hugo Chàvez. Risulta perciò evidente, la necessità di una verifica della legittimità democratica della sua elezione, attraverso un nuovo confronto aperto a tutte le forze politiche presenti in quel Paese. In realtà, dopo la recente vittoria di Jair Bolsonaro in Brasile, si teme uno spostamento verso destra dell'intera America Latina. E si sospetta che dietro a tutta quest'operazione vi sia la 'longa manus' degli Stati Uniti e della Cia, i quali per interi decenni hanno strangolato l'economia venezuelana al fine di costringere Caracas a 'svendere' il proprio petrolio a prezzi 'stracciati'. Cosa che avviene ancora oggi a favore di Russia e Cina e che spiega perfettamente le recentissime posizioni assunte dal Governo di Mosca presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ebbene, tutto questo non basta a giustificare il fatto che la vittoria di Maduro dello scorso anno abbia rappresentato, agli occhi della comunità internazionale, una forzatura, poiché egli ha imposto la propria rielezione emarginando le opposizioni, letteralmente tolte di mezzo con metodi discutibili, se non intimidatori. Così facendo, l'attuale presidente del Venezuela ha 'seminato' un 'vento' che rischia di trasformarsi in una tempesta. L'errore, insomma, è sempre il medesimo: anziché pensare al futuro del proprio Paese, i politici di questa precisa fase storica, di destra o di sinistra che siano, pensano principalmente a se stessi e alla prosecuzione della propria carriera politica individuale. La posizione di Maduro, inoltre, non è affatto socialdemocratica, ma 'bolivarista', ispirata cioè a un socialismo partecipativo imperniato sulla democrazia diretta - come nel caso del Movimento 5 stelle - destinato al fallimento economico prima ancora che politico, perché quando i 'soldini' finiscono non è più possibile continuare a fare le 'anime belle'. La questione venezuelana ripropone la classica vicenda di un Paese sudamericano che si ritrova in una situazione di drammatica povertà, con tassi di delinquenza e di corruzione interna a dir poco terrificanti. Problemi che di certo non si risolvono con le contrapposizioni 'muro contro muro', poiché si rischia di spaccare l'intero Paese, trascinandolo verso la guerra civile. Le nazioni non vanno mai divise al proprio interno, tantomeno sulla base di motivazioni ideologiche o nostalgie 'guevariste', bensì debbono essere guidate verso l'uscita dal loro 'inferno'. Nessun Paese al mondo ha mai avuto 'vita facile' nell'affrancarsi dalle proprie arretratezze economiche e sociali. Non riuscire a comprendere che il Venezuela ha indubbiamente bisogno di rimanere unito e di confrontarsi democraticamente, anche per guardarsi bene allo 'specchio' e rendersi conto delle proprie condizioni interne, significa avere la testa completamente arrugginita da vecchie suggestioni, le quali, ammantate da discutibili 'mistiche populiste', tendono a rimuovere ogni accettazione consapevole del clamoroso fallimento dei socialismi 'utopisti'. Si tratta, infatti, di modelli politici pararivoluzionari che appartengono a un alveo culturale settecentesco, 'rousseauiano' o giacobino che dir si voglia, in cui l'assemblearismo popolare produce una democrazia lenta e farraginosa, connotata da uno scarso rispetto nei confronti delle minoranze, che invece debbono essere tutelate da apposite garanzie costituzionali. La generazione dei Luigi Di Maio, dei Danilo Toninelli e degli Alessandro Di Battista proviene da un ceto 'piccolo borghese' che non solo non ha mai compreso veramente gli 'strappi' ideologici e di contenuto più coraggiosi di Enrico Berlinguer, ma che si è sempre rifiutata di accettarli poiché in lui si è sempre e solo apprezzato l'immagine seria e rassicurante di un leader utile per raggiungere il potere. A qualunque costo e accettando qualsiasi compromesso, anche quello più 'al ribasso'. E oggi, infatti, il compromesso che regge l'attuale Governo Conte, imperniato attorno a uno stravagante 'contratto di Governo', è il peggiore che si potesse concepire, poiché dimostra fotograficamente l'improvvisazione politica e l'impreparazione culturale di persone che con la democrazia liberale non hanno mai avuto nulla a che fare. Non si fa un Governo sulla base di uno strumento di diritto privato, perché poi la realtà ti pone immediatamente innanzi a una questione non prevista, in cui le differenze tra le forze contraenti emergono improvvisamente, paralizzando tutto e tutti. Il Movimento 5 stelle non è un forza politica di popolo che si è ritrovata a governare il Paese, ma una élite di piccolo borghesi che hanno creato una vera e propria macchina propagandistica, gettando a mare tutti gli sforzi che l'Italia più aperta e progressista, pur tra le sue infinite crisi e guerre intestine, aveva cercato di produrre per raggiungere la sponda laica e socialdemocratica del panorama politico italiano. E non è affatto un caso, inoltre, che la medesima 'figurella' sul Franco Cfa non l'abbia fatta solamente Alessandro Di Battista, ma anche la stessa Giorgia Meloni: si tratta di personaggi politicamente improvvisati e di basso rango, il 'peggio' che le destre e le sinistre di un tempo potessero riproporre. Si tratta di esponenti che, nella foga di cambiare un Paese troppo a lungo 'inchiodato' attorno alla 'querelle' tra 'berlusconismo' e 'antiberlusconismo', si sono fatti avanti al fine di dimostrare di essere persone 'tutte d'un pezzo': solo a parole, ovviamente, non certo nei fatti. Siamo di fronte a degli emeriti sprovveduti, reduci da una Storia e da un Paese che non esiste più e che ragionano in base a schematismi, dottrinari e politici, completamente superati. Il binario delle moderne democrazie si regge, oggi, sul confronto tra le forze socialdemocratiche e una moderna visione liberalpopolare: non è rimasto 'in piedi' nient'altro, dopo il crollo delle ideologie del 1989. E' esattamente questo il risultato della vittoria delle democrazie occidentali sulle dottrine assolutiste e deterministe. Invece, si continua a rimuovere la questione, che non è nient'altro che quella di doversi mettere l'anima in pace in merito alla vittoria dei socialismi riformisti e della laicità liberaldemocratica. Una 'partita' vinta dai nostri padri e non certo dai loro.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - giovedi 31 gennaio 2019 21.3
Risposta al sig. Carlo Cadorna: gentilissimo lettore, la sua analisi è perfetta. E' esattamente per questi motivi che, anche se tendenzialmente progressisti, non possiamo schierarci con un Governo di minoranza, votato ed eletto solamente da una parte del Paese venezuelano. Non è corretto farlo: bisogna essere intellettualmente onesti. E, mi dispiace, ma un parte di questo Paese non lo è, o non lo è più. Siamo in balìa di visioni estremiste e contraddittorie. Cordiali saluti. VL
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - giovedi 31 gennaio 2019 7.59
Vent'anni fa il Venezuela viveva con il nostro livello di benessere: poi Chavez, eletto democraticamente soltanto la prima volta (poi introdusse il sistema digitale che bara) impose dei provvedimenti che obbligavano le imprese ad aumentare gli stipendi senza poterne scaricare il costo sui prezzi. E fu la fine dell'economia venezuelana perché tutte le imprese estere (che ne avevano determinato la ricchezza) se ne sono andate. Oggi il Venezuela non produce più niente e le risorse petrolifere (già scarse per l'inefficienza di PDEVESA) vengono rubate da Maduro e dai suoi generali. Se ne esce soltanto con un voto realmente democratico.


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