Annalisa CivitelliUna ritmica pièce. Un misto di reminescenze teatrali e un linguaggio che si muove verso il nuovo, senza mai stancare il pubblico, bensì rendendolo partecipe delle storie che s'intrecciano tra loro. Andato in scena di recente al Teatro 'Sala Uno' di Roma, 'Un vero capolavoro', interpretato da Ivan Bellavista, Francesca La Scala e Sandra Conti ha sorpreso il pubblico grazie a un ritmo dinamico, mai stancante, in cui il passato viene rivisitato in chiave innovativa e riproposto secondo toni davvero rapidi e multicolor. Un esempio di 'meta-teatro' che non si ferma solo a raccontare l'idea in sé, ma grazie alla sua struttura improvvisativa riesce a descrivere il 'teatro nel teatro', la realtà dei nostri giorni e chi sono gli attori: persone comuni, che svolgono un lavoro dignitoso, divertendosi. Dopo aver assistito a 'Un vero capolavoro' abbiamo rivolto alcune domande ai suoi interpreti, cercando di creare un piccolo 'dibattito' intorno a questo soprendente successo della recente stagione primaverile romana.

Ivan Bellavista, Francesca La Scala e Sandra Conti, quale è stato il processo creativo che vi ha portato a 'Un vero capolavoro'? Da dove siete partiti e come lo avete sviluppato?
Ivan Bellavista: "Sandra e io siamo come due bambini che vengono lasciati da soli tutto il pomeriggio in salotto e il risultato sono i nostri spettacoli. Come quando si apre il frigorifero e si ha molta fame, abbiamo messo tutto quello che volevamo mettere. In questo 'Vero Capolavoro' ci siamo sbizzarriti. Siamo partiti in punta di piedi (il testo è stato scritto in un anno) e, alla fine, ci siamo ritrovati colmi di colori, musica e danza. La paura del tracollo era sempre dietro l'angolo, ma quando ho Sandra accanto potrei andare anche sulla Luna con le infradito. Poi, il destino ci ha 'regalato' Francesca La Scala, che con le sue sfumature e il suo carattere ha reso ancora più inossidabile lo spettacolo".
Francesca La Scala: "Ognuno di noi è partito dal proprio bagaglio culturale e di esperienza professionale. Abbiamo messo sul 'piatto' tutto quello che avevamo: Sandra con la scrittura, per esempio, Ivan con il suo lavoro sull'improvvisazione, io con la conoscenza dei meccanismi della commedia. Abbiamo cercato di essere complementari e di essere ognuno l'occhio esterno, critico e anche impietoso per l'altro, cercando di essere assolutamente onesti tra noi".
Sandra Conti: "Ivan e io, solitamente partiamo da un caffé. Ci sediamo a un bar e cominciamo a parlare, buttando giù idee e iniziando a chiarire i punti fondamentali del lavoro che vogliamo fare. Con 'Un vero capolavoro' è andata così. Tra un sorso e l'altro, è venuto fuori che, da una parte, volevamo parlare del teatro a teatro, contaminarlo, dissacrarlo, omaggiarlo, anche a modo nostro, ripercorrendo vari stili, autori e generi che ne hanno segnato la storia; dall'altra, ci è piaciuta l'idea di raccontare l'ultima ora di coma di un uomo, i suoi sogni controversi, attinti da una realtà piuttosto 'piccola' e mischiati, di contro, alle sue grandi aspirazioni. Fino al risveglio, alla presa di coscienza del fatto che, in un certo senso, il suo vero coma lo ha vissuto in vita. Una volta messo a fuoco l'obiettivo, abbiamo iniziato a scrivere, insieme e separatamente. E quando c'è stato un abbozzo di copione, ci siamo buttati subito in sala prove. Lì, tutto può e deve essere rimesso in discussione: è essenziale che ognuno, nella compagnia, partecipi attivamente alla costruzione dello spettacolo".

Come è stato, per voi ragazze, lavorare con Ivan Bellavista?
Sandra Conti: "Con Ivan mi sento veramente a casa. Scherzo spesso con lui sul fatto che potremmo andare in scena senza copione. E' una sensazione di sicurezza che può darti solo chi è sulla tua stessa lunghezza d'onda. E noi abbiamo la fortuna di capirci al volo. Oltre a essere un partner artistico ideale, poi, è anche un amico fraterno".
Francesca La Scala: "Molto interessante, soprattutto per quanto riguarda la ricerca attraverso l'improvvisazione. Io ho avuto una formazione molto rigida, visto che nasco come ballerina a 14 anni, poi cantante e infine attrice. Quindi, la disciplina per me è una caratteristica divenuta 'forma mentis'. Ma poter riscoprire l'assoluta libertà, almeno in fase di montaggio, mi ha dato molta carica".

'Un vero capolavoro' è veramente ricco di contaminazioni: quanto gli esempi passati, tra teatro e cabaret, contano ora e quale il modo di reinterpretarli per proporli in futuro?
Francesca La Scala:
"Il passato conta tantissimo. Nella rappresentazione, non a caso, ci sono degli omaggi al 'Trio' Marchesini-Lopez-Solenghi. Tutto ciò che ognuno di noi ha vissuto nella propria vita lascia un segno, che con un po' di volontà e intelligenza può diventare uno spunto creativo interessante. Per quanto mi riguarda, mi accosto a questi esempi con assoluta umiltà. Per reinterpretarli, bisogna anche avere strumenti che consentano di farlo, ma non saprei dire quale sia il modo. Questo dipende dalla sensibilità e dalla preparazione personale, ma anche dal messaggio che si vuole dare".
Sandra Conti: "Per me, è inimmaginabile pensare di fare teatro senza conoscere il teatro. Apprenderne la 'grammatica', ossia i grandi esempi che ne hanno illuminato il cammino, così come le regole del palco e quelle del dietro-le-quinte, più i vari apporti artistici che lo compongono (le luci, la scenografia, la fonica...). Significa dunque padroneggiarlo, o quantomeno sforzarsi di ottenere quel risultato. Detto questo, i grandi esempi contano tutto e niente: non bisogna aver paura di proporre qualcosa di diverso, di più personale e meno ossequioso. Il teatro, salvo importanti eccezioni, ripete sé stesso da tempo immemore, 'sguazza' in un 'pantano' fatto di bruttezza, noia, approssimazione e inutilità. Forse è sacrilego, detto da un'attrice brillante: può darsi. Ma ho le prove! E mettere il dito nelle sue 'piaghe' è uno dei miei propositi di autrice. Per criticare, s'intende, occorre prima di tutto criticarsi. E, nei miei spettacoli, non mancherà mai una generosissima dose di autocritica e autoironia".
Ivan Bellavista: "Quando mi trovo davanti a un copione da scrivere, così come in una sala prove, ho come l'impressione che le dita sulla tastiera, o il mio stesso corpo, vadano così, senza un perché. Il come si scopre piano piano, il dove è sempre l'ultima tappa. Per 'Un vero capolavoro', Sandra e io abbiamo attinto moltissimo da ogni forma di teatro a noi conosciuto. E lo spettacolo è colmo di 'esempi' teatrali. Ci piace spaziare e mai concentrarci su un solo modo di raccontare il teatro. Ovvio, che vi siano dei rimandi, volontari o involontari, ma anche tante scoperte. Mi piace pensare che più che delle 'riletture', le nostre siano delle 'riscoperte' o, meglio ancora, delle rinascite. Non pretendo mai di dire cose che nessuno ha mai detto. Non è che non dormo la notte perché devo dire cose mai dette: ci vogliamo divertire. Come quando eravamo bambini, in cui ci vestivamo con le cravatte del babbo o le gonne della mamma. Noi procediamo così, per scoprire noi stessi in scena".

Quanto è importante la vostra 'sinergia' per comunicare al pubblico una giusta fluidità del vostro lavoro?
Ivan Bellavista:
"E' fondamentale, più che importante: in questo, sono molto chiaro e convinto. Credo che il segreto per fare dei buoni lavori è concentrarsi nel divertimento. Perché divertirsi è una cosa 'seria'. E il divertimento, io lo considero un valore. Devi proteggerlo, con il rigore dell'esecuzione, fratello del divertimento".
Sandra Conti: "Se devi far divertire, è meglio che tu ti diverta: una regola semplice, ma efficace. Racconteremmo mai una barzelletta che non ci fa ridere? Forse, ma è un'idea disperante. Molto meglio non vedere l'ora di dirla. E visto che il divertimento scatta in maniera spontanea, quando c'è complicità e, com'è scritto nella domanda, sinergia fra le persone, va da sé che, se in compagnia si vibra allo stesso modo e si persegue lo stesso scopo, il risultato sia molto più facile da raggiungere. L'unica accortezza è non dimenticare mai che si ha un pubblico davanti. E che quel che si fa, lo si fa per lui".
Francesca La Scala: "La fluidità è sicuramente importante, ma credo che se si parla di sinergia, allora la 'parola-chiave' è autenticità. La fluidità è un parametro strettamente tecnico, che il pubblico indubbiamente apprezza. Ma essere autentici, nonostante l'aver portato in scena personaggi surreali, o addirittura demenziali, era la sfida più grande. E solo grazie alla 'sinergia' che si è creata tra di noi, abbiamo potuto comunicare questa qualità".

Quale sarà linguaggio teatrale del prossimo millennio, secondo voi?
Francesca La Scala:
"Intanto, spero che il teatro riesca a sopravvivere, visti gli attacchi più o meno palesi alla cultura, in un Paese che si occupa sempre meno della bellezza e sempre più di soldi, fama e potere. In questo scenario, qualsiasi linguaggio è bene accetto".
Ivan Bellavista: "Non lo so affatto. A malapena, so cosa combiniamo noi in scena. Linguaggio? Spero che le nuove leve capiscano che vivere davvero, prima di interpretare, è la regola fondamentale".


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