Annalisa CivitelliLa 'Conselve Vigneti e Cantine' si avvale della competenza professionale di Roberto Lorin: un agronomo la cui attività principale è quella di essere un 'vivaista', produttore di 'barbatelle di vite' di terza generazione. Come socio della 'Cantina', da circa un anno e mezzo ha l'ònere e l'onore di ricoprire il ruolo di presidente di una cooperativa che rappresenta 700 soci produttori, circa 170 mila quintali di uva lavorata e, infine, mille ettari di superficie coltivata. La cooperativa opera nella zona di Conselve, bassa pianura padovana, a circa 30 chilometri da Chioggia e a 20 da Padova e dai Colli Euganei, conosciuti in tutto il mondo per la presenza benefica delle terme di Abano e Montegrotto. Siamo andati perciò alla scoperta di un territorio ricco e fertile, che i monaci benedettini bonificarono per rendere le terre coltivabili, contribuendo così alla sviluppo della viticoltura. Sin dagli anni '50 del secolo scorso, la zona della 'bassa padovana' ha visto infatti i viticoltori produrre principalmente uva a 'bacca rossa'. Il cambio di tendenza ha poi visto l'avvento delle varietà 'Prosecco' e 'Pinot grigio', portando in auge le uve a 'bacca bianca'. Dal 'Vinitaly' ai vari concorsi internazionali, la 'Conselve Vigneti e Cantine' prosegue la sua produzione che, da qualche anno, adotta la viticoltura biologica per farsi conoscere ancora di più nel nord Europa.

Roberto Lorin, da un piccolo centro del Veneto, Conselve, al riconoscimento su scala più ampia: com'è avvenuto tale miracolo?
"La nostra cooperativa vitivinicola nasce negli anni '50, in seguito all'esigenza di alcuni agricoltori di associarsi e creare una struttura che potesse accogliere le uve, che già in quell'epoca si producevano in quantità elevate. Tuttavia, la commercializzazione del vino e dell'uva a quel tempo risultava difficile, a causa dell'attività speculativa dei commercianti. Fu così che un gruppo di dieci viticoltori si riunì in gruppo, fondando appunto la cooperativa".     

La vostra produzione, con il tempo, ha riscosso sempre più successo: qual è il vostro segreto?
"Ci troviamo in un territorio molto fertile della Pianura Padana, vocato alla produzione sia delle colture cerealicole, sia della viticoltura. Negli anni '50, la nostra Cantina era incentrata sulla produzione quantitativa: si producevano, cioè, tanta uva e tanto vino, destinato alla vendita all'ingrosso sfuso in cisterna. Negli anni '70, per un breve periodo, di circa due mesi, la struttura è stata riconosciuta come la più grande d'Europa, con oltre 500 mila quintali di uve raccolte. Questo induce a pensare quanto la viticoltura sia importante e abbia una storia e radici lontanissime, sin dai tempi dei Romani. Dagli anni '90, al contrario, dopo lo scandalo del 'metanolo', che ha coinvolto l'intera penisola, la cantina ha deciso di puntare sulla qualità del vino: da un lato, abbiamo attuato miglioramenti dal punto di vista tecnologico; dall'altro, la 'mission' è stata puntare su un'immagine nuova del vino e della viticoltura agli occhi dei consumatori. Tutt'oggi, stiamo continuando ad ammodernare e a fare investimenti, cercando di modificare la Cantina, coniugando tradizione e tecnologia".    

Quali tipi di uva coltivate?
"La nostra zona è stata sempre adatta alla coltivazione di uve a 'bacca rossa': in primis il Merlot, il Cabernet e, soprattutto, una varietà autoctona, il Friularo, conosciuto a livello nazionale come Raboso Piave. Queste tipologie, unite al Trebbiano e al Tocai, erano quelle maggiormente coltivate fino alla fine degli anni '90. Dal 2000 è cominciata, invece, una rilevante riconversione da "cultivar a bacca rossa" in favore, invece, di varietà a 'bacca bianca': Glera (Prosecco). L'esplosione commerciale di questo prodotto ha spinto i viticoltori a convertire i propri vigneti, piantumando Glera e Pinot grigio. Con la vendemmia 2018, quindi, anche la 'Conselve Vigneti e Cantina' si colloca su una realtà di conferimenti di uve per l'80/85% a 'bacca bianca', nonostante esista ancora uno 'zoccolo' di produzione di varietà Merlot e Raboso".

Qual è il vostro 'vino-marchio' più famoso?
"Il nostro fiore all'occhiello è appunto il Friularo, ottenuto da uve Raboso Piave. Questa coltivazione avveniva già all'epoca della Serenissima Repubblica di Venezia. Infatti, i commercianti veneziani usavano questa tipologia di vino, denominato Vin Moro o Rabbioso, nei loro viaggi in nave, in quanto presentava caratteristiche di elevata acidità e ne consentiva, quindi, il trasporto, garantendone una buona conservazione. Proprio sulla peculiarità spigolosa del Friularo, negli anni 2000, a Conselve, è nato un progetto dedicato a questo vino: il Friularo Ambasciatore".

