Vittorio LussanaSiamo ormai a pochi giorni dal 19esimo anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, avvenuta ad Hammamet (Tunisia) il 19 gennaio 2000. E, ovviamente, si rincorrono i pensieri e le nostalgie in merito a un mondo politico, quello della prima Repubblica, che pur risultando a 'due facce', seppe garantire stabilità e sviluppo al nostro Paese, dapprima generando un 'boom' economico tra i più dinamici d'Europa e, forse, del mondo, in seguito gestendo con equilibrio l'onda 'lunga' che quel ciclo di prosperità aveva saputo garantire, pur tra qualche crisi ciclica o periodica. Si trattava di una classe politica preparata, autorevole e lungimirante praticamente su tutti i fronti, mentre oggi ci ritroviamo di fronte a un populismo chiassoso e immaturo, che finisce col giustificare lo sguardo di molti verso il passato, remoto o prossimo esso sia.

On. Craxi, siamo ormai vicini al 19esimo annivversarsio della scomparsa di suo padre: non si può certo dire che la politica italiana, oggi, sia migliore di quella di ieri, non trova?
"E' un'Italia smarrita, profondamente in crisi. L'anniversario della scomparsa di mio padre non è solo l'occasione per un omaggio allo statista, al leader politico, all'uomo e al padre, ma anche di riflessione, l'ennesima, sulla sua capacità di vaticinio e previsione sui tempi che avrebbero atteso il Paese, senza alcuna rimozione dei ritardi che colpivano la democrazia italiana, la quale, infatti, è arrivata agli appuntamenti decisivi con il nuovo secolo del tutto impreparata: debole in Europa, debolissima nell'affrontare i processi di globalizazzione che hanno comportato nuove povertà e migrazioni fuori controllo. Questa politica occupata dal populismo delle classi dirigenti, del popolo e del territorio, non è in grado di fornire delle risposte di prospettiva e si agita nel giorno per giorno. Tutto questo non può che preoccuparci".

Cosa è stato previsto per la commemorazione di quest'anno? Qualcosa di particolare?
"C'è la benemerita iniziativa della Fondazione a lui dedicata, presieduta da mia sorella Stefania, che ha previsto mostre e celebrazioni ad Hammamet. Gli italiani, socialisti e non, offrono sempre il loro omaggio con una partecipazione commovente alla 'Cerimonia del Cimitero' e al piccolo luogo di culto cristiano della cittadina. E' sempre un momento molto suggestivo: entriamo nel 20esimo anno dalla sua scomparsa. Io, volendo superare il mio personale riserbo quando si tratta della figura di mio padre, ho deciso quest'anno di rendere un omaggio speciale: sto lavorando a una rappresentazione da portare in qualche teatro italiano, una mia lettura dei suoi testi. Una specie di 'Craxi legge Craxi'. L'idea mi è venuta incontrando qualche settimana fa il mio vecchio amico (è diventato vecchio pure lui..) Cristiano De André, figlio di Fabrizio, che interpreta da diversi anni nei teatri le canzoni del padre. E' un omaggio che dev'essere fatto senza complessi e che possiede, più che mai di questi tempi, un significato politico che credo non sfugga. Vedremo se riuscirò a portare a termine questo progetto".

Alcuni imputano l'attuale processo degenerativo della politica italiana alla discesa in campo di Silvio Berlusconi, con il suo 'supermercato delle idee': lei crede che il 'berlusconismo' abbia seguito la 'scia' della rivoluzione giudiziaria di Tangentopoli per semplice opportunismo, oppure ritiene che quanto accaduto sia da sommare con il crollo delle ideologie del 1989?
"Berlusconi aprì la strada a un populismo in forma 'light', ma il suo non fu affatto un proposito. Ritengo che egli generò un nuovo modello politico, ma in totale e perfetta buonafede, mantenendo sempre un carattere fortemente democratico nella sua condotta politica, rispettoso delle istituzioni e della storia democratica di questo Paese, che avevano conosciuto una profonda crisi. Il populismo da cui siamo circondati, in particolare in Europa, ha radici ideologiche che in Italia non ritroviamo: qui sta la differenza sostanziale. Lo stesso sovranismo o neo-nazionalismo, applicato per esempio al caso spagnolo, affonda le sue radici in vicende antiche, condivisibili o meno, che tuttavia intendono rinnovarsi attraverso queste nuove forme politiche. Lo stesso movimento francese adotta, seppur partendo da basi teoriche e rivendicazioni diverse, l'antico giacobinismo per giustificare un movimento di popolo che intende sovvertire lo 'status quo'. In Italia, non esiste, invece, alcuna base ideologica che giustifichi e possa interpretare questo tratto eversivo del 'populismo di governo'. Noi, pur semplificando e per ragioni di propaganda politica, ci rifacciamo al 'diciannovismo' che sfociò nel periodo totalitario. Esistono, in verità, degli impulsi di carattere 'fascistoide' e persino 'nazistoide', ma nulla che riproduca la perversa solidità del ventennio 'mussoliniano', di cui vedo replicate, sovente, le pagine peggiori, il militarismo e persino le leggi razziali, tralasciando l'unico elemento che la storiografia ha saputo salvare di quel regime: la capacità di riorganizzazione dello Stato. Sono un vero pericolo, questi governanti".

