Andrea Termini10 gennaio 1927, cinema 'Ufa-Palast am zoo' di Berlino, Repubblica di Weimar. Il buio triennio dell'iperinflazione (1921-1924) sembra essere ormai soltanto un lontano ricordo. Il pesante 'giogo' di Versailles pare man mano farsi più leggero. Una nuova luce illumina la fredda notte dell'inverno berlinese: quella del proiettore. Sul grande schermo, appeso alla parete, scorrono immagini a ritmo alterno, a volte caotico, altre molto lento, mentre l'orchestra, altrettanto in alternanza, accompagna le riprese. È la terribile prefigurazione dell'anno 2027 di un mondo nel quale gli operai vivono sottoterra, costretti a turni di dieci ore di fila in cui il minimo errore costa la vita. E i ricchi, nelle loro 'torri d'avorio', sono sul ciglio d'un burrone senza sapere di esserlo. È la realtà immaginata da Fritz Lang. E la città è Metropolis, secondo una visione del capitalismo portato alle sue più cupe conseguenze (si direbbe quasi una predizione dell'ottobre del 1929). Oggi, mancano ancora poco più di dieci anni a questo futuro da incubo, ma sembra che, almeno nel mondo occidentale, in una buona percentuale di casi si riesca a condurre uno stile di vita più che discreto. Eppure, si muore di lavoro. Non solo nelle miniere del Sudafrica alla ricerca delle 'terre rare' (elementi fondamentali nel campo dell'elettronica) o, per rimanere a casa nostra, a causa di quelle odiose 'pratiche semi-schiaviste' che vanno sotto il nome di 'caporalato' contro il quale, un mese fa circa, sono state introdotte pene più aspre. C'è, infatti, un nuovo relativamente modo per morire. Più assurdo, se vogliamo, che nessuno aveva immaginato potesse accadere, se non in casi isolati. È quello che in Giappone viene chiamato con il nome di 'karoshi'. Tradotto in italiano, il termine significa: 'morte da superlavoro'. Le differenze fondamentali con l'ambientazione proposta da Metropolis di Fritz Lang sono due: 1) il luogo dove il fatto avviene: non nei campi, non nelle miniere, ma dietro a una scrivania; 2) chi questo fenomeno coinvolge: non un esercito di disperati, ma spesso 'top managers' o lavoratori altamente specializzati. Geograficamente, il fenomeno è ancora limitato all'estremo oriente: probabilmente, a causa del veloce processo di sviluppo di certe realtà (in Cina nascono 1,2 aziende ogni giorno, ndr) e della concezione stessa del lavoro e della competività a ogni costo. Basta scorrere le statistiche per scoprire che Paesi come la Corea del Sud e il Giappone siano praticamente primi in classifica fra le realtà cosidette 'sviluppate' per tassi di suicidio. Nel 2012, rispettivamente 28.9 e 18.5 casi ogni 1000 abitanti, a fronte del 4.7 del dato italiano. Sarà perché forse siamo un popolo di 'pigroni'? Falso, come dimostra il 5,49% di assenteismo 'made in Italy' contro, per esempio, il 7% della Francia. Ma vivere esclusivamente per il proprio lavoro e a questi ritmi sembra quanto meno assurdo per la nostra mentalità. Non sarebbe allora meglio guardare, per esempio, al caso della Svezia? Facciamo riferimento proprio a questo Paese poiché, in primo luogo, l'area baltica possiede storicamente un indice di sviluppo umano molto alto e perché, nell'ultimo periodo, si stanno tenendo una serie di studi, finanziati dal governo di Stoccolma, riguardanti gli effetti di una riduzione del carico lavorativo giornaliero, dalle classiche otto ore, alle sei della sperimentazione. E senza neanche quasi la necessità di specificarlo i risultati parlano di una riduzione dello 'stress' da una parte e di un aumento della 'produttività relativa' dall'altra. Diciamo relativa, poiché è stato comunque necessario assumere del personale 'extra' per far fronte all'accorciamento dei turni. Molto più a est, in Cina, per aumentare la produttività si utilizza un'altra tecnica: la 996. Il 'doppio nove' sta a indicare l'orario del turno, dalle 9 di mattina alle 9 di sera, mentre il sei rappresenta i giorni lavorativi a settimana. Il risultato sarebbe un aumento del 100% della produttività e le conseguenze, naturalmente, ricadono sotto la voce 'karoshi' prima esaminata. Ora, con il presente articolo non vogliamo certamente invitare nessuno a 'timbrare il cartellino' e a stare con le 'mani in mano' per il resto della giornata. Vorremo, invece, invitare i lettori a riflettere su quanto sia necessario analizzare tutto questo. In Italia, a meno di appartenere a determinare categorie, la pensione si matura con più o meno 43 anni di contributi. Prendendo in considerazione un giovane laureato di 25 anni, che entri a quest'età nel mondo del lavoro, significa che dovrà lavorare sino a 68 anni. Pensiamo che la tecnologia debba avere, come scopo primario, il miglioramento delle condizioni di vita dell'uomo e che non debba essere, come nella 'plumbea visione' di Lang, un grande e pesante ingranaggio che ci mantenga 'confinati' nelle viscere della terra in un 'inferno quotidiano': la tecnologia non è un semplice strumento moltiplicativo della produzione. La risposta a tutto questo si può definire in due concetti: 1) ridefinizione delle priorità; 2) qualità piuttosto che quantità del tempo dedicato al lavoro, attuabile mediante l'ottimizzazione di processi produttivi e aziendali, congiunti a un mutamento della mentalità comune in relazione al concetto di successo. Perchè quando si è stanchi, per riprendere a correre è necessario fermarsi un poco. Take it easy!


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