Annalisa CivitelliAbbiamo incontrato Samantha Silvestri, una giovane attrice che sta emergendo nel panorama teatrale italiano. Intelligente e versatile, ha già interpretato diversi ruoli, prendendo parte ad alcuni cortometraggi, web series e serie televisive. Veneta di origine, ma romana di adozione, con costanza si adopera anche nel sociale: un campo di suo interesse sin dai tempi dell'università. La sua tesi sul 'Teatro carcere' le ha permesso di stare a contatto con i detenuti e, per un anno, di fare teatro insieme a loro. Sostiene anche giornate e iniziative contro la violenza sulle donne e ha lavorato per alcuni eventi legati a questa problematica dei nostri giorni. Questo senso di 'appartenenza' a tale contesto ha accresciuto notevolmente la sua personalità e con la sua compagnia, il gruppo 'Teatro Onda', porta in scena spettacoli che non mancano mai di ritmo, né di revival, soprattutto nel lavoro più recente, intitolato 'Hai finito...?!? Erase/Rewind', andato in scena al Teatro Trastevere di Roma con grande successo. Varie arti sono unite in maniera omogenea, senza mai far calare l'attenzione degli spettatori. Il ritmo è rilevante e rievoca quel che gli anni '90 del secolo scorso hanno rappresentato, soprattutto nel mondo musicale e in quello dei 'videoclip', dai quali la regista, Erika Barresi, ha preso spunto. Andiamo dunque a scoprire insieme il mondo personale di questa giovane artista.    

Samantha Silvestri, come ti hanno influenzata gli anni '90 del secolo scorso?
"Gli anni '90 sono l'ambientazione che la regista, Erica Barresi, ha voluto dare per questo suo testo. A quei tempi, io ero una pre-adolescente: una fase della vita in cui ci si pongono delle domande sulla propria identità. Proprio in quel periodo ho scoperto Mtv: un piccolo 'romanzo' di crescita. Guardavo i video musicali, le varie 'pop-star' e mi divertivo con loro, che diventavano quasi dei compagni di vita. Gli anni '90 hanno dato il 'la' alla mia crescita".

Per questo l'idea del videoclip inserita nello spettacolo?
"Si: il concetto di 'videoclip' è importante, non solo perché ritorna nell'ambientazione scenica, bensì perché è diventato una forma comunicativa che si è sempre più sviluppata nel teatro di oggi. Avendo studiato al 'Dams' ho dedicato un esame universitario a questo tipo di comunicazione: una forma televisiva che è stata ampliata in più modi. Il videoclip, inoltre, nasce già da Stanley Kubrick e da una serie di grandi registi che hanno utilizzato questa forma espressiva. Kubrick, per esempio, con le sue scenografie e le sue idee ha fornito degli input per realizzare un certo 'tipo' di video. Mi viene in mente, per esempio, quello di 'Scream', che Michael Jackson girò insieme a sua sorella, completamente ripreso da '2001: odissea nello spazio'...".

A livello sociale, quali differenze cogli tra gli anni '90 e la nostra vita attuale?
"Per quanto riguarda le differenze sociali, rispetto gli anni '90 siamo arrivati a un punto in cui la società si è completamente 'sclerotizzata'. In seguito all'avvento dei cellulari e delle applicazioni, il nostro stile di vita è stato completamente travolto, soprattutto per quel che riguarda ritmi e bioritmi, così come ha modificato il modo di comunicare tra le persone. Temo molto questo modo di vivere di cui siamo vittime consapevoli, sapendo che perdiamo la gestione del tempo umano e non solo: anche di quello 'robotico', tecnologico, o cibernetico che dir si voglia. Queste sono le differenze che mi vengono in mente in maniera lampante, poiché rappresentano quelle che, probabilmente, mi preoccupano di più".

Queste differenze ci obbligano. oggi, a vivere di nostalgie?
"Secondo me, la nostalgia non deve esistere: esiste solo lo sviluppo, l'evoluzione e il tempo, quello che agisce in un certo modo. L'essere umano procede in una certa direzione, quindi si può sempre pensare al passato. Tuttavia, non credo che il passato esista veramente: esista solo il presente e possiamo 'ancorarci' solamente in questo spazio temporale. Sicuramente, utilizzare l'ambientazione degli anni '90 conduce, soprattutto, a dare uno 'stile' utile ai 'balletti' e alle danze che si fanno in scena, ai modi che abbiamo utilizzato per interpretare il testo dando 'ritmo' allo spettacolo. Tutto ciò proprio perché il videoclip si basa sul ritmo".

