Andrea TerminiNegli ultimi vent'anni, cioè dal 1997, anno di stesura e approvazione del Protocollo di Kyoto, il mondo ha iniziato a interessarsi realmente al binomio: sviluppo tecnologico-sostenibilità ambientale. Con il termine ambiente, a noi tutti vengono in mente le foreste, i mari, i laghi, i deserti. Ovvero, la natura generalmente intesa. È bene oggi, in virtù del grande sviluppo che la potenza di calcolo ha avuto negli ultimi anni, fare un passo in più e considerare questa parola sotto un'ottica diversa: quella delle supermetropoli, della connessione ininterrotta e senza limiti e delle nuove tipologie di lavoro. Ovvero, il nostro habitat contemporaneo. Quest'ultimo dovrà presto affrontare una delle più grandi contraddizioni dell'era contemporanea: l'aumento della produttività senza un apprezzabile aumento dell'occupazione. Ora, sulla reale portata di questo fenomeno, gli economisti sono tutt'altro che concordi. L'unica cosa certa è che se ne sta cominciando a parlare in maniera un po' più seria. La novità, rispetto al passato, è che la tecnologia sta passando dall'essere uno strumento al servizio del lavoratore, al lavoratore stesso. Con questa affermazione non intendiamo certo dire che il mestiere, per dire, del critico d'arte o del politico saranno presto effettuati da robot, perché non tutti gli impieghi sono riproducibili mediante algoritmi. In molte professioni conta soprattutto il 'fattore umano', ma il postino, lo spazzino, l'autista e via dicendo potranno facilmente essere sostituiti da una macchina. Sono a rischio, insomma, quei mestieri nei quali l'elemento predominante è la routine, mentre si manterranno più saldi quei lavori legati all'ingegneria informatica e tutti quelli che ruotano attorno alla rete, al suo utilizzo o alla sua manutenzione. È probabile che, nel tempo, i lavoratori non altamente specializzati verranno man mano espulsi dal mercato del lavoro e, probabilmente, mai più riassorbiti se non acquisiranno nuove competenze ritenute più 'spendibili'. Per rendersi conto dell'attualità del problema, qualche mese fa il parlamento europeo ha discusso su come inquadrare giuridicamente la definizione di 'robot'. E una possibile soluzione a questa 'disoccupazione tecnologica' sembrerebbe essere quella del reddito di cittadinanza: un'opzione favorita anche dalle grandi multinazionali per sopperire al decremento dell'occupazione. Per dare un'idea della possibile dimensione del fenomeno è stato calcolato che circa il 57% degli attuali posti di lavoro in Europa saranno a rischio, mentre in Cina tale percentuale toccherà addirittura il 77%. È prevedibile che i mestieri dell'alto artigianato non subiranno una flessione. Al contrario, essi risulteranno ulteriormente valorizzati dal fatto che, solamente in essi, la mano dell'uomo parteciperà attivamente nel processo creativo in senso materiale. Anche la prossima diffusione di massa delle stampanti 3D aprirà scenari inediti in tale campo, permettendo a tutti di creare oggetti di design affidando alla macchina il compito di realizzarli materialmente. Ciò s'inserisce perfettamente nella filosofia dei 'nuovi mestieri': per esempio, quello del blogger, che non richiede particolari competenze, se non quelle di riscontrare successo in rete e di avere un esercito di followers. Qui ci viene in mente l'esempio dell'italiana Chiara Ferragni, pioniera in tale campo, che in poco tempo, grazie al suo blog 'The Blonde Salad', ha raggiunto un successo globale, arrivando a fatturare 10 milioni di euro l'anno e diventando un'icona della moda, assoldata come testimonial da molte aziende del calibro di Yamamay o Guess. Sia come sia, tornando al rapporto tecnologia-ambiente, di recente ha destato scalpore e incredulità la dichiarazione dell'attuale capo dell'Epa (l'agenzia per la protezione dell'ambiente statunitense), Scott Pruitt, (nominato da Trump e di professione avvocato) riguardo al fatto che non esisterebbe legame alcuno fra riscaldamento globale e anidride carbonica: onore al merito a chi, con una frase, ha distrutto anni e anni di inutili ricerche scientifiche di un'altrettanto inutile categoria umana, nota con il nome di 'scienziati'. Pare poi che, negli ultimi mesi, lo spettro della guerra fredda sia tornato a bussare alle nostre porte. Dalle ultime dichiarazioni di Donald Trump riguardanti l'intenzione di 'restaurare' l'arsenale nucleare statunitense, ai continui test missilistici della Nord Corea nel mar del Giappone, al fragile equilibrio europeo, la situazione sembra più calda che mai. Non è certo uno scenario che l'umanità non abbia affrontato prima, questo è vero. Ma le nuove conquiste della tecnica, unite a una nuova idea di politica, che ragiona più con la pancia che con il cervello, mette certamente paura. A tal proposito, assume particolare valore la dichiarazione del fisico britannico Stephen Hawking, relativamente alla creazione di "un unico governo mondiale che tenga a bada l'aggressività insita nella natura umana", andando oltre il concetto di nazione e nazionalismo. Può sembrare un'ideale utopistico. Tuttavia, è fuor di discussione che il concetto stesso di democrazia dovrà essere riformato, in futuro, perché a volte le dittature trovano le proprie colonne portanti proprio nelle maggioranze 'impazzite'. In passato, Hawking aveva già espresso le proprie perplessità riguardo ai pericoli derivanti dallo sviluppo dell'intelligenza artificiale, che posta al governo del mondo potrebbe arrivare alla conclusione che la migliore azione da intraprendere sia quella di eliminare il genere umano, come nel film: 'Terminator'. Insomma, l'uomo non può essere sostituito, in tutto e per tutto, dalle macchine. E del termine 'ambiente' non dobbiamo più considerare solo il suo significato 'ecologico', bensì anche quello 'sociale' e 'antropologico'. Ma queste cose le scopriremo molto presto, poiché l'era delle democrazie cibernetiche è ormai all'orizzonte.


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