Vittorio LussanaRegistriamo con sincero dolore la scomparsa di Stefano Rodotà, uno degli esponenti della sinistra italiana maggiormente degni di stima, fiducia e rispetto, umano e politico. Un giurista raffinato, che ha fornito un contributo decisivo ai mutamenti intervenuti nella cultura progressista italiana. Il suo merito principale, a nostro parere, fu quello di riuscire a 'sganciare', sotto il profilo schiettamente intellettuale, il mondo italo-marxista da una totalità dottrinaria la quale impediva ogni utilizzo efficace di quel 'senso dello Stato' che ha sempre moralmente connotato i comunisti italiani. Un 'macigno' concettuale che bloccava ogni via di fuga dei post marxisti dalla 'statolatrìa', impedendo loro ogni 'digestione dottrinaria' dello Stato di diritto basato sulle libertà, sia pubbliche, sia individuali o private. Aver cercato di 'rieducare dal basso' i comunisti italiani rappresenta, secondo noi, il merito principale di questo insigne studioso, che ha saputo riscattare, pur non senza difficoltà, una buona parte della sinistra italiana dal proprio passato determinista e antiparlamentare. Egli non fu mai un comunista: semplicemente, aveva compreso come il patrimonio ideale, elettorale e politico del Pci potesse risultare utile alla causa della democrazia italiana, la quale, per lunghi decenni, risultava bloccata non soltanto per la sostanziale impossibilità di ricorrere ad alternanze 'di sistema', ma persino nei più relativi passaggi di ricambio 'periodico'. La vera cultura di appartenenza di Stefano Rodotà era quel liberalismo 'gobettiano' che, già negli anni '70, aveva cercato di favorire un percorso di evoluzione del Partito comunista italiano, al fine di farlo approdare sulle 'sponde' della socialdemocrazia. Un 'disegno' condiviso, in teoria, anche da Bettino Craxi, che tuttavia lo considerava, in quella fase storica, ancora di là dal venire. Con il crollo del muro di Berlino del 1989 e la 'svolta occhettiana' del 1991, il vecchio popolo comunista si ritrovò improvvisamente costretto ad avanzare in un 'territorio dialettico' liberaldemocratico completamente privo di 'mappe'. Solamente un uomo era consapevole della direzione verso cui il mondo post marxista potesse indirizzarsi: Stefano Rodotà. Egli fu il principale 'indipendente di sinistra' che riuscì a sensibilizzare allievi e studenti verso le tematiche dei diritti civili e delle nuove libertà pubbliche, teorizzando una laicità 'liberal' che avvicinasse l'ex Pci, nel frattempo divenuto Pds, verso problemi e questioni a lungo considerate patrimonio esclusivo di alcune minoranze avvedute e nobilissime. Il 'ritardo' culturale della sinistra post comunista era, obiettivamente, evidente, soprattutto sotto il profilo giuridico. E le resistenze contrarie a questa sorta di 'esodo' furono fortissime: l'impressione era spesso quella di trascinare, con grandissima fatica, un 'somaro' recalcitrante lungo quei 'terrapieni' che separano due strade ben distinte tra loro. Ma esattamente questo fu il merito di Stefano Rodotà: egli seppe restituire al confronto democratico italiano un patrimonio di valori, idee e princìpi che rischiavano di rimanere prigionieri all'interno di uno schematismo ideologico assai contraddittorio. Egli è stato uno dei più sinceri artefici e interpreti della 'rieducazione laica' della sinistra italiana: un processo quasi paragonabile alla 'secolarizzazione' subìta 'obtorto collo' dal mondo cattolico. Si tratta di dinamiche estremamente lente e complesse, soprattutto in Italia. Tuttavia, in tempi di riflessione intorno ai nuovi compiti e obiettivi che il mondo progressista dovrebbe darsi per riuscire a rigenerare una democrazia basata su valori e princìpi assai più seri e coerenti rispetto al qualunquismo attualmente imperante, rilanciare una dialettica più razionale e ragionevole in merito al contributo intellettuale fornito da un esponente 'illuminato' come Stefano Rodotà potrebbe rappresentare un buon punto di partenza, in grado di far comprendere ai cittadini verso quale orizzonte sarebbe necessario dirigersi al fine di evitare nuove 'disavventure'. E cioè verso un futuro imperniato attorno a un nuovo progetto di società, più libera e giusta, capace di affermarsi sia attraverso princìpi innovativi, portatori di valori, sia come 'rinascita' di un Paese che potrebbe dimostrare al mondo di aver saputo liberarsi dalle sue pesantissime 'zavorre' d'inciviltà, giuridiche e morali.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Giusy - Roma - Mail - martedi 27 giugno 2017 20.56
Stupendo.
Luciano - Imperia (Italy) - Mail - martedi 27 giugno 2017 15.36
Grazie Rodota', che la tua anima riposi nel Mondo dei Giusti.
Che la tua Intelligenzia "angelica" trovi il posto giusto nel Empirio delle persone degne di essere state integre e pulite.

