Fabrizio FedericiLa data dell'8 marzo, festa della donna, istituita negli Stati Uniti d'America nel 1909, entra per la prima volta prepotentemente nella Storia nel 1917, esattamente un secolo fa. Proprio in quel giorno, infatti, le donne di Pietrogrado scesero in 'piazza' per chiedere la fine della prima guerra mondiale, uno 'stop' alla "inutile strage", per dirla con le parole che, di lì a pochi mesi, avrebbe pronunciato Benedetto XV, che da tre anni inondava di sangue l'Europa orientale con un 'macabro balletto', che vedeva, di volta in volta, avanzare gli Imperi centrali o, al contrario, la Russia zarista. Ma, alla fine di febbraio 1917, quest'ultima era ormai stremata: le perdite ammontavano a più di sei milioni tra morti, feriti e prigionieri e, tranne alcune vittorie sul fronte austriaco, vanificate dagli eventi, la Russia aveva subìto una grave serie di sconfitte con la perdita della Polonia, di una parte dei Paesi baltici e dell'Ucraina, portando così il fronte all'interno dei suoi stessi confini. I reparti dell'esercito iniziavano a 'sbandarsi' e a far ritorno a casa, o addirittura a fraternizzare col nemico, come testimoniato anche dalle scene iniziali di uno dei capolavori di Eisenstein: 'Ottobre'. In queste condizioni, il 23 febbraio - cioè l'8 marzo, essendo il calendario russo di quel tempo ancora quello 'giuliano' e non il 'gregoriano' comunemente usato in occidente - esplose la rivolta del popolo. Dal 18 febbraio erano già cominciati imponenti scioperi nelle principali fabbriche della capitale, Pietrogrado. Nei giorni successivi, venne proclamato lo sciopero generale. Lo zar Nicola II ordinò di reprimere le manifestazioni, conscio che non si trattasse di una semplice rivolta, ma di una vera e propria rivoluzione: "Un 1789 russo", che poteva portare al crollo del sistema zarista. Nei giorni successivi, la situazione precipitò: gran parte della guarnigione di Pietrogrado si unì agli scioperanti, distribuendo loro le armi. La Duma, il parlamento nato dopo la prima rivoluzione del 1905 le cui sedute da tempo erano state sospese dallo zar, formò allora un comitato che propose al Paese alcune alternative di governo. La contemporanea riunione del soviet di Pietrogrado creò un dualismo di poteri, in seguito determinante per l'evoluzione della Rivoluzione russa: la Duma elettiva da una parte, col suo comitato; i soviet, espressione di soldati, marinai e operai, dall'altro. Mentre a Pietrogrado i rivoltosi occupavano abbastanza facilmente i principali 'punti nevralgici', a Mosca scoppiò inarrestabile la rivolta, che in breve portò la città in mano agli insorti. La situazione era sostanzialmente compromessa, per l'autocrazia: Nicola II fece un tentativo di concedere ampie riforme e un'Assemblea costituente, riprendendo la politica avviata nella prima Rivoluzione del 1905, ma il 2 marzo (in realtà il 15, ndr) comitato e soviet si accordarono per la deposizione dello zar e l'istituzione di un governo provvisorio, che avviasse la fase costituente. Il nuovo governo fu formato da rappresentanti del Partito costituzionale-democratico dei 'cadetti', dei menscevichi, dall'ala riformista del Partito socialdemocratico operaio russo, contrapposto a bolscevichi e socialisti rivoluzionari. Quella stessa notte, Nicola II abdicò in favore del fratello, il granduca Mikhail ("Le idi di marzo!", esclamò costernato lo zar), il quale, però, dovette rinunciare. L'intera famiglia imperiale venne tratta in arresto: verrà sterminata per crudele decisione del soviet locale nel mese di agosto dell'anno successivo a Ekaterinenburg, in Siberia, di fronte alla preoccupante avanzata dei controrivoluzionari 'bianchi'. Nella Rivoluzione di febbraio, i bolscevichi non avevano avuto ancora un ruolo da protagonisti: