Carla De LeoNella stessa mattina in cui il mondo intero si svegliava con i risultati della 'Brexit' e la notizia della volontà del popolo britannico di abbandonare l'Europa, si svolgeva in Italia un seminario, il 'Villa Mondragone economic seminar', sulle sfide legate alla crescita e all'economia che l'Ue sta affrontando e che devono essere superate per uscire dalla 'palude stagnante' che blocca un intero continente. La conferenza, giunta alla sua 28esima edizione, è stata l'atto finale di una precedente e intensa giornata di incontri, consultazioni e confronti tra i più alti rappresentanti del mondo dell'economia, della finanza e del sistema bancario che da 28 anni cercano di dare risposte concrete alle problematiche più attuali e urgenti. E non ci vuole molto a capire come i principali temi discussi quest'anno siano stati la disoccupazione, il divario intergenerazionale, la crisi migratoria e, soprattutto, la 'Brexit'. La quale, in un secondo, ha fatto 'schizzare' lo 'spread' alle stelle, facendo 'saltare' le borse di mezzo mondo, insieme alle teorie dei massimi esperti. Cosa succederà adesso? È la domanda che tutti si stanno ponendo in questi giorni. In un'Europa dal panorama sempre più incerto e dall'equilibrio sempre più precario, che deve fare i conti con stati d'animo 'schizofrenici' e che, negli ultimi anni, sta vedendo sempre più minata la propria stabilità e credibilità, il fallimento delle politiche macroeconomiche e dalle prescrizioni di austerità hanno mostrato l'insufficienza della domanda e l'inadeguatezza degli investimenti produttivi. La solidità finanziaria, tanto osannata è indubbiamente importante, ma diviene vana senza crescita.

DIAGNOSI SULLA BREXIT
A tal proposito, il team di specialisti della Fondazione Economia e del 'Gruppo dei 20' ha voluto ribadire un concetto su cui si battono da anni: la 'cecità' del sistema europeo, che non ha saputo sfruttare le opportunità derivate dagli investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture, nel capitale umano, nell'ambiente e nell'innovazione. Inoltre, è stato ribadito come, senza un adeguato piano di misure volte a raggiungere una più stretta unione economica, finanziaria e politica, che non sia puramente 'apparente', ma stabile nel lungo termine, non si possa pensare a una Ue politicamente incisiva e 'affiatata'. Gli effetti di scelte sbagliate sono sotto gli occhi di tutti: stagnazione economica, crisi politica e conseguenti minacce di disintegrazione. Molto probabilmente la risoluzione del Regno Unito è legata a questo profondo clima di incertezza e paura dilagante. Ma il rischio è che la decisione britannica non resti un caso isolato e che potrebbe costituire la 'miccia' per innescare un 'effetto domino' incontrollabile, soprattutto alla luce di due principali constatazioni: 1) da una parte, i movimenti 'antieuropeisti', che acquistano sempre più consensi e popolarità un po' in tutta Europa; 2) dall'altra, l'avvicinarsi delle prossime elezioni politiche, sia in Francia, sia in Germania. Sessant'anni di pace, collaborazione e stabilità corrono il rischio di essere spazzati via in un attimo. Tra le cause più evidenti di quello che da molti è stato definito "l'impazzimento inglese", la confusione e il conseguente impantanamento in cui siamo rimasti avvinghiati in questi ultimi anni, da addebitare in primis alla mancanza di leadership autorevoli. Senza personalità politiche, dal carisma e dai valori forti, non è possibile approdare ad accordi che erano e restano urgenti. Come testimoniato, per esempio, dalla crisi migratoria e dal mancato raggiungimento di una politica 'chiara' sulle migrazioni dei rifugiati politici in Europa.

