Ilaria CordìIl 21 marzo scorso si è svolto a Roma il Congresso nazionale straordinario del Partito socialista italiano (Psi). Al termine dell'assise, Riccardo Nencini, segretario uscente e viceministro alle Infrastrutture e Trasporti, è stato rieletto alla guida della formazione politica erende del socialismo umanitario di Claudio Treves e Filippo Turati. Ma non solo: i delegati socialisti hanno approvato il documento proposto e illustrato da Gianfranco Schietroma, attuale coordinatore della segreteria nazionale ed ex segretario del Partito dal 1995 al 1998. Vediamo pertanto, tramite il 'Documento politico congressuale', quali sono i punti 'cardine' che i socialisti hanno voluto affrontare e programmare: 1) rafforzamento e autonomia del Psi per dare il via a un'azione di governo più incisiva, al fine di una coordinazione pluralistica del centrosinistra; 2) modifica e/o armonizzazione delle attuali leggi elettorali per Senato e Camera dei deputati, in favore di coalizioni più solide ed omogenee; 3) rinvio di ogni decisione politica al Consiglio nazionale in merito alle elezioni 2018; 4) respinto il tentativo di chi, per via giudiziaria, ha provato ad 'abolire' il partito; 5) valorizzazione della necessità di un 'continuum' politico tramite il quale giovani e donne abbiano un ruolo fondamentale, al fine di costruire una nuova classe politica dirigente. Oltre a tali tematiche, i socialisti presenti hanno voluto insistere sull'importanza di molte altre questioni, come per esempio una più adeguata attuazione di alcuni principi della Costituzione ancora inapplicati e la definizione, nell'Unione europea, di canoni per una miglior gestione e integrazione dei migranti che giungono sulle nostre coste. Nel medesimo giorno, alle ore 22.13, tramite un post su Facebook, il Responsabile nazionale editoria, arti e spettacolo del Partito, Mario Michele Pascale, ha deciso di dimettersi dal proprio incarico, con la seguente motivazione: "Cari compagni, ho deciso di lasciare il Partito socialista italiano. Lo faccio dopo l'appuntamento congressuale, presa visione delle direttrici del Partito. Prima del congresso, dalle pagine de l'Avanti avevo chiarito il mio pensiero: o si andava ad un rafforzamento del fronte del socialismo europeo, quindi alla creazione di un unico contenitore politico; oppure, si faceva una scelta autonomista, che presupponeva un'organizzazione diversa, meno territoriale, meno feudale, più ideologica e con un orizzonte ben definito, in grado di dare risposte alle sfide del futuro. Il congresso, invece, ha fatto l'unica cosa che non doveva fare: evitare di decidere. Si è iniziato con l'elogio dell'eterna e disgraziata 'Rosa nel pugno', che se non decollò all'epoca e non si vede perché dovrebbe foarlo ora. Abbiamo proseguito, nel corso del dibattito congressuale, beatificando quel 'Campo progressista' di Giuliano Pisapia che è stato marginalizzato dalle scissioni del Pd, che gli hanno tolto gran parte dello spazio politico. Abbiamo chiuso con un avvicinamento a dir poco incestuoso ai nuovi moderati di centro ex Ucd. Fabrizio Cicchitto, intervenendo ai lavori, ha fatto bella mostra di sé, ricevendo i complimenti e l'interesse di gran parte del nostro gruppo dirigente. Ora, per quanto si cerchi di 'ciurlare nel manico' della dialettica 'hegeliana', mascherando l'indecisione e la paura di scegliere auspicando una 'grande alleanza', per forza di cose attaccata con il nastro adesivo, 'che vada dai popolari democratici al campo progressista', è evidente che la faccenda è utopica e irrealizzabile, al pari "dell'unica chiesa, che va da Che Guevara a madre Teresa". Insomma, per l'ennesima volta abbiamo perso tempo eludendo il vero nodo gordiano".
La lettera aperta di Pascale è molto lunga e, per ragioni di spazio, ne abbiamo riportato solo una parte. Alla luce di tali accadimenti, abbiamo tuttavia chiesto all'autore della missiva di spiegarci le motivazioni che lo hanno indotto ad abbandonare il Psi, nonché di chiarirci la propria visione politica complessiva.

Mario Michele Pascale, il 21 marzo scorso lei ha deciso di lasciare le fila del Partito socialista italiano, in cui ricopriva l'incarico di Responsabile nazionale editoria, arti e spettacolo: può spiegarci le motivazioni che l'hanno condotta a fare questa scelta così radicale e senza alcun ripensamento?
"Il Partito non riesce ad avere un orizzonte. Si è cercato, nell'ultimo congresso, di lasciare aperta ogni porta: dall'alleanza con i radicali a quella con Pisapia, alla 'costellazione' laico-liberale. Senza contare che siamo legati al Pd da un patto federativo che nessuno, fino a oggi, ha mai denunciato. Insomma, troppe porte e finestre aperte: troppi 'spifferi'. E io sono di salute cagionevole. Nessuno ha parlato, inoltre, della nostra organizzazione, di come poter competere con le nostre idee, con il nostro simbolo. A ciò si aggiunga che questa forza politica è in mano ad appetiti localisti, che hanno come unica finalità l'occupazione di posizioni amministrative. Così facendo, ci privano di profondità politica e di slancio ideologico. Non siamo più un Partito, bensì una lista civica: non ha senso. Una forza politica del genere, accartocciata su potentati locali, che non riesce a ritagliarsi uno spazio ideologico efficace, è destinato all'estinzione. L'ho ripetuto per mesi, sperando che il congresso imboccasse un'altra strada, ma è andata diversamente".

