Michela ZanarellaIl 6 febbraio scorso è stata la 'Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili' (Mgf). In occasione di tale ricorrenza, la biblioteca 'Guglielmo Marconi' della sede centrale del Cnr ha ospitato la conferenza: 'Assistenza sanitaria per portatrici di Mgf in Europa, aspetti statistici e di sostenibilità, clinici, formativi ed economico-sanitari'. L'incontro, promosso dal presidente del Comitato unico di garanzia Cug-Cnr, Gabriella Liberati, in collaborazione con l'associazione internazionale 'Karol Wojtyla', ha rappresentato l'occasione per presentare le linee guida di un progetto europeo, condiviso con enti istituzionali e associazioni, sulle Mgf. Il convegno è stato moderato dal dottor Enrico Molinaro, Segretario generale della Rete italiana per il dialogo Euro-mediterraneo (Ride-Aps), capofila italiana della 'Anna Lindh Foundation' (Alf) e dal professor Giuseppe Benagiano, dell'università 'La Sapienza' di Roma. Particolarmente significativo l'intervento del dottor Fabrizio d'Alba, direttore generale dell'azienda ospedaliera 'San Camillo-Forlanini', il quale ha ribadito l'impegno della struttura per continuare a garantire l'assistenza alle vittime di mutilazioni genitali. Nel mondo sono circa 200 milioni le donne, di età compresa tra i 15 e i 49 anni, soggette a questa pratica, diffusa principalmente in Africa, ma che ormai interessa sempre di più i Paesi occidentali, fino a toccare anche l'Italia, visto l'ampliarsi del fenomeno immigrazione. In alcuni Stati del Corno d'Africa (Somalia, Eritrea), in Egitto e in Guinea, l'incidenza del fenomeno è molto alta, comprendendo il 90% della popolazione femminile. Nel nostro Paese sono circa 57 mila le donne coinvolte. E tra le africane immigrate, una fascia compresa tra il 50-80% ha subito un abuso irreversibile della propria integrità fisica. Di questa realtà se ne parla troppo poco. Ma è ormai necessario affrontare l'argomento partendo dalle origini di questo antico rito tribale di passaggio conosciuto come 'infibulazione', che consente alle donne di entrare nella società di appartenenza e di essere rispettate per la loro integrità morale. In cosa consiste? Questa pratica, eseguita per ragioni prevalentemente socioculturali, ha come scopo la chiusura quasi completa dell'ostio vulvare ed è accompagnata all'escissione del clitoride. L'infibulazione provoca gravi rischi per la salute delle ragazze e delle donne che la subiscono, per non parlare delle conseguenze psicologiche. "L'islam non c'entra con le mutilazioni genitali", ha precisato il dottor Musa Awad Hussein, presidente dell'associazione medici Arabi in Italia (Amai), durante il suo intervento, nel quale ha puntualizzato la necessità di creare un gruppo di lavoro che possa individuare in modo concreto quante sono le donne coinvolte in Italia. Spesso si ha una percezione distorta del problema. Ecco perché è importante capire le relazioni tra diversi ambiti, per lavorare, poi, sui dati. A sollevare questo aspetto è stata Fabiola Riccardini, primo ricercatore dell'Istat, che partendo dal sistema statistico internazionale è riuscita a ottenere dati nazionali plausibili. Esistono delle stime calcolate in base alla popolazione immigrata: ne è un esempio l'indagine coordinata, in Italia, dall'università degli studi di Milano, con la dimensione reale della pratica di Mgf tra le comunità residenti nel nostro Paese: tra le 46 mila e le 57 mila unità. Sono le donne somale a essere più colpite (83,5%). Seguono le nigeriane (79,4%) e quelle provenienti dal Burkina Faso (71,6%). Anche l'ultimo report Unicef, pubblicato nel 2016, rivela cifre inquietanti: in Somalia e Somaliland, quasi tutta la popolazione femminile (98%) ha subìto una mutilazione genitale. Seguono Guinea (97%), Gibuti (93%), Sierra Leone (90%), Mali (89%), Sudan (88%), Eritrea (83%) ed Egitto (87%). I numeri sono destinati, tra l'altro, a crescere: il fenomeno può raggiungere i 6,6 milioni di vittime all'anno entro il 2050. E' evidente che combattere questa forma di violenza tribale è una priorità. E' necessario informare ed educare le comunità che utilizzano questa pratica, in particolare gli uomini, affinché la rifiutino. Grazie all'impegno di molte Ong, attive sui territori, tante comunità hanno iniziato a ripudiarla: sono già 18 mila in 15 Paesi: un risultato che fa ben sperare. L'Italia ha attivato una serie di campagne di sensibilizzazione e prevenzione, attraverso azioni diplomatiche e accordi con i Paesi coinvolti. Ma non basta. Questa realtà va contrastata ogni giorno: la battaglia contro le mutilazioni genitali dev'essere affrontata con fermezza a livello globale, in modo che nessuna donna, ragazza o bambina sia più costretta a sopportare questa brutalità.


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