Credi che tornare al sociale possa permetterci di guardare il mondo da un'angolazione diversa o meno ostile?
"Se si crede in qualcosa, in alcuni valori, princìpi o persino in qualche utopìa, sì. Anche se non saprei dare una risposta valida, perché quando si getta un seme non si sa mai cosa cresce: non è una cosa che 'scatta' nell'immediato. L'attenzione verso il sociale tramite, per esempio, il teatro mi ha raggiunta ai tempi dell'università: scrissi una tesi sul 'Teatro carcere' e sono stata, per un anno, ospite di una prigione per fare teatro con i suoi detenuti. Penso che il teatro possa salvare molte persone, perché è una forma di comunicazione umana autentica, in cui si condivide sudore, stanchezza e rispetto un po' come nello sport, donando valori molto importanti. A Treviso, la mia città d'origine, ho condotto un laboratorio teatrale di donne insieme alle quali abbiamo messo in scena una nostra rivisitazione de 'I monologhi della vagina'. Inoltre, ho lavorato a molti eventi legati alla violenza contro le donne, così come sono portavoce di alcune manifestazioni e di giornate dedicate a questo problema: trovo tale argomento considerevole nella mia vita, perché ne sono stata vittima. E più se ne parla, più si può sconfiggere questo male. Inoltre, non è detto che il sociale sia legato al fatto di essere un attore e, quindi, di essere collegato a un evento di beneficenza: ognuno di noi, tramite il proprio lavoro, può trovare una maniera importante di comunicare contro questo tipo di violenze. Qualunque lavoro facessi, sento che dovrei farlo. E' una responsabilità sociale di fronte alla quale tutti dovrebbero sentirsi sensibili, poiché tutti abbiano dei doveri in tal senso".

Con la vostra compagnia, il gruppo 'Teatro Onda', avete partecipato alla rassegna di corti teatrali 'Frammenti al femminile' presso il 'Teatrocittà', il nuovo centro di ricerca teatrale e musicale di Roma diretto da Patrizia Schiavo, aggiudicandovi il secondo premio con 'Madama, ma non troppo', insieme al premio speciale della critica: ci racconti quest'esperienza?
"Innanzitutto, devo dire che 'Madama Butterfly' è un personaggio bellissimo da interpretare e spero ritorni presto nella mia vita. Erika Barresi mi ha regalato la preziosa possibilità di interpretarla: a questa regista devo molto. La nostra partecipazione al concorso di 'Teatrocittà' è stata un'esperienza esaltante. Patrizia Schiavo e Silvia Grassi sono state due padrone di casa eccezionali: due donne e due attrici solari e tenaci. Lì ho condiviso i camerini con delle colleghe solidali, nonostante fosse una 'gara'. Ci siamo divertite molto e sostenute a vicenda, benché fossimo, ripeto, all'interno di una 'competizione'. Già questa considerazione sfata un pregiudizio, spesso associato al mondo femminile: la 'competitività'. Non è vero: nella mia vita personale e lavorativa ho conosciuto donne fortissime, che mi hanno insegnato tanto. Sono fortunata, perché in casa ho un esempio insuperabile: mia madre".

Ma cosa pensi delle donne e della loro 'forza costante', spesso non compresa o scambiata per qualcos'altro, soprattutto dagli uomini?
"Rispondere specificamente a questa domanda è difficile, in quanto mi sono sempre circondata di uomini valorosi, dalla forza altrettanto costante: uomini che completano o che sanno completare una donna. Per me non esiste una dicotomia tra maschile e femminile. E non sussiste una forza migliore o peggiore tra le due 'sfere': sono due forze naturalmente diverse. Tutto il resto è male, punto: abusi, violenze, 'mobbing' e disparità di genere sono declinazioni di un 'male' che non va rabbiosamente 'sfogato' contro il 'maschio', ma combattuto con l'amore. Lo dico con cognizione di causa: io ho subito violenze, ma tantissimi uomini mi hanno aiutata e sostenuta".

