Vittorio LussanaIn un momento politico di continue convulsioni, potrà forse apparire stravagante che noi ci si dichiari favorevoli alla nascita di un Partito unico del centrodestra italiano, capeggiato dall'attuale leader della Lega: Matteo Salvini. Un'operazione che, probabilmente, comporterà il cambiamento del nome di tale formazione politica e che, tuttavia, s'inquadra in un processo di stabilizzazione del ceto conservatore italiano, destinato a ridisegnare il 'quadro' degli schieramenti politici complessivi. Certamente, con l'attuale ministro degli Affari Interni siamo divisi da una diversa visione sul tema dell'immigrazione, che riteniamo talmente spinoso e di dimensioni tali che, di certo, non potrà essere risolto attraverso facili slogan o reiterate prese di posizione dalla natura totalmente ideologica. Tuttavia, molte idee dei leghisti, soprattutto in campo economico - euroscetticismo a parte - ci convincono assai più degli immobilismi del Movimento 5 Stelle. In particolar modo, nel merito di alcune questioni fondamentali, come il Tav e il gasdotto asiatico del Tap. Inoltre, riteniamo che la Lega, in tutti questi anni, abbia incarnato assai meglio di Forza Italia il mondo della cultura popolare del nord d'Italia, che non sempre si era riusciti a rappresentare adeguatamente nei lunghi decenni della prima Repubblica. In ciò, l'amico Pier Luigi Bersani è stato colui che si è avvicinato più di altri nel comprendere come il 'triangolo del nord-est', quello cioè composto dalle città di Bologna, Milano e Trieste, rappresenti un territorio in cui vige coerentemente, più che nel resto del Paese, una sana etica del lavoro (come recita, peraltro, l'articolo 1 della nostra Costituzione). Siamo favorevoli, insomma, alla formazione di un Partito unico del centrodestra. Anche perché, detto francamente, si tratta di un elettorato composto da una 'gens' dalla quale provengo personalmente. Un popolo spesso considerato 'testone', provinciale e limitato, ma che amo immensamente, poiché in esso scorre il mio stesso sangue. La Lega, probabilmente, era la risposta 'corretta' sin dall'inizio degli anni '90 del secolo scorso, pur coi suoi provincialismi e conservatorismi un po' datati. Ovviamente, non si tratta di un'adesione o di una sorta di riallineamento, da parte nostra: la linea editoriale della presente testata rimane quella di un gruppo di professionisti e di osservatori che si considerano distinti e distanti da ogni tipo di contaminazione, a cominciare da quelle formalistico-religiose. Tuttavia, quel che ci ha sempre deluso nel centrodestra 'tradizionale' era la scarsa propensione all'analisi sociale, che ha finito con l'allontanare la politica dal cuore della gente. Inoltre, la lunga fase di 'dominio coloniale berlusconiano' costringeva i ceti produttivi del Paese a indossare la 'camicia di forza' di un Partito padronale, Forza Italia, che alla fine ha denunciato tutti i limiti di fondo di un aziendalismo gerarchico privo di dibattito interno, in cui la stessa militanza risultava - e risulta ancora oggi - totalmente 'svuotata' da una leadership inamovibile. La Lega, invece, anche quella di Matteo Salvini, ha sempre dimostrato un prezioso 'plusvalore' di partecipazione attiva ai fatti e agli accadimenti della 'cosa pubblica': un merito che, oggi, riconosciamo come punto d'onore fondamentale del movimento politico fondato da Umberto Bossi e Gianfranco Miglio. Uno studioso, quest'ultimo, che mi onoro di aver frequentato a lungo, negli ultimi anni della sua vita, attraverso una serie di lunghe e dibattute telefonate serali - o addirittura notturne - grazie alle quali mi permetteva di raggiungerlo presso la sua residenza privata in provincia di Como. Il professor Miglio era la vera anima intellettuale della Lega: uno studioso preparatissimo, che ha anch'egli contribuito alla formazione professionale del sottoscritto, soprattutto nei primissimi anni di percorso giornalistico. Insomma, l'evoluzione del movimento leghista merita, a nostro parere, un definitivo coronamento, in quanto forza di Governo capace d'incarnare al meglio i valori più profondi della cultura popolare italiana. Soprattutto, se essa saprà affrancarsi da alcune posizioni di retroguardia. Siamo onestamente interessati a osservare il percorso di una forza politica che contiene, in sè, il germe di una secolare vicenda di lavoro, dolore e sofferenza, che è riuscita a liberare intere generazioni dalle strozzature di uno sviluppo economico e industriale pagato a carissimo prezzo. Quando penso alla Lega - si cerchi di comprendere bene quanto sto scrivendo - sento nel cuore che si tratta del generoso tentativo della 'mia' gente di mettere almeno un poco d'ordine in questo travagliatissimo e sfortunato Paese. E' gente mia, che appartiene a me. E che merita, oggi, un rispetto e un riconoscimento politico