In che consiste tale progetto?
"Il progetto 'Friularo Ambasciatore' parte con l'intento di addomesticare questo vino 'spigoloso', caratterizzato da elevate acidità e tannini altrettanto 'spigolosi'. Nasce così l'idea di raccogliere le uve in cassetta nel periodo di ottobre, per poi riporre le stesse in 'camere chiuse', in appassimento forzato. L'obiettivo è quindi quello di 'disidratare' le uve, allo scopo di aumentare la concentrazione di zuccheri, aromi e polifenoli. Dopo anni di prove, abbiamo trovato la giusta tecnica di 'appassimento', che ci ha consentito di arrivare alla pigiatura delle uve nel periodo che va da fine dicembre ai primi di Gennaio. Successivamente, il vino viene riposto in barique, tonneaux e, dopo sei/sette anni di invecchiamento, viene imbottigliato e commercializzato. Il progetto oggi coinvolge trenta produttori con oltre 2 mila quintali di uve in appassimento. Stiamo valutando la possibilità di aumentare la produzione, visti i positivi 'feedback' delle vendite".

Considerate anche tipi di uva biologiche?
"Da qualche anno, la Cantina ha avviato una politica volta alla sostenibilità. Stiamo infatti insistendo sulla possibilità di avere uve a produzione biologica. E' una 'mission' che collateralmente porto avanti grazie al mio mandato di presidente della Cantina di Conselve, cercando di sensibilizzare anche gli altri soci a una viticoltura sostenibile e 'green'. Accrescono, inoltre, i quantitativi di uve biologiche prodotte in Italia, grazie al costante aumento di richiesta del 'Vino Organic' soprattutto dal nord Europa. Proprio l'Italia, nel 2018, sarà probabilmente designata come primo produttore europeo di vino biologico, superando la Spagna. Toscana, Piemonte, Puglia e Sicilia, per esempio, sono le regioni in cui la viticoltura 'bio' è già in voga, per le favorevoli condizioni climatiche e agronomiche. Anche nella nostra zona è possibile fare viticoltura 'bio': infatti, la Cantina continuerà lo sviluppo di produzioni biologiche su Pinot grigio e Glera. E, da quest'anno e per la prima volta, sul Friularo".

Ci spiega, in sintesi, le differenze tra le uve classiche e quelle 'bio'?
"Nella coltivazione biologica, le rese di uve a ettaro sono fisiologicamente inferiori rispetto alle coltivazioni convenzionali. Inoltre, per la coltura biologica si possono utilizzare solo zolfo e rame. Per cui, l'assenza di alcune molecole chimiche fa sì che il profilo sensoriale e organolettico sia superiore. L'espressione di questi vini derivati dalle uve 'bio' risulta, perciò, più equilibrata e armonica".
 
Quali riconoscimenti avete ricevuto?
"Abbiamo riscosso innumerevoli premi, anche a livello internazionale, con il nostro Friularo, che è il portabandiera della Cantina. I riconoscimenti sono svariati: abbiamo conseguito medaglie d'oro a Los Angeles, Bruxelles, Vienna e al Vinitaly, al quale partecipiamo oramai da molti anni come espositori. Dal 2011, il Friularo è diventato un prodotto 'D.O.C.G.', entrando così nella élite dei grandi vini nazionali, quella di Amarone, il  Chianti e Barolo. Ne consegue, che ottenere dei riconoscimenti a questi livelli dà molte soddisfazioni, visti i grandissimi livelli di competitività".

Perché avete deciso di puntare sull'export verso l'Europa?
"Reputo che per il Friularo il mercato da sviluppare sia quello che guarda al nord Europa. Siamo ancora poco conosciuti e non abbiamo sufficiente 'appeal', che da un lato è un pregio, in quanto dà ampie possibilità di sviluppo, dall'altro una limitazione, poiché siamo in pochi a produrre il Friularo. Di conseguenza, non è semplice riuscire a 'sfondare', sia nel mercato italiano, sia in quello estero. Il lunghi tempi di invecchiamento del Raboso (5/6 anni) rende complicata la programmazione, sia delle produzioni di uve, sia la commercializzazione del prodotto. Con il consorzio di tutela 'Friularo D.O.C. G.' abbiamo iniziato un lavoro mirato alla valorizzazione di questo vino nei Paesi nordici, dove secondo noi questo prodotto dovrebbe essere particolarmente apprezzato. Abbiamo acquisito i mercati di Svizzera e Germania, ma ne rimangono molti altri da conquistare".


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