Vittorio LussanaLa politica italiana non riesce a esprimere, ormai da molto tempo, contenuti reali ed efficaci, che corrispondano agli interessi concreti dei cittadini. Ciò accade per una serie di esigenze propagandistiche e mediatiche che stanno facendo più male che bene alla stabilità del Paese. Innanzitutto, continua a mancare una corretta analisi sociale: un compito da tempo ‘delegato’ al mondo della cultura, della produzione artistica e della cosiddetta ‘intellighentia’ intellettuale. La quale, ovviamente, ha un proprio modo di vedere le cose che non si sovrappone affatto con i temi che la politica affronta o tende a esprimere giorno per giorno. Ciò accade anche perché la politica continua a non volersi occupare della cultura, abbandonando a se stesse quelle zone del Paese che, come nel caso della città di Roma – ma anche di Napoli o Venezia - per tradizione millenaria e secolare hanno nel proprio patrimonio ‘artistico-culturale’ il loro principale settore di competenza, anche sotto il profilo organizzativo, turistico o aziendale in senso stretto. “Con la cultura non si mangia”: questo è stato il ‘mostruoso’ slogan coniato dei Governi di centrodestra degli anni passati. Ma anche chi si è successivamente avvicendato agli esecutivi ‘berlusconiani’ non si è discostato di molto da un simile pregiudizio. Un preconcetto che, sin dai ‘gloriosi’ anni di Renato Nicolini, persiste nel voler considerare l’arte e la cultura: “Il regno dell’effimero”. Per quanto riguarda il Partito democratico, dispiace sottolineare una stucchevole mancanza d’iniziativa che ha limitato ogni tentativo di ‘inveramento’ di una politica culturale innovativa ed efficace. Anche in questo campo, il ‘renzismo’ ha finito col rivelarsi una ‘scopiazzatura’ del ‘berlusconismo’, in una ricerca astratta di slogan e meri annunci propagandistici che hanno preso il posto delle scelte coerenti con gli obiettivi programmatici. Quel che, anche a sinistra, non si comprende del tutto, a causa di una vecchia ‘mentalità’ ideologica e burocratica, è che la politica, nella sua azione, può anche permettersi il ‘lusso’ di adeguarsi al livello di maturità delle masse, ‘segnare il passo’ con esse, persino fermarsi con esse, se necessario, come accade che con esse ‘esploda’. Ma continuerà a chiamarsi cultura quell’attività che, non impegnandosi in nessuna forma di azione politica ‘diretta’, saprà andare avanti sulla strada della ricerca della verità. Perché la linea che divide la ‘buona’ cultura da quella ‘cattiva’ non s’identifica affatto con quella che separa le politiche ‘migliori’ da quelle ‘peggiori’. Si tratta di una ‘sana’ distinzione liberale, che il nostro ‘sistema-Paese’, assistenzialista e clientelare per definizione, non ha alcuna intenzione di voler comprendere e applicare.

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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 22 - novembre 2016)

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Elena - Catania - Mail - martedi 15 novembre 2016 12.9
Questo problema della 'pancia', io credo sia pienamente centrato. In Francia si dice: "Pancia vuota ragiona male". Ecco perché tutto si "sposta" su un piano di sensazioni e si rifugge dal razionalismo. Qualcuno ha sbagliato le priorità, riportandoci tutti nel mondo alla rovescia.
Roberto - Roma - Mail - lunedi 14 novembre 2016 1.44
La cultura è stata anche fonte di sprechi e clientelismi parassitari, soprattutto in molto ambienti dello spettacolo. Fare tabula rasa dei vecchio fondi di sovvenzione potrebbe, paradossalmente, preparare l'arrivo di una nuova generazione, senza più dover assistere alla mummificazione in diretta dei "soliti noti".


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