La nostalgia per le tradizioni identitarie, basate su valori e principi precisi, anche se distinti tra loro, trova oggi giustificazione, secondo lei? Un ritorno al passato avrebbe ragion d'essere, oppure si tratta di rimpianti velleitari?
"La questione non è tanto la giustificazione, quanto lo spazio politico e culturale: a quale fonte dovrebbero abbeverarsi le nuove generazioni, se tutte le forme di divulgazione delle idee si stanno pericolosamente rinsecchendo? L'Italia è stato un Paese in cui si è 'masticato' a lungo politica e ideologia: anche troppo, se vogliamo. Ancora oggi, siamo il Paese più politicizzato, dato che ci appassioniamo alle vicende della cosa pubblica come fosse un campionato di calcio, ma nelle forme deteriori della dittatura del presente, del giorno per giorno, come dicevo poc'anzi. Non ci può essere un automatico ritorno al passato, ma un adeguamento delle antiche dottrine politiche e culturali al mondo moderno. E, in tal senso, penso che le forme più idonee per contenere le spinte debordanti del populismo restino la tradizionale socialdemocrazia e le aree laiche e democratiche che sapranno opporsi a questo stato di cose, ripristinando non un ritorno al passato, ma alla normalità. Il resto è solo il rischio dell'estremo avventurismo, che presto o tardi ci porterà in aperto conflitto prima verso l'esterno, considerato una minaccia e poi all'interno, generando conflitti fra noialtri, prima fra correnti politiche diverse e, in seguito, fratturando la società. Ma fino a quando non toccheremo con mano questi rischi reali, avanzeremo fra i ghiacci come il Titanic, fino a incontrare il primo iceberg".

Siamo alla fine della politica, secondo lei?
"Siamo al 'giro di boa' del nuovo secolo: il primo tagliando in cui potrebbe ancora prevalere lo spirito che seppe costruire i valori delle democrazie occidentali e il punto di riferimento di tutte le Nazioni Unite. L'agenda politica è gravida di obbligazioni e compiti verso l'umanità. Ed essa non concerne soltanto la difesa e la promozione dei diritti umani e sociali, ma anche il nostro impegno verso le generazioni dell'avvenire, affinché venga lasciato loro in dote un pianeta meno inquinato, che si sia saputo liberare dell'angosciante 'conto alla rovescia' delle catastrofi ambientali da noi stessi generate. Ecco perché democrazia e valori liberali possono solo progredire: se vi è consapevolezza dell'estrema interdipendenza mondiale, avere in conto tutto questo significa riedificare la politica. I cantori della globalizzazione avevano immaginato che essa avrebbe favorito, innanzitutto, la circolazione di merci e di denaro. L'attualità, invece, ci dice che a circolare nel futuro saranno soprattutto i popoli, le genti e che il nuovo nomadismo è appena iniziato. E' necessario, quindi, che si prepari il prossimo cinquantennio, non i prossimi cinquant'anni. E chi può e deve farlo, se non la politica"?

Le elezioni europee si stanno avvicinando: lei ritiene che l'ondata 'populista' tracimerà definitivamente, travolgendo la costruzione del progetto europeo?
"Non credo: avranno una buona affermazione, ma non riusciranno a rovesciare la maggioranza degli orientamenti, che in Europa resta legata allo spirito di fondo dell'Unione. Poi, naturalmente, sarà necessario cambiare molte cose, sapendo cogliere tutti gli elementi che hanno deflagrato per correggere e riformare. In questo senso, il populismo è stato un fatto utile, per non commettere gli errori del passato".