Al termine del Congresso straordinario del Psi, Riccardo Nencini è stato rieletto segretario. Dalle parole da lei usate nella 'lettera d'addio' si riesce a intendere che tale rielezione non è stata molto gradita: quali sono le ragioni per le quali tale conferma le ha creato uno scompenso tale da convincerla ad abbandonare la formazione socialista?
"In realtà, il problema non è Nencini. Nonostante le differenze politiche, tra me e lui c'è stata sempre reciproca stima e rispetto. Il nodo è rappresentato dai tanti 'ras' locali che, nei fatti, hanno in mano il Partito. Ritorniamo agli interessi ammnistrativi, di cui si diceva prima. Prima di ogni congresso c'è sempre fermento: tutti iniziano con i 'mal di pancia', tutti vogliono fare il segretario nazionale, ma alla fine nessuno ha il coraggio di farsi avanti. La rielezione di Nencini con percentuali bulgare (solo tre voti contro...) non è frutto di un regno del terrore, ma la sommatoria della mancanza di coraggio e di idee dei nostri dirigenti".
 
Alla luce dei fatti, lei aveva esposto chiaramente in suo pensiero: o un rafforzamento del fronte del socialismo europeo e la creazione di un unico contenitore politico, o un'organizzazione meno territoriale, con un orizzonte maggiormente d'opinione: secondo lei, questa visione 'neutralista' può esser vista come un segnale di valori non più vincenti ed egemoni sulla scena politica odierna?
"Il nostro spazio politico è occupato dal Partito democratico. Quando vediamo, per esempio, gli eredi del cattocomunismo che portano avanti le tematiche delle unioni civili o del fine vita, mentre noi siamo fermi al palo, un problema ce lo dovremmo porre. Invece, niente. Il Pd occupa anche lo spazio del socialismo europeo. E siamo stati noi, con una mossa suicida quasi da manuale, a far entrare i 'cugini' democrats nel Pse. Insomma, non abbiamo più una nostra specificità politica. Senza questa cosa diciamo agli elettori? Come chiedere alla gente di entrare nel Partito? Le comunali di Roma sono state esemplificative: io avevo chiesto con forza di presentare un nostro candidato alle primarie, proprio per differenziarci dal Pd. Non è stato fatto e ci siamo appiattiti sin da subito su Giachetti. Non abbiamo presentato un nostro programma per la città. Non abbiamo presentato neanche il nostro simbolo, ripiegando su una lista civica. Siamo stati noi stessi, come Partito, a evirarci, rinunciando alla nostra specificità. La conseguenza è stata disastrosa: anche in caso di vittoria di Giachetti non avremmo eletto nessuno. Una visione neutralista, al ribasso, priva di coraggio e di valori, non ha alcuna possibilità di essere vincente".

La seconda Repubblica è stata una totale deriva qualunquista della politica, oppure c'è qualcosa che si può salvare, secondo lei?
"Leggere nella seconda Repubblica solo una 'deriva qualunquista' sarebbe un errore: essa è stata anzitutto, sia a destra, sia a sinistra, la liquidazione di un sistema di governo, di rapporti sociali, sindacali e di welfare, portata avanti con estrema lucidità e precisione chirurgica. La centralità dell'uomo qualunque che si trasforma in leone da tastiera, la brutalizzazione dei rapporti e dei linguaggi politici e il leaderismo sono solo fenomeni marginali, accessori. Disdicevoli, ma marginali. L'attacco vero è stato portato altrove. Salvare qualcosa della seconda Repubblica? Per carità, speriamo che venga inghiottita da un buco nero".

Verso quale direzione andremo con le ormai imminenti elezioni politiche nazionali, previste per il 2018? E come vede le innumerevoli scissioni che stanno flagellando l'attuale maggioranza di governo?
"Vorrei tanto sbagliarmi, ma non abbiamo né le proposte, né la struttura, né gli uomini per arginare l'avanzata dei cinque stelle e delle destre. E saremo al disastro. Da Civitavecchia, dove governano, vedo di cosa sono capaci i 'pentastellati'. E già prefiguro l'Italia in mano loro, totalmente esposta all'estemporaneità. Quanto alle scissioni e ai nuovi Partiti della sinistra, è solo accanimento terapeutico nei confronti di un ceto politico che ha già fallito più di una volta e che non si rassegna a morire. E io sono favorevole all'eutanasìa".


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