Giuseppe Lorin"Sogno un paese laico, non quello di San Marone o del profeta Muhammad, né ovviamente di al-Hakim bi-amrillah,  il padre della religione drusa. Sogno leader politici che credano nell'unità, che applicano la giustizia e la sicurezza sociale" (K. Jumblatt, 1958). Quali sono i caratteri della laicità nel nostro testo costituzionale? Non è retorica inutile, questa domanda. Se pensiamo alla pluralità di significati che ha ormai assunto il termine laico nella pubblicistica giuridica, al punto da rendere sempre più difficile comprendere che cosa sia uno Stato laico: una pluralità di significati spiegati nel nostro articolo precedente, pubblicato su Laici.it. Contrariamente a quanto desiderato da alcuni esponenti politici ai tempi della Costituente, soprattutto nel senso di affermazioni esplicite o implicite di confessionismo, così come si accenna nel libro 'Chiesa e Stato negli ultimi cento anni' di Arturo Carlo Jemolo (Einaudi, Torino 1971) la Carta del 1948 non contiene alcuna affermazione esplicita in ordine alla qualificazione religiosa dello Stato italiano. Il principio di laicità è peraltro ricavabile per via interpretativa dalle disposizioni costituzionali che direttamente o indirettamente toccano il fatto religioso e che, a loro volta, hanno un contenuto ascrivibile alla categoria dei principi fondamentali dell'ordinamento, ovvero quegli elementi di struttura che concorrono a definire la forma di Stato che noi italiani ci siamo dati. Dall'insieme delle norme e dei principi richiamabili al riguardo, è agevole trarre una serie di parametri che entrano a qualificare l'idea di laicità in riferimento al testo costituzionale. Innanzitutto, quel principio di sovranità che non giunge a 'svincolare' lo Stato dal doveroso riferimento all'etica naturale e ai diritti umani quali loro giuridica incarnazione. Ma, al tempo stesso, si tratta di una sovranità che non si estenda fino alla pretesa di disciplinare anche ciò che attiene all'ordine spirituale. Ciò che in effetti distingue l'ordinamento costituzionale italiano da ogni forma di giurisdizionalismo confessionista o aconfessionista, che pure l'Italia ha conosciuto in passato,  è l'ammissione esplicita di una incompetenza assoluta in un ordine, da cui discende una sovranità non assoluta, bensì dimensionata, relativizzata. Questo vale, evidentemente, in una dimensione per così dire 'orizzontale' per l'ordine religioso e spirituale, dato il chiaro dettato della disposizione costituzionale, i cui contenuti sono peraltro ricavabili anche dal complesso delle disposizioni contenute nell'art. 8 C. Una sovranità definita anche in una dimensione 'verticale', secondo un ordine gerarchico rispetto a norme etico-giuridiche preesistenti all'ordinamento positivo, alle quali questo si deve conformare. Al di là dei contorsionismi di certa dottrina giuridica, cos'altro vuol dire la Costituzione quando, per esempio, all'articolo 2 C. parla di "riconoscimento dei diritti fondamentali"? Oppure, all'articolo 29 C. dove è presente un riconoscimento della famiglia come società naturale, se non che esiste un ordine normativo distinto e inderogabile, quindi gerarchicamente sovraordinato, rispetto a quello giuridico positivo? E' evidente che non è piena sovranità quella che ammette altra legge al di sopra di sé. La laicità dello Stato comporta la sussistenza nell'ordinamento statale di un 'favor religionis', concepito non come disfavore per la 'non credenza', poiché nel caso si sarebbe davanti a una evidente e sfacciata forma di non imparzialità dello Stato innanzi al fatto religioso, bensì come orientamento dell'ordinamento caratterizzato dal considerare i valori religiosi come riferimenti di segno positivo, degni in quanto tali di considerazione e di protezione giuridica. La laicità desumibile dalla Costituzione italiana assicura, sia formalmente, sia sostanzialmente, la piena libertà religiosa: non solo individuale e collettiva, secondo i canoni codificati dalla tradizione liberale, ma anche istituzionale. È qui che si coglie la distinzione con la Costituzione 'vivente' dell'età liberale, che si ispira alla 'cavouriana' idea di una "libera Chiesa, in libero Stato". Un principio che giunge a incidere sulla libertà religiosa istituzionale, oltre che a riaffermare una concezione giurisdizionalistica, quindi 'piena' di sovranità. La libertà religiosa è espressa dalla Costituzione repubblicana non solo in termini di mera 'immunità' da coercizioni esterne in materia religiosa e di coscienza, ma anche in termini positivi. Il che significa impegno da parte delle istituzioni pubbliche affinché rimuova gli ostacoli di natura giuridica, culturale, sociale e di altra natura che, in concreto, dovessero impedirne l'esercizio. Lo Stato laico è impegnato, allo stesso tempo, a tutelare l'eguaglianza di trattamento giuridico tra individui, cittadini o nuovi acquisiti, evitando che possano darsi ulteriori discriminazioni dovute alle proprie credenze. La forma dello Stato delineata dalla nostra Costituzione, dunque, non è 'laicista', cioè ideologica, nella misura in cui conosce la distinzione tra ordine politico e ordine religioso. La qual cosa assicura un'effettiva autonomia delle realtà pratiche e terrene dalla sfera ecclesiastica e dalle norme e regole religiose. Rileviamo inoltre che tale distinzione tra Stato e Chiesa accolta dalla Costituzione italiana è cosa giuridicamente diversa dalla 'separazione', che può significare ignoranza della religione e sua riduzione nel privato o, peggio, nel chiuso della coscienza individuale. In particolare, la laicità sottesa all'ordinamento costituzionale italiano non rifugge, bensì 'postula' una sana collaborazione tra Stato e Chiesa, posto che entrambi, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale dei singoli individui. È quell'idea di laicità emersa al vertice del G7 negli interventi di Taormina.


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