Michele Di Muro'Schegge mistiche' è il titolo della mostra inaugurata lo scorso sabato 20 ottobre presso la 'Galleria Pietrosanti G.d.A.' (Grafica d'autore, ndr) di Roma. Il finissage, previsto inizialmente per il 27 corrente mese, è stato posticipato al 3 novembre. Peraltro, il vernissage a cui abbiamo preso parte ha registrato un'ottima affluenza di pubblico. Patrocinata dal I Municipio della capitale e dal museo della Sindone, la mostra, curata da Silvia Mattina, segna il debutto ufficiale del fotoreporter e regista televisivo Danilo Mauro Malatesta. Nato a Chicago nel 1966, sin da giovane si occupa di fotografia. Tra gli anni '80 e '90 ha lavorato sul campo in zone di guerra, fotografando eventi di grande rilevanza storica, come la ritirata delle truppe cubane dall'Angola (1988/1989) o la guerra Rwanda-Burundi nel 1995. Oggi, Malatesta lavora come regista televisivo per la Rai, ma non ha mai abbandonato la passione per la fotografia, specializzandosi nello sviluppo attraverso le più antiche tecniche di stampa. Il lavoro di ricerca ha condotto questo bravo fotografo alla riscoperta dell'ambrotipìa: antico processo di realizzazione di immagini fotografiche su lastre vitree. Si tratta di un'invenzione risalente agli albori della tecnica fotografica, che prende il nome da James Ambrose Cutting, il quale ne ha depositato il brevetto nel 1854. La lastra di vetro viene dapprima preparata con il collodio miscelato con dei sali e quindi, prima che si asciughi, viene immersa in una soluzione di nitrato d'argento, che rende la lastra fotosensibile. A quel punto, si procede allo scatto fotografico. E' una tecnica molto complessa, che richiede grande perizia, in quanto consente un limitato lasso di tempo (circa sette secondi) per l'impressione della lastra, la quale dev'essere immediatamente fissata o con cianuro di potassio, oppure col tiosolfato di sodio. Il procedimento richiede padronanza tecnica e non concede margine di errore. 'Schegge mistiche: dalla frantumazione del credo all'inviolabilità del simbolo' è dunque un'esposizione che illustra al pubblico un'antica tecnica, lontana anni luci dalle moderne tecnologie digitali. Un viaggio nel tempo, che riconduce verso l'originale procedimento artigianale di realizzazione d'immagini fotografiche e che, dichiara l'artista, vuol essere "una terapia contro il bombardamento digitale che stiamo vivendo". Ma qui non si tratta di mera sperimentazione tecnica. Anzi, l'antica tecnica è funzionale alla tematica trattata: l'immagine di Cristo impressa sulla sindone. Attraverso un processo di attualizzazione, il fotografo ha infatti ricostruito l'immagine del corpo martoriato di Gesù impresso su lastre di vetro in scala 1:1. Siamo di fronte a una doppia rievocazione storica: la tecnica utilizzata da Malatesta è infatti la medesima utilizzata nel 1989 da Secondo Pia, l'avvocato torinese che per primo fotografò il sudario di Cristo. Il corpo di un modello abbigliato con le fattezze del Cristo è stato impresso in lastre separate, che nell'allestimento curato da Silvia Mattina sono poste su una superficie bianca. Emerge così un'immagine in negativo che pone in evidenza le tracce della 'passione'. Si ripropone, così, il processo di impressione del corpo di Cristo, così come avvenuto sul velo della sindone. L'oggetto di culto e l'icona sacra vengono così a porsi come simbolo universale della spiritualità di ognuno di noi. La decontestualizzazione e la frammentazione sottintendono, inoltre, una riflessione sulla natura stessa dell'arte sacra e sulle implicazioni nel rappresentare il divino da parte dell'uomo. Una problematica (quella della differenza tra arte religiosa e immagine sacra) che viene qui superata proprio tramite il procedimento tecnico, che consente la creazione di un'immagine tramite la luce. Senza l'intervento diretto dell'uomo.


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