pieno, a prescindere dalle idee e dalle convinzioni di ognuno di noi. Un ciclo della nostra Storia si è concluso. Ed è giunto ora il momento di aprirne un altro completamente diverso, basato su un confronto dialettico che potrà anche apparire aspro, nelle sue distinte posizioni di principio, ma che non faccia mai venir meno il rispetto reciproco e un sincero sentimento di solidarietà tra tutti gli italiani, di qualsiasi provenienza politica, culturale o sociale essi siano. La Lega non è affatto "il Partito dell'odio": il giovane Martina sbaglia, quando afferma cose di questo genere. Si tratta, invece, di un popolo orgoglioso e cocciuto, che ha sempre saputo, in fondo al proprio cuore, di essere il figlio più fedele all'interno della 'casa del padre'. Anche se il vero erede rimane il 'figliol prodigo'. Ovvero, quello da perdonare in quanto 'eretico'.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magaine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Roberto - Roma - Mail - martedi 4 settembre 2018 18.45
Sono d'accordo su Forza Italia, che ha evitato ogni tipo di evoluzione interna per i motivi che lei ha descritto. Non si può avere una democrazia normale con un Partito con un proprietario. In questi anni, abbiamo assistito persino alle dimissioni di un Papa. Un certo leninismo, quello dei segretari o dei leader a vita, è stato assorbito anche da altre parti, evidentemente, e invece di comunicarsi il meglio, i politici si copiano l'un l'altro nel peggio. Ma oltre a questo, in centro Italia è accaduto qualcosa di molto grave, che ha distrutto quell'alleanza sociale tra popolo e classi dirigenti. Le vicende di Mps, Banca Etruria e Banca Marche sono state ingiuste nei confronti di tanti piccoli risparmiatori che si fidavano della loro banca come di una cassa di risparmio territoriale. E' vero che anche le banche venete hanno combinato i loro guai, ma quel che rischiava il PD, con il rapporto tradizionale che aveva sul territorio, non era la stessa cosa che rischiava la Lega, che infatti si è sostituita in molte parti proprio al PD. Chi pensa che i voti persi siano andati tutti ai 5 stelle, si perde un bel pezzo del problema.
Massimo - Roma - Mail - martedi 4 settembre 2018 0.20
Ecco il perché, Direttore, delle sue voglie destro-liberiste!! Io, invece, in questi giorni post ferie, sto ricominciando, da vetusto militante, a partecipare ad assemblee per una riinione della sinostra, sociale e vera, la quale, secondo me, non può attuarsi senza una chiusura definitiva del PD, o per lo meno, una rinuncia al suo millantato confusionante definirsi di sinistra e ammettere di easere un partito liberale di cemtro.
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - lunedi 3 settembre 2018 15.50
RISPOSTA AL SIG. CADORNA: gentilissimo lettore, lo storico Emilio Gentile ha perfettamente ragione a collegarsi a quell'episodio del 1917, ma non soltanto in termini giuridici. Anche sotto il profilo filosofico-culturale, quell'episodio è la controprova che tutti i movimenti irrazionalisti sorti successivamente, compreso il fascismo stesso, derivano dalla medesima 'malapianta', che è quella marxista rivoluzionaria, o per meglio dire 'leninista', dato che in quel periodo in molti pensarono di "fare come in Russia". Infine, in termini di forma-Partito, come si dice negli ambienti colti, si sarebbe impostato un processo di modernizzazione democratica assai più seria e trasparente e, anche nelle forze democratiche, si sarebbero evitate formazioni correntizie capeggiate, in genere, dai cosiddetti 'signori delle tessere'. Anche questa è una distorsione grave, che ha generato continue forme di oligarchia occulta attraverso l'acquisto di 'pacchetti' di tessere da parte di chi poteva farlo, garantendo favori interni, come il collocamento o l'avanzamento sui luoghi di lavoro per amicizia 'feudale' e non per merito o effettiva competenza. Tutto questo ha distorto la nostra maturazione democratica, poiché ha favorito i malanni che oggi accusiamo cronicamente: antimeritocrazia, corruzione interna ai Partiti, scarsa trasparenza. I processi aggregativi interni ai Partiti non sono mai stati regolati da adesioni idealistiche o da forme di riconosciuta autorevolezza interna, bensì da ben altri fattori. Cordiali saluti. VL
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - lunedi 3 settembre 2018 6.52
Tutti i guai italiani derivano dal fatto che le classi dirigenti del dopo De Gasperi non hanno voluto varare una legge sui partiti che li obbligasse alla democrazia interna. Il 12/8 lo storico E. Gentile su Rai Storia ha ricollegato il problema all'aver consentito, nell'estate del 1917, la presenza dei soviet leninisti a Torino, ove ebbero un successo incredibile. Non crede che sarebbe finalmente il momento di sollevare il problema?


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