Rodota' e Giolitti
I Grillini e i. Bersaniani. dovrebbero vergognarsi.
Avevano un. uomo. di alta statura da Gigante, onesto e pulito.
Invece hanno fatto di tutto
per metterlo da parte.
Il paese tutto. l'avrebbe voluto.
Onore e gloria a Stefano Rodota'.
Speriamo che Grillo. e Bersani cadano. dall'albero come pere. marce.
Tutto ciò fa ricordare Giolitti.
Parlando nuovamente di lui. facciamo un atto. di dovere e ringraziamento verso Rodota'.
.

UN UOMO GIGANTE,
uno dei Grandi Uomini, che ha creato la Nostra Nazione.

ORA SONO RIMASTI I "LILLIPUZIANI" , dopo la dipartita di Rodota', i"piccoli uomini" che stanno distruggendo i nostri principi e valori indimenticabili.
Una volta il Nostro Paese era una Grande Nazione
con speranze ed ideali illuminanti.

ANTONIO GIOLITTI , il socialista intereggimo che avrebbe potuto salvare l'Italia.

Si è spento, tanto tempo fa, uno dei più importanti personaggi politici della Repubblica Italiana, uomo integerrimo, simbolo per tanti anni di quei socialisti italiani che hanno creduto nella possibilità di cambiare l'Italia in un paese moderno, laico, socialmente equanime, che non è mai stata e non sarà forse mai.

Pur proveniente da tutt'altre radici - era nipote di Giovanni Giolitti, leader dell'Italia liberale e prefascista -le rinnegò per entrare nelle Brigate Garibaldi e aderire al Pci combattente guadagnandosi un processo sotto il Tribunale Speciale e poi la lotta in montagna dove fu ferito gravemente. Dopo la Liberazione fu membro della Costituente e sottosegretario nel Governo Parri.

La sua adesione al partito di Togliatti, che lo considerava uno dei suoi pupilli per la statura intellettuale e la preparazione economica e storica, iniziò ad essere problematica quando Giolitti, non condividendo la faziosità che il partito imponeva ai militanti denigrando sotto banco Parri e il partito d'Azione, si distaccò dalla politica delle Botteghe Oscure per organizzare istituzioni, fondazioni, enti, che raccogliessero il meglio dell'Italia di allora che intendeva contrapporsi alla politica integralista della Dc.

Ma fu solo nel 57, dopo che l'Urss invase l'Ungheria in rivolta e il Pci appoggiò l'arrivo dei carri armati, in cui diede addio al partito che sentiva ormai contro di lui quanto lui era ormai contro l'organizzazione interna che uomini intelligenti e cinici impartivano ad una massa di militanti onesti ma lasciati nella più tragica ignoranza.

Entrato nel Psi si affiancò a Nenni e a Lombardi per percorrere quel cammino che doveva portare alla costituzione del primo Centro Sinistra, voluto da Amintore Fanfani, l'uomo che, legato agli uomini più integri e radicali - Dossetti e La Pira - nel partito cattolico, era maggiormente convinto che l'Italia dovesse percorrere una strada di riforme sociali e lo aveva dimostrato col piano Ina che diede una casa a 300.000 italiani nel giro di due anni.

Entrato al governo come ministro dell'Economia il suo problema fu imporre la "programmazione economica" avendo contro, da una parte, gli esponenti della Dc e del Psdi legati ai grandi industriali, dall'altra il Pci che lo aveva immeditamente bollato come traditore e venduto al nemico. Si è visto poi, tra lui e coloro che continuarono a considerarsi eredi del "migliore"(Palmiro Togliatti) chi fosse più pronto a mettersi in vendita.

Come è stato ormai accertato dagli storici di svariate tendenze Giolitti, con Lombardi, fu l'uomo simbolo di quei primi due anni di governo in cui, con la nazionalizzazione dell'energia elettrica e di tutti i servizi pubblici e una politica economica e finanziaria tesa a creare uno sviluppo controllato che finisse per garantire un'equanime distribuzione dei redditi, l'Italia abbia avuto, dai tempi dello sfortunato governo Parri, (grandioso /grandioso Parri, poi dimenticato da tutti), l'unica e autentica occasione di cambiare strada e divenire una nazione moderna emendata dal Vaticano e dalle caste dei grandi potentati.