Come sei riuscita a implementare le tue qualità teatrali?
"Il teatro è un mezzo di comunicazione molto potente: crea condivisione e comunità, obbliga le persone a cambiarsi, a truccarsi, a cercare parcheggio, a mangiare prima o dopo lo spettacolo, a stare a lungo in un luogo caldo o freddo. Tutto ciò richiede una preparazione tale per cui il pubblico che vuole assistere allo spettacolo ti obbliga a essere in forma. Bisogna avere un gran rispetto per chi ti viene a vedere. Grazie a questo lavoro, si riesce a creare condivisione e a combattere questa 'stanchezza' che la gente sembra avere nei confronti del teatro. Se poi tutto questo ha un valore sociale, secondo me è il 'top'. Il valore sociale di un mio lavoro può essere anche semplicemente una commedia che parla d'amore, perché magari uno spettatore può trovare una 'chiave interpretativa' utile alla propria vita, immedesimandosi nella storia raccontata: da un teatro si esce sempre arricchiti e si apprende sempre qualcosa. Un obiettivo al quale ogni attore 'punta', per far sì che il pubblico possa tornarsene a casa contento o piacevolmente sorpreso ".

Il tuo lavoro comporta una forte concentrazione: pensi davvero che applicarsi così metodicamente come fai tu porti ai risultati auspicati?
"Un concetto molto importante che ho acquisito quando ho frequentato l'Accademia di recitazione a Venezia e che nell'ambito teatrale non è rilevante la concentrazione, ma l'attenzione, l'amore per i dettagli: è quello che, probabilmente, sviluppa l'empatia. La concentrazione è vincolata solo al fissare un punto, mentre invece l'attenzione è legata a tutto lo spazio che c'è intorno a noi. Credo che, in questo lavoro, ci sia più bisogno di attenzione che di concentrazione, la quale rischia di sfociare in uno 'sfogo egotico'. Attenzione, sì. Io la 'stimolo' molto, questo è vero. Ma è inevitabile: il mio lavoro tratta del reale, della realtà, delle persone. La realtà è lo strumento da cui attingo e lo faccio mio. I miei insegnanti ci dicevano: "Se volete studiare recitazione state al bar e guardate le persone". Il mondo ci dà tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Penso, inoltre, che i risultati si possano raggiungere lavorando ogni giorno. Io non sento di vivere il mio essere attrice come un lavoro artistico, bensì lo vivo come un mestiere 'artigianale'. Quindi, ogni giorno sistemo le mie cose: un giorno vado in palestra, un altro a danza, un altro ancora a lezione di canto. Un giorno leggo un buon libro e, infine, un altro giorno scelgo di stare con persone che mi arricchiscano. Si sceglie, quindi, chi frequentare: questo è uno stile di vita giusto per un attore. E la cosa bella nel fare l'attore è che si vive senza giudicare le persone intorno, perché tutti possono dare qualcosa, o potrebbero diventare un personaggio da interpretare".

Teatro, cinema, musica, 3 arti che dialogano tra loro: si può, dunque, creare un legame? E quanto è difficile stabilire un rapporto nella diversità di ogni 'linguaggio'?
"Non è propriamente difficile: bisogna dedicarcisi. Per esempio, prima dello spettacolo, con il nostro coreografo, Claudio Meloni, abbiamo fatto un laboratorio sulla 'danza-contact' e l'uso della  voce. Due cose che tendenzialmente vivo 'slegate', ma che grazie a questa esperienza ho imparato a unire tra loro. Tale 'ricetta' è risultata molto utile: ho appreso che quello che si conosce, come l'uso della voce e l'uso del corpo mediante la musica, si possono amalgamare come gli ingredienti per fare una torta. Dosare le caratteristiche corporee, dunque, e poi unirle. 'Stressare' il corpo e abbracciare discipline significa lavorare per raggiungere l'obiettivo desiderato, con curiosità".

Nel vostro spettacolo avete descritto l'abbandono: quanto l'amore può essere considerato forte abbastanza da non farci vivere la solitudine?
"Secondo me, esiste un nuovo concetto di solitudine: la solitudine della massa. Una solitudine strana e frustrante, schermata dai molti mezzi di comunicazioni che abbiamo. E' un concetto legato anche all'abbandono, perché se ci si deve lasciare, ci si lascia tramite uno strumento. L'amore fa 'girare' tutto. Tuttavia, oggi l'amore richiede impegno. E questo impegno lo stiamo perdendo".


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