NESSUNA RICETTA
Gli accordi di Shengen sono in difficoltà e potrebbero compromettere il commercio tra i Paesi (riducendone la quota dal 10 al 20%). Gli 'Eurobond', che servirebbero a far uscire dalle crisi i Paesi-memrbi maggiormente in difficoltà, non vengono emessi e la fiducia dei cittadini europei è sempre più vacillante. Di fronte a questi enormi cambiamenti globali, che riguardano anche welfare, sanità, politiche sociali, cosa suggeriscono gli esperti? Curioso notare come anche loro siano, al momento, totalmente 'spiazzati', ammettendo l'impossibilità di avanzare ipotesi o prescrivere 'ricette' precise. Rainer Masera, dell'università Guglielmo Marconi di Roma, ha voluto ricordare come "oggi, è proprio la collaborazione a esser messa in discussione, nei rapporti con la Gran Bretagna. Bisogna innanzitutto rivedere l'assetto normativo e l'insieme di regole e supervisioni create in campo finanziario". Mentre sulla questione inflazione e banca centrale, l'esperto ha osservato che "la pressione salariale trova 'freno' dall'apertura dei mercati globali, portando inesorabilmente inflazione. Occorre, dunque, rivisitare il modo di operare le politiche di risanamento fiscale, poiché i Governi Monti e Letta sono state le dimostrazioni del 'paradosso' del filtro macroprudenziale". L'economista e deputato Pd, Giampaolo Galli, esponendo il suo giudizio sul 'dopo Brexit', afferma che tra le tante reazioni possibili (shock, pessimismo, delusione) non sia escluso "che si possa innescare la volontà di ripartire e rafforzare le risposte sul piano degli investimenti e la gestione dell'immigrazione". Anche per lui, la chiave di volta sta nel rafforzamento dell'integrazione, ricordando anche che "questi sono problemi a cui il Regno Unito è immune, avendo avuto politiche di bilancio e debito pubblico identiche a quelle degli Stati Uniti. E senza l'ossessione mercantilista della Germania, che invece ha avuto disavanzi di flussi correnti del 3-4% ogni anno. Inoltre, la Gran Bretagna è l'esempio di chi ha fatto tutte politiche strutturali giuste". Partendo da queste riflessioni, quali conseguenze e ragionamenti politici si possono ipotizzare intorno all'area dell'Euro? "Se il problema, come si 'grida' da più parti, sono le diseguaglianze, esso non può essere risolto da ricette economiche, ma deve essere affrontata la questione di una leadership forte. E con una Germania che non fa politiche espansive, non mi farei illusioni su questo fronte", conclude Giampaolo Galli.

EUROZONA: CHE FARE?
Ma per rilanciare gli investimenti non basta una politica espansiva, come ribadisce Carlo Cottareli del Fmi (Fondo monetario internazionale): "È vero che la bassa crescita in Europa è legata anche a una domanda molto bassa. Ma è anche vero che la politica monetaria non basta a risolvere la questione: la Bce sta facendo il possibile e bisogna mantenere una politica espansiva, anche se non basta a rilanciare gli investimenti. Sarebbe utile ricorrere alla leva fiscale, perché non si può sperare che gli investimenti arrivino dall'estero. La domanda, in Europa, potrebbe crescere se vi fosse un bilancio pubblico 'federale'. Ma con la 'Brexit' è arrivato lo shock". Gli interventi degli esperti, ovviamente predisposti in una fase 'ottimistica' sugli esiti della Brexit, dimostrano come tutto, in questa fase, risulti avvolto da incertezze e confusioni: molti gli errori commessi e le misure da adottare congiuntamente, se veramente si vuole uscire da una crisi che non è solamente economica e che, invece, si delinea sempre più di tipo sociale. Probabilmente, non è un caso se la decisione di concludere la conferenza con le dichiarazioni del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sua giunto quasi come uno sfogo di rabbia e di liberazione personale. "Il problema", ha argomentato il ministro, "è psicologico: la nascita di movimenti politici antisistema ha aperto una frattura che, dal 2012, evidenzia divisioni tra Europa e 'non Europa'. La 'miopìa' è stata quella di non comprendere che non si può affrontare una crisi economica di 7 anni senza essere connessi con le popolazioni. La politica non si fa con sondaggi e annunci, ma mediando i conflitti. Tutti gli sforzi fatti anche dalla Bce sono vani, se non accompagnati da riforme strutturali, che sviluppino il proprio potenziale nel tempo". La soluzione, per una Lorenzin 'infuocata', si deve cercare nella politica 'vecchia maniera', quella di stare in mezzo alla gente per sanare paure e ricucire lacerazioni. Solo in questo modo si può realmente pensare di riformare una struttura: "L'incapacità di stare insieme alle popolazioni in un momento difficile dà poi il via a decisioni come quelle prese da Londra, che tra l'altro, durante questi anni di crisi, è diventata più ricca. Probabilmente, la ricchezza in Inghilterra non è stata distribuita in maniera equa e i sistemi sanitari sono risultati 'violentati'. Ma ricordiamoci che l'Europa è nata per pacificare il continente dopo due guerre mondiali e che essa si fonda su due pilastri: pensioni e sanità". Per molti, insomma, la crisi inglese è dovuta alla mancanza di comprensione dei fenomeni globali e per una crisi di prospettive. Ma l'incertezza degli 'uni' getta gli 'altri' in un'insicurezza ancor più grande. Quel che è certo è che la politica dei 'funzionari' ha fallito, mettendo in risalto la necessità di una forte leadership politica europea. Ma chi? Questo è il dilemma a cui anche i politici non sanno rispondere.


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