La sconfitta elettorale della Casa delle Libertà, anche per le sue proporzioni, ha lasciato in ombra un'altra sconfitta, quella dei partiti laici che da qualche anno cercano di uscire dal cono d'ombra in cui prima Tangentopoli e poi il maggioritario li avevano cacciati. Il partito repubblicano è rimasto fuori da tutte le principali istituzioni i cui organi venivano rinnovati, i liberali non sono riusciti a dare un cenno della loro esistenza, i socialisti - dopo il successo delle europee - sono stati confinati in alcune regioni meridionali. Quanto ai radicali, esaurita la pantomima preelettorale, si sono trasformati in movimento extraelettorale. Questo, purtroppo, lo scenario che si presenta dopo le regionali. Uno scenario di macerie, sulle quali appare perfino difficile pensare di ricostruire qualcosa. Un fatto, ormai, è certo. Divisi, privi di strategia comune, non fanno "massa critica". Aggregano un po’ di nostalgici, organizzano una modesta rete di piccole clientele, ma non riescono a trasformarsi in un punto di riferimento appetibile per chi lascia Forza Italia e si rifugia nell'astensionismo.
Che, invece, dovrebbe essere il loro obiettivo precipuo. C'è ancora speranza, vale ancora la pena di spendersi in uno sforzo che non sia il tentativo di riesumare il passato ma di aprire una prospettiva sul futuro? Forse, ma solo ad alcune condizioni. La prima è quella di organizzare la propria presenza politica - e di organizzarla in comune - intorno ad alcune significative battaglie di contenuto. Battaglie, non pure elaborazioni culturali. E quindi anche capacità e volontà di uscire dalla logica stringente del bipolarismo per affermare una presenza ed una esistenza autonome. Una occasione è il referendum sulla procreazione assistita, ma di certo non può essere la sola. La seconda condizione è quella di rinunciare alla "logica della primogenitura". Ci vuole generosità, coinvolgimento, reale disponibilità a fare queste battaglie in comune. Senza la pretesa delle esclusive e dei timbri che portano impresso lo stemma della casa. Cercando, invece, di entrare in una logica diversa, la logica secondo cui le vittorie o le sconfitte appartengono a tutti. La terza condizione, infine, è quella di mettere a punto comuni strategie, non solo valorizzando i punti di convergenza, che sono tanti, invece di esasperare le divergenze, che spesso appartengono al passato e sono pretestuose nel presente. Ma anche mettendo a punto, da subito, intese elettorali complessive e non occasionali alleanze locali, come invece è successo durante il turno regionale e che evidentemente non sono di richiamo per nessuno. Sono in grado, gli attuali gruppi dirigenti dei partiti laici, di rispondere positivamente a queste condizioni? Ne dubitiamo, proprio perché sono espressione di un passato che continua a pesare con il suo retaggio di divisioni politiche e personali, quando addirittura non sono impegnati a barricare il proprio ‘orticello’ per evitare di rimettersi in discussione. E quindi incapaci di progettare il futuro. E' bene allora che facciano un passo indietro, che mostrino per questa via di essere legati più alla valorizzazione delle idee che alla difesa di posizioni personali. E che si dia vita, rapidamente, ad una "costituente laica" intorno alla quale fondare un soggetto unitario impegnato in una reale prospettiva politica. In caso contrario, il "futuro prossimo venturo" è già scritto. Le elezioni, che saranno comunque cruenti, hanno già dei sicuri sconfitti: i piccoli partiti laici incapaci di rinnovarsi.


Articolo tratto dal quotidiano "L'Opinione delle Libertà" del 13 aprile 2005
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