Chiara MoroniBenché la Corte costituzionale abbia deciso di non ammettere uno dei cinque quesiti referendari sulla fecondazione assistita, quello relativo all’abrogazione totale dei testo uscito dalle aule parlamentari - testo come noto ampiamente contestato -, ciò non toglie che la pronuncia della Corte apra oggi la possibilità e la praticabilità di una nuova e feconda stagione di diritti. È un fatto in sé assai positivo, per una molteplicità di ragioni, non fosse altro perché in nutriti settori dello schieramento politico si sperava in un giudizio negativo da parte della Corte costituzionale, una bocciatura che invece non c’è stata.
In secondo luogo, dà ragione a tutti coloro i quali si sono battuti con convinzione e determinazione, dentro e fuori le aule parlamentari, per una battaglia di civiltà, scevra da convinzioni o convincimenti ideologici o etici circa una questione tanto importante. Una questione che non riguarda questo o quel settore o area del Paese, bensì la sua interezza senza distinzione alcuna.
Terzo, dà conto delle motivazioni e delle convinzioni espresse, fin da subito, dal Nuovo Psi circa la fondatezza delle ragioni di ricorrere al referendum e, più in particolare, alla convinzione che, metodologicamente, le richieste di abrogazione parziale avessero più chanche di riuscita e che, in altri termini, avessero maggiore possibilità e praticabilità - su un terreno così scivoloso quale quello dei quesiti alla Corte - di andare a segno per non disperdere uno straordinario slancio organizzativo e politico.
La Consulta ha riconsegnato ai cittadini il diritto di decidere su temi di grande portata – temi tanto legati all’intimità e alle libertà individuali delle persone, su cui la legge non dovrebbe in alcun modo interferire -, dando prova di quella sensibilità che era invece venuta meno in un circuito politico che ha osteggiato una legge più equilibrata, aperta, in linea con le convinzioni e le coscienze del Paese, più rispettosa dei diritti delle persone, della ricerca e dell’innovazione scientifica per la promozione della salute, oggi e per le future generazioni. Sicché, quella che è poi uscita, non poteva che essere una legge di natura etica, per non dire oscurantista, che non ha eguali in tutta Europa.
Ha vinto l’equilibrio e ha perso il pregiudizio. Quello che si presenta non è e non vuole essere, in ogni caso, uno scontro ideologico, una discussione animata da convincimenti religiosi o ad essi avversi, bensì una discussione di merito, nella consapevolezza che i quesiti referendari non intendono trascinare o condurre il Paese verso una sorta di supermarket della fecondazione, bensì - molto più semplicemente - abrogare quelle parti della legge 40 che appaiono realisticamente, concretamente e socialmente odiose e irragionevoli. Ci riferiamo alla limitazione della libertà di ricerca scientifica sugli embrioni, per consentire e agevolare la cura di malattie gravissime quali il Parkinson, l’Alzheimer o la sclerosi; alla limitazione circa il numero degli embrioni da ricreare in vitro e l’obbligo dell’impianto nell’utero della donna; per non parlare del divieto circa la fecondazione eterologa. Abbiamo sempre ritenuto e riteniamo queste norme ingiuste, immotivate, odiose e inique. La primavera prossima ci consegna, e la consegna al Paese e ai cittadini in primo luogo, l’opportunità di abrogarle. È, deve poter essere, una bella stagione per l’affermazione dei diritti di libertà.


Presidente del Gruppo parlamentare del Nuovo Psi alla Camera dei Deputati
Articolo tratto dal quotidiano "L'Avanti" del 14 gennaio 2005
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