Giorgio MorinoParliamo di 'talk show'. Un genere televisivo molto particolare, incentrato sul dibattito, sulle domande di un conduttore e sulle risposte dell'interlocutore. Non vogliamo, però, parlare dei talk show politici, dove l'autocompiacimento ideologico degli ospiti cerca di prevaricare, tra urla e insulti, le convinzioni altrettanto compiaciute degli oppositori, quindi lasciamo stare i vari Vespa, Floris e 'compagnia cantante'. Il vero talk show, quello che teoricamente analizza la società moderna attraverso i suoi esponenti più illustri e autorevoli in interviste relativamente brevi, concise e spigliate, è raro da trovare nei nostri palinsesti televisivi. Due sono i nomi che vengono immediatamente alla mente: 'EPCC' (acronimo di E Poi C'è Cattelan) in onda sull'emittente satellitare Sky e, ovviamente, 'Che tempo che fa', condotto da Fabio Fazio su Rai 3. Nel primo caso, abbiamo una riproposizione degli 'schemi' americani; nel secondo, invece, un modello di 'italica concezione'. Il primo programma, condotto con estrema competenza da Alessandro Cattelan, propone interviste divertenti e ironiche a figure di spicco del mondo del cinema, della musica, dello sport e così via discorrendo. Il secondo, come spesso lo definisce il quotidiano 'Libero', è una "messa laica", celebrata con infinita competenza ma altrettanta noia e altezzosità dall'ex giornalista ligure. In apparenza, un'esagerazione, dal momento che gli ospiti illustri invitati sulla poltrona dello show targato Rai sono numerosi. Eppure, intervento di Luciana Littizzetto a parte, persino 'Sottovoce', condotto da Gigi Marzullo, risulta un programma più vivace e 'scoppiettante', addirittura ricco di domande e spunti di riflessione interessanti, quasi sempre assenti nel programma di Fazio. I veri 'talk show', infatti, possono trovarsi solo fuori dai nostri confini nazionali, in Paesi ben più adusi a stimolare la curiosità dello spettatore. L'ultimo, in ordine temporale, è 'Chelsea', programma condotto dalla scrittrice e comica Chelsea Handler sulla piattaforma digitale 'Netflix'. Chelsea propone la formula già collaudata negli Usa da David Letterman, Jay Leno e Jimmy Fallon. Si tratta di talk con ospiti, ma con due sostanziali differenze: la prima è la messa in onda, in contemporanea 'streaming', con 190 Paesi del mondo e a cadenza regolare il mercoledì, giovedì e venerdì; la seconda, è l'approccio adottato dalla conduttrice, famosa negli Stati Uniti per il suo umorismo dissacrante e provocatorio. Tutto nel programma trasuda immediatezza, voglia di distaccarsi dagli schemi e parlare di qualsiasi argomento: dai disturbi sessuali legati all'abuso di materiale pornografico su internet, all'impegno delle comunità religiose afroamericane nei giorni delle elezioni presidenziali. Gli ospiti in studio spaziano dalle celebrità alle personalità mediaticamente meno esposte, ma altrettanto importanti: si passa dalla cantante Christina Aguilera che tenta, con scarso successo, di migliorare le doti canore della conduttrice, all'ex autore dei discorsi del presidente Obama, Jon Favreau, con il quale è possibile osservare da un punto di vista trasversale e privilegiato la personalità dell'uomo più potente del pianeta. Il tutto ponendosi su un piano di presunta ignoranza sugli argomenti trattati. Chelsea, nel corso delle puntate, finge di essere all'oscuro di tutto, apparentemente poco ferrata su argomenti politici o delicati. Invece, siamo di fronte a una tipologia di approccio assai efficace, che avvicina lo spettatore al contenuto della conversazione, spingendo al contempo l'ospite a parlare di più. Chelsea indubbiamente è molto americana. Forse troppo per un pubblico europeo, per il quale un'argomentazione, se non è arricchita di sofisticati sillogismi aristotelici, viene bollata come "frivola e plebea". Gli argomenti sono trattati senza censure, inibizioni o timori reverenziali: basti pensare che si fa spesso riferimento al candidato repubblicano alla presidenza americana, Donald Trump, con l'epiteto di "fucking asshole", senza lasciare nulla all'immaginazione. Questo atteggiamento, arricchito anche da una certa dose di cinica misantropia e dal rifiuto per qualunque tipo aspirazione famigliare, potrebbero rendere il personaggio della Handler indigesto ai più, ma alla fine si tratta del giusto prezzo da pagare per dire quel che si vuole senza censure, specialmente in un periodo in cui si soffoca nel 'politically correct'. In tal senso, 'Netflix' è la piattaforma ideale per tentare un simile esperimento: l'intenzione è quella di rendere lo show 'globale', organizzando trasferte in diverse parti del mondo che rendono il prodotto più accattivante: una sorta di spettacolo senza confini, né di tempo, né di spazio. Certamente, l'eleganza e la sagacia di Letterman erano un'altra cosa: su questo non si discute. Ma Chelsea rimane un ottimo punto di partenza per capire come sarebbe veramente interessante un vero 'talk show' nel nostro Paese: sempre meglio delle omelie e delle non domande di padre Fabio Fazio.


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