Giorgio MorinoNon è facile parlare di Mohammad Alì. Nato Cassius Clay a Louisville, nel Kentucky, il 17 gennaio del 1942 e scomparso a seguito di un aggravarsi di problemi respiratori complicati dal morbo di Parkinson in un ospedale di Phoenix in Arizona, si convertì all'islam nel 1964, assumendo il nome che lo avrebbe reso immortale nel mondo del pugilato. Fisico imponente, 191 centimetri di altezza per 97 chilogrammi di peso, Ali rivoluzionò il mondo della 'nobile arte' con il proprio stile di combattimento: un 'mix' di agilità e potenza che, fino ad allora, non si era mai visto sul ring. Non essendo un buon 'incassatore', egli decise di adottare una 'tecnica' di boxe che si potrebbe definire 'circolare', basata su un'estrema mobilità delle gambe e rapide 'schivate' in velocità, cui facevano seguito colpi ancora più veloci e devastanti. Una vera e propria 'danza', che sarà poi ripresa da molti pugili in cerca di uno stile efficace di combattimento. Imitato, si; ma eguagliato, mai. Esordì come professionista nel 1960, durante le Olimpiadi di Roma, dove riuscì a conquistare l'oro nella categoria dei mediomassimi. Il primo titolo mondiale unificato dei pesi massimi se lo aggiudicò nel 1964, sconfiggendo Sonny Liston. Due furono, però, i combattimenti che lo hanno reso indelebile nell'immaginario collettivo: nel 1974, affrontò a New York l'allora campione de pesi massimi, Joe Frazier, in quello che la stampa aveva definito: "L'incontro del secolo". Un 'match' brutale, protrattosi fino alla 15esima ripresa e conclusosi con la vittoria di Frazier ai 'punti' e la prima sconfitta in carriera per Alì. Il 30 ottobre dello stesso anno, Alì affrontò George Foreman, che a sua volta aveva sconfitto Frazier strappandogli il titolo, in un match a Kinshasa, nell'allora Zaire: un incontro passato alla storia come: "The rumble in the jungle (la rissa nella jungla)". Quel combattimento fu una dimostrazione di astuzia e di forza da parte del pugile americano, che per quasi tutto il tempo si mise volontariamente 'alle corde' con il volto coperto, incassando i colpi di Foreman, aiutato anche dall'azione elastica delle corde stesse, che di fatto 'attutirono' la potenza del suo avversario. Per otto riprese, Alì seguì questa tattica, incassando colpi e destabilizzando psicologicamente l'avversario con la tattica del 'trash talking' (insultare pesantemente e ripetutamente il proprio rivale in modo che si deconcentri), facendo stancare Foreman, per poi 'stenderlo' al momento giusto con una serie memorabile di 'ganci' e 'uppercut', con più di 100 mila spettatori africani che lo incitavano al grido di "Alì buma ye", letteralmente: "Alì, uccidilo"! Incontro vinto, titolo dei pesi massimi vinto, primo posto nella classifica dei più grandi sportivi di sempre: vinto. Quest'ultima affermazione può sembrare di primo impatto azzardata. Ma in realtà, ripercorrendo la storia delle figure di sport che hanno attraversato il secolo scorso, ci si rende conto che nessuna è stata al livello di Mohammad Alì: una potenza della natura, fortemente consapevole dei propri mezzi e, diciamolo, estremamente narcisista per quel che riguardava la sua immagine pubblica. Cassius Clay fu il primo sportivo a essere veramente identificabile in tutto il mondo, quando ancora i mezzi di comunicazione di massa non erano così evoluti. Anzi, la consapevolezza di se stesso fece si che, per primo, sfruttasse i media per auto-promuoversi. Per questo, Mohammad Alì è e rimarrà per sempre, anche di fronte a fenomeni appartenenti a discipline diverse come Pelè, Michael Jordan e Ayrton Senna, il più grande sportivo del XX secolo.


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