Il vento di protesta che sembra spirare di questi tempi è causato dalle politiche di austerity e da una miope politica nei confronti dell'immigrazione? Non crede vi siano stati anche errori macroeconomici evidenti, a partire da una moneta unica che sarebbe stato meglio adottare alla fine di un processo di unificazione e non all'inizio?
"Sono assolutamente convinto che questo 'senno del poi' sia maturato anche nel più convinto sostenitore dell'Unione europea. Tuttavia, sono state proprio le destre conservatrici a dominare la scena politica, negli ultimi decenni. Se osserviamo il comportamento della destra inglese o di quella tedesca, vediamo che esse hanno assunto due comportamenti perfettamente opposti: la Germania ha monopolizzato la rigidità europea, mentre la Gran Bretagna ha rappresentato l'anima secessionista, in definitiva populista, dell'Unione. E' la crisi della destra, in realtà, ad aver generato questo 'bailamme'. E l'errore di una certa sinistra europea è quello di aver assecondato questo cammino, che ci ha condotti a un sistema le cui rigidità hanno finito per prevalere anche su chi ha tentato dei cambiamenti in corso d'opera. Senza la guida di Mario Draghi alla Bce, l'Europa della moneta sarebbe andata a gambe all'aria molto prima. Almeno questo, è un merito che gli italiani possono registrare come proprio".

Più Europa o meno Europa? Qual è il suo pensiero attorno a un simile dilemma?
"Dobbiamo insistere a chiederci quale Europa vogliamo e verso quale Europa vogliamo indirizzarci. Non verso un'Europa sottratta al controllo dei poteri democratici e non verso politiche determinate solo sulla base di criteri macroeconomici, indifferenti di fronte alla valutazione dei costi sociali. 'Non un'Europa in cui la modernizzazione diventi brutalmente sinonimo di disoccupazione, ma un'Europa in cui le rappresentanze sindacali abbiano un loro spazio, una loro dignità e la loro influenza. Un'Europa capace di condurre una vera politica estera e una più larga apertura verso il mondo più povero, che preme alle nostre porte e che ha bisogno di uscire dalla depressione, dalla stagnazione, dal sottosviluppo, senza che le ondate migratorie divengano sempre più inconttrollabili...'. Ecco queste erano le considerazioni di mio padre, Bettino Craxi, risalenti a venticinque anni or sono, molto attuali, che mi sento, ancora oggi, di sottoscrivere".

Il movimento socialista internazionale: secondo lei, è necessario che i Partiti socialisti europei insistano per un riformismo 'lib-lab', oppure siamo in una fase in cui sarebbe meglio 'segnare il passo', tornando verso forme di assistenza e di tutela delle classi lavoratrici e dei ceti meno abbienti?
"Il problema non è quello di 'alambiccarsi' dietro le formule astratte o che riguardano una fase specifica: dobbiamo sapere che anche il movimento socialista, in Europa, ha commesso degli errori di sottovalutazione. Pertanto, esso deve riprendere il suo cammino rimanendo fedele ai propri principi e valori di fondo, che rimangono scolpiti: la giustizia sociale, la libertà, la democrazia e la fratellanza fra i popoli. Solo così può e deve progredire il movimento socialista italiano, sapendo reinterpretare il periodo politico che stiamo vivendo senza dare nulla per scontato. Non è affatto scritto da nessuna parte che i socialisti italiani siano scomparsi definitivamente. E bisogna battersi per questo".

Un suo commento, infine, sulla vicenda dell'estradizione di Cesare Battisti: è un'occasione per fare giustizia, oppure per chiudere definitivamente la stagione del terrorismo di estrema sinistra?
"Questa vicenda, che si chiude dopo anni di peripezie e che vede assicurato alla giustizia un criminale comune che si faceva 'schermo' delle formazioni politiche combattenti degli anni '70, è stata l'occasione per una 'chiassata' inopportuna, condita di giudizi casuali su una delle pagine più tristi della nostra storia democratica. Battisti, più che un 'agit-prop' del comunismo internazionale, era un personaggio minore, che ha goduto di inopportune coperture politiche. Detto questo, va ricordato che senza il concorso delle grandi forze democratiche, Partiti della sinistra e sindacato in testa, non saremmo mai venuti a capo dell'insorgenza terroristica nel nostro Paese, che durò più di un decennio".


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