il Partito, infatti, praticamente clandestino benché avesse cinque rappresentanti alla Duma, era privo dei suoi dirigenti migliori, tutti in esilio all'estero, o deportati in Siberia: Lenin, com'è noto, da tempo si trovava, con la moglie Nadiezda Krupskaja e l'amante, la marxista francese Ines Armand, in Svizzera, dove tra l'altro aveva avuto modo di conoscere un giovane socialista rivoluzionario, Benito Mussolini e, a Zurigo, l'irlandese James Joyce; Trockij risultava bloccato a Londra dov'era arrivato da New York, lasciata in gran fretta non appena saputo della rivoluzione; Gregori Zinoviev, infine, era anche lui a Zurigo. Anche nei soviet, che si andavano ricostituendo in tutta la Russia dopo l'esperienza del 1905, la maggioranza era quasi sempre composta di menscevichi e socialisti rivoluzionari. Ma il 3 (in realtà il 16, ndr) aprile, lunedì di Pasqua, Lenin giunse alla stazione di Pietrogrado sul famigerato 'treno piombato' preparatogli dal Governo tedesco, il quale, con spregiudicata 'realpolitik', da mesi aveva concluso con il leader bolscevico un 'patto del diavolo', che gli permise di rientrare in Russia attraverso la Germania e i Paesi scandinavi, col preciso obiettivo di scatenare in patria una rivoluzione che portasse fatalmente il Paese fuori dalla guerra. Con tipico 'machiavellismo rosso', Nikolaj Lenin, all'anagrafe Vladimir Ulianov, avvocato di Simbirsk (oggi Ulianovsk) accettò le proposte del Kaiser e del suo primo ministro, Bethmann-Holwegg, rendendosi conto che il 'treno' che gli passava davanti (in tutti i sensi...) era uno di quelli che nella vita capitano una volta sola e che, senza di esso, la rivoluzione comunista in Russia non sarebbe mai avvenuta. Così accettò di agire quasi da 'agente del Kaiser', anche se ai tedeschi non aveva nascosto l'intenzione, una volta al potere, di portar la rivoluzione in tutta Europa, Germania compresa. Accettando anche l'incredibile finanziamento di 100 milioni di marchi, indispensabili per far uscire regolarmente, per almeno un anno, la 'Pravda' e tutti gli altri fogli rivoluzionari (su questa vicenda e, più in generale, sui finanziamenti ai rivoluzionari russi dal 1905 in poi, illuminanti i documentati studi dell'italiano Marcello Lucini, soprattutto nell'ottimo saggio 'Chi finanziò la Rivoluzione d'ottobre', Roma, Editrice italiana, 1967, oltreché dell'inglese Michael Pearson: 'Il treno piombato', Sperling £& Kupfer, 1976. Per questo piano di 'marketing politico-editoriale', determinante fu l'appoggio del faccendiere Parvus, ovvero Izrail' Lazarevi Gelfand, un marxista bielorusso-ebreo vecchio amico di Lenin e già tra i protagonisti nel 1905: un rivoluzionario arricchitosi negli anni precedenti col commercio di armi e di grano verso Istanbul. Pochi giorni dopo il ritorno in Russia, Lenin pubblicò le sue 'Tesi di aprile': uno scritto in cui cercò di dare un 'paludamento' teorico, in linea coi princìpi generali del marxismo, alla scelta - da lui annunciata il giorno stesso dell'arrivo alla stazione Finlandia di Pietrogrado - di passare a una rivoluzione violenta. "L'incerta situazione russa", sostenne il leader bolscevico, "impone ai rivoluzionari di professione di scatenare al più presto la rivoluzione proletaria, per prevenire possibili 'golpe' della borghesia", dimenticando quello che era uno degli insegnamenti di base del marxismo: l'impossibilità di attuare la dittatura del proletariato in un Paese - come appunto la Russia del 1917 - a economia soprattutto agricola, privo di una consistente e matura classe operaia. Sul tema, lo stesso Marx aveva scritto un'opera illuminante, oggi naturalmente assente dal 'corpus' ufficiale degli scritti 'marxiani' pubblicato nei Paesi comunisti: quelle 'Rivelazioni sulla Storia diplomatica