Annalisa CivitelliNegli anni '80 del secolo scorso, era consuetudine riportare indietro i 'vuoti' delle bottiglie di vetro agli ormai defunti negozi di 'Vini e oli'. Ricordo bene questa usanza. Ero piccola. E nella zona di Roma in cui vivo da quando sono nata ve n'era uno, attualmente sostituito da un centro estetico. Appena varcavo la soglia, odoravo nell'immediato l'aria mista di vino e aceto, che regnava incontrastata attorno allo spazio occupato dai vari prodotti contenuti. Quest'immagine vivida si risveglia nella mia mente, riportandomi ai 'boccioni' di vino in vetro bianco, che puntualmente venivano riempiti del 'nettare' caro agli dei, il quale sgorgava da enormi botti metalliche. Questa premessa personale può forse aiutarci a congiungere il presente con il passato, che sta riemergendo in forma di riciclo. Oggi, infatti, i vuoti a rendere, grazie al decreto del ministero dell'Ambiente entrato in vigore il 10 ottobre 2017 (DM 3 luglio 2017, n. 142) rientrano di fatto nelle nostre vite: le bottiglie di vetro e plastica, birra o acqua (di volume tra gli 0,20 e gli 1,5 litri), una volta acquistate e consumate potranno essere restituite, ricevendo indietro una 'cauzione' che va dai 5 ai 30 centesimi di euro. Lo scopo di questa proposta si congiunge al 'collegato ambientale', inteso come prevenzione dei rifiuti d'imballaggio monouso, basato appunto sulla restituzione di bottiglie riutilizzabili, al fine di sensibilizzare in maniera diretta i consumatori. Riciclare, dunque, è la parola d'ordine finalizzata a ridurre la produzione dei rifiuti, i quali, prima di diventare scarto, saranno in questo modo riutilizzati: fino a venti volte per le bottiglie in 'Pet' e oltre dieci volte per quelle in vetro, consentendo un risparmio energetico del 76,91%. Altro fattore da non sottovalutare è lo studio condotto dal'Ufficio federale dell'Ambiente della Germania, che ha definito i vuoti a rendere migliori, rispetto al vuoto a perdere, dal punto di vista economico, politico ed ecologico, in quanto meno inquinanti degli 'usa e getta'. L'ammontare dei rifiuti si riduce così del 96% per il vetro, dell'80% per la plastica. D'altro canto, i materiali impiegati dovranno essere più spessi rispetto agli attuali, affinché il riutilizzo non ne comprometta funzionalità e sicurezza. Verranno quindi sottoposti a un processo di sterilizzazione, per un consumo energetico del 60% in meno rispetto a quello necessaria per costruire un nuovo imballaggio. Il decreto, inoltre, attraverso il sistema di monitoraggio intende valutare la fattibilità tecnico-economica e ambientale diretta al vuoto a rendere. Una volta terminato il periodo di sperimentazione di un anno, si potrà stabilire se vale la pena continuare con l'iniziativa e, quindi, estenderla ad altre tipologie di prodotti e di consumo. Ma come riconoscere gli esercizi che aderiscono a tale iniziativa? Semplice: essi avranno un'etichetta verde esposta all'ingresso: bisognerà quindi fare un po' di attenzione. L'unica incertezza riguarda l'impatto che la misura avrà sul sistema dei Consorzi Conai (che garantiscono il ritiro dei rifiuti di imballaggio raccolti in modo differenziato) e la reazione delle filiere di riciclo attive nel Paese. Infine, secondo il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti, "un Paese come l'Italia, proiettato verso un'economia circolare non può che guardare con interesse a una pratica come il vuoto a rendere, già diffusa con successo in altri Paesi". Il provvedimento,  sempre secondo l'opinione di Galletti, offre la possibilità sia ai consumatori, sia alle imprese, per scoprire una pratica che aiuta l'ambiente, producendo meno rifiuti e risparmiando soldi. Anche Stefano Vignaroli, esponente del Movimento 5 stelle che, fin dall'inizio, ha sostenuto l'idea, è molto soddisfatto e ci tiene a precisare che "gli utenti non dovranno fare nulla, se non assicurarsi che il negozio che scelgono aderisca all'iniziativa".


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