Ma fu sconfitto da una parte dai "poteri forti" che trovarono nel suo collega ministro Emilio Colombo un abile rappresentante ma anche, dall'altra, dalla Cgil nella cui neutralità aveva sperato inutilmente. Asservita al PCI, lo ostacolò sempre senza far mai capire ai propri iscritti come i sacrifici (tra l'altro assai modesti se pensiamo a quelli imposti in anni più recenti dalla sinistra) di un paio d'anni valessero un benessere saldo e garantito.

Quindi, dopo aver ancora tentato di imporre le sue idee come ministro in successivi governi, lasciò alfine la politica attiva. Va detto che se, ancora per qualche anno, nei dicasteri Rumor e Colombo, il progresso dell'economia italiana non fu rallentato, il merito fu anche, in gran parte, di Antonio Giolitti.

Non essendo un uomo avvezzo alle lotte interne al proprio partito, ricominciò a dedicarsi ad attività collaterali "RISCHIANDO" un paio di volte di venire eletto presidente della Repubblica, come molti italiani di ogni ideologia avrebbero desiderato, me compreso, alla faccia dei partiti stessi e in nome dell'onestà che tutti gli riconoscevano.

Quando nel Psi arrivò Craxi lottò contro di lui aderendo al pensiero di Norberto Bobbio e Giorgio Bocca che individuarono subito il presunto "statista" come distruttore degli ideali e della struttura del partito. E rinunciando ad essere veramente eletto presidente in nome di ladri e farabutti dimostrò ancora una volta di che pasta era fatto.

Riavvicinatosi gioco forza, come tanti socialisti costretti a lasciare il loro partito, al Pci creò tre riviste che hanno segnato, anche se per breve tempo, l'esigenza degli italiani onesti a voler cambiare ancora e radicalmente il proprio paese : "Passato e presente", "Riforme e Rivoluzione", "Un socialismo possibile".

Ma col suo carattere pulito e franco, l'enciclopedica conoscenza della Storia e dell'economia, non fu mai veramente gradito nel partito che si apprestava a diventare la caotica formazione senza tetto nè legge che adesso si chiama Pd.

Lo storico Tamburrano ha ricordato come, nel '76, avrebbe potuto opporsi a Craxi e creare una corrente in grado di sconfiggerlo. Ma, allora, Giolitti commise l'errore di lasciarsi prendere dall'avversione fisica, dallo schifo, per quello che il Psi stava diventando. Rimase quindi il candidato ideale, a tutte le cariche, degli intellettuali, delle persone evolute, di chi non ha mai creduto nella politica degli applausi, dei comizi preparati ad arte, delle dichiarazioni scoop ai giornali e delle apparizioni in televisione.

Era già allora un uomo che sentiva come le sue idee riformatrici dovessero aspettare un periodo troppo lungo per poter vedere ancora una vera e nuova rinascita della sinistra.

Nel suo libro "Lettere a Marta" racconta alla moglie tutta la sua vicenda politica, le sue fugaci vittorie e i suoi sbagli in vecchiaia, senza mai dimenticare, mai, di essere sempre stato un socialista, di formazione tradizionale e moderna insieme, pronto a dare tutto se stesso se avesse visto ancora un segno, un segno vero, che la strada verso la ricrescita poteva essere riaperta.

Sulla sua scomparsa si è detto poco e si è sentito poco. Cosa volete che avessero da dire i personaggi di questa Italia di pagliacci senza un briciolo di cultura anche soltanto pratica su un uomo come lui che rinunciò a cariche, poltrone, onoreficenze, ricchezze personali, per perseguire un grande ideale di giustizia forse impossibile a spiegarsi alle nuove generazioni.Antonio Giolitti e Riccardo Lombardi, ancora ottimisti, ai tempi del primo Centro SINISTRA Antonio Giolitti e Riccardo Lombardi, ancora ottimisti, ai tempi del primo Centro Sinistra
Lorena - Bologna - Mail - martedi 27 giugno 2017 14.26
Assieme a Miriam Mafai abbiamo perso due belle e nobili teste, ce ne restano sempre meno....peccato!!
Cristina - Milano - Mail - martedi 27 giugno 2017 13.28
Era una persona che a me piaceva molto, per cultura, educazione e mente politica... Bellissimo editoriale.
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - martedi 27 giugno 2017 12.13
Bell'articolo!
Roberto - Roma - Mail - martedi 27 giugno 2017 11.10
Anche secondo me!!!
Giovanni - Giavazzi - Mail - martedi 27 giugno 2017 7.52
L'omaggio più intelligente e profondo reso alla memoria di Stefano Rodotà.
Complimenti a Lussana. Secondo me è tra i pochi che hanno capito veramente il pensiero di Rodotà.


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