segreta del XVIII secolo', ripubblicate dalla casa editrice milanese 'L'erba voglio' solo nel 1978. Nel saggio, il maestro di Treviri aveva messo in guardia i rivoluzionari proprio dalla prospettiva di scatenare una rivoluzione in un Paese arretrato come la Russia, pena esiti dispotici e rovinosi. Invece, per la Russia iniziò quella tragica epopea che l'avrebbe portata, nel luglio e agosto successivi, al fallimento, rispettivamente, del primo tentativo bolscevico di presa del potere e del tentativo controrivoluzionario del generale Korrnilov, il 'Victoriano Huerta' russo, nonché, il 24-25 ottobre (6-7 novembre, ndr), al vero e proprio colpo di Stato dei bolscevichi, il quale, va detto, alle elezioni del Congresso panrusso dei soviet, tenutesi in giugno, erano risultati in minoranza pur avendo vinto nel soviet di Pietrogrado, mentre in quelle dell'Assemblea costituente dell'8 dicembre successivo, in totale avevano raccolto solo 9 milioni di voti, il 25%, contro il governo democratico del menscevico Aleksandr Kerenskij. Infine, si giunse alla totale dittatura leninista, inutilmente contrastata, nel 1918-1920 dai russi 'bianchi', in gran parte nostalgici dello zarismo e dall'intervento armato delle grandi potenze, cui sarebbe seguìto, dopo la morte di Lenin, nel 1924, il 'viaggio nella vertigine' dello 'stalinismo', con la collettivizzazione forzata dell'economia, la trasformazione del Paese in grande potenza industriale e, al suo interno, la piena egemonia della componente russa. Obiettivi costati, entrambi, milioni di morti. A cominciare dalle vittime della carestia, indotta forzatamente dai bolscevichi nel 1932-33 in Ucraina, cui seguì la liquidazione totale delle opposizioni, dai socialisti rivoluzionari a molti degli stessi vecchi bolscevichi, sbrigativamente eliminati tramite i celebri 'processi farsa' contro Zinoviev e Bucharin, sino al vergognoso assassinio di Trockij, avvenuto in Messico nel 1940. "Ghiotta è la terra russa/ghiotta di sangue fresco", recita una celebre poesia di Anna Achmatova. "S'è ormai esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre", dichiarerà, bontà sua, Enrico Berlinguer durante una celebre conferenza stampa televisiva del 15 dicembre 1981, a seguito della presa del potere da parte del generale Jaruzelski in Polonia. Una 'spinta' costata all'umanità milioni di morti nelle repressioni comuniste prima in Urss e in seguito, dopo la seconda guerra mondiale, in tutti i suoi 'satelliti'. Per non parlare della vergognosa, quanto rovinosa, alleanza sovietico-nazista del 1939-'41, determinante per lo scoppio del secondo incendio mondiale. Infine, l'instaurazione, in Europa, di una "cortina di ferro", come ebbe a definirla con celebre espressione Winston Churchill, durata per decenni sino al definitivo crollo, tra il 1989 e il 1991, dell'universo comunista costata alla sinistra di tutto il mondo l'egemonia 'italo-marxista' di una cultura intollerante, supponente, massimalista, che per più di settant'anni ha sempre considerato, come proprio principale nemico, non le destre, bensì il socialismo democratico ("siamo nati per combattere la socialdemocrazia", aveva detto Lenin e ripetuto più volte Palmiro Togliatti). Sciagure rovinose ("Cime rovinose", o "Cime abissali", s'intitolava sarcasticamente il romanzo anni '70 del dissidente sovietico Aleksandr Zinoviev, pubblicato nel 1977 anche in Italia) che oggi è finalmente il tempo (per usare - in direzione ovviamente opposta - proprio una celebre espressione di Trockij nei giorni della Rivoluzione del novembre 1917) di gettare, senza indugi, nella 'pattumiera della Storia'. Per costruire una sinistra ben diversa, che anzitutto non voglia più creare l'uomo